Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8782 del 30/04/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 8782 Anno 2015
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: DORONZO ADRIANA

SENTENZA

sul ricorso 26322-2011 proposto da:
BENINCASA

TOMMASO

C.F.

BNNTMS47A17C3611,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 16,
presso lo studio dell’avvocato GILBERTO CEROTTI, che
lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2014
3680

BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DI ROMA S.C.A.R.L. c.f.
01275240586;
– intimata –

Nonché da:

Data pubblicazione: 30/04/2015

BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DI ROMA S.C.A.R.L. c.f.
01275240586, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L.G.
FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato FRANCO
RAIMONDO BOCCIA, che la rappresenta e difende, giusta

– controricorrente e ricorrente incidentale contro

BENINCASA

TOMMASO

C.F.

BNNTMS47A17C3611,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 16,
presso lo studio dell’avvocato GILBERTO CERUTTI, che
lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 956/2011 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 28/04/2011 R.G.N. 6699/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/11/2014 dal Consigliere Dott. ADRIANA
DORONZO;
udito l’Avvocato ZANELLO ANDREA per delega CERUTTI
GILBERTO;
udito l’Avvocato BOCCIA FRANCO RAIMONDO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto di entrambi i ricorsi.

delega in atti;

Udienza 27 novembre 2014
Presidente Lamorgese
Relatore Doronzo
R.G. n.26322111
Benincasa c/ Banca Credito Cooperativo di Roma

Svolgimento del processo
1. Tommaso Benincasa, dipendente della Banca Santi Pietro e Paolo di credito
cooperativo con la qualifica di funzionario di primo grado (F1),
successivamente passato alle dipendenze della Banca di credito cooperativo di
Roma, a seguito della cessione, da parte della prima alla seconda, delle attività
e passività, nonché del rapporto di lavoro di alcuni dipendenti, tra cui lo stesso
ricorrente, conveniva in giudizio la Banca di credito cooperativo di Roma (di
seguito, solo Banca), chiedendo che fosse dichiarata l’illegittimità del suo
trasferimento presso l’agenzia di Castel di Sangro; che fosse accertata la
condotta demansionante e mobbizzante posta in essere dalla Banca nei suoi
confronti, con la condanna della stessa al risarcimento dei danni patrimoniali e
non patrimoniali cagionati; che fosse altresì accertata l’illegittimità della
riduzione del trattamento retributivo disposto dalla Banca partire dal
1/11/1999.
1.2. Il Tribunale di Roma, con sentenza del 27/4/2004, accoglieva parzialmente
la domanda; condannava la Banca al pagamento, in favore del ricorrente, della
speciale indennità prevista dall’art. 30 del C.C.N.L. del Personale direttivo
delle banche di credito cooperativo fino al 13/12/1999; dichiarava
l’illegittimità dello ius variandi in ordine alle mansioni attribuite al ricorrente a
far tempo dal 27/3/2000 e condannava la Banca a risarcirgli il danno;
condannava altresì la convenuta al pagamento, in favore del suddetto, del
trattamento retributivo come previsto dagli artt. 67 e 68 del C.C.N.L.;
dichiarava l’illegittimità della sanzione disciplinare irrogata al ricorrente in data
22/11/2000 e condannava la Banca alla restituzione della somma trattenuta a
tale titolo. La sentenza veniva appellata da entrambe le parti.
2. Nelle more del giudizio d’appello, il ricorrente proponeva altro ricorso con
cui chiedeva che fosse dichiarata l’illegittimità di un nuovo trasferimento
disposto dalla Banca dalla sede di Castel di Sangro a quella di Avezzano; che
la Banca fosse condannata a riconoscergli il trattamento economico relativo al
trasferimento da Roma a Castel di Sangro ex art. 61 C.C.N.L. per il periodo
successivo a quello già riconosciuto dalla sentenza del Tribunale del
27/4/2004, nonché gli ulteriori rimborsi ed emolumenti conseguenti al nuovo
trasferimento; che fosse accertato il demansionamento proseguito anche nel
periodo successivo alla sentenza del Tribunale, con la condanna della società a
reintegrarlo nel posto di lavoro in precedenza occupato (Roma), ad assegnargli
mansioni riconducibili alla qualifica di funzionario (F1), a risarcirgli il danno
subito per effetto del demansionamento, nonché a corrispondergli l’intero
trattamento retributivo relativamente al periodo successivo a quello dedotto nel
giudizio conclusosi con la sentenza del Tribunale di Roma; chiedeva altresì la
condanna della Banca al risarcimento del danno conseguente al mobbing.
Questo secondo giudizio si concludeva con la sentenza del Tribunale di Roma
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Relatore Doronzo
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Benincasa c/ Banca Credito Cooperativo di Roma

del 28/11/2006 che accoglieva le domande del ricorrente, limitatamente alla
condanna della società al pagamento degli emolumenti (quantificati in E
7164,07) previsti dal C.C.N.L. per il trasferimento ad altra sede. Riteneva
assorbita la domanda riconvenzionale proposta dalla Banca.
2.1. Anche questa sentenza veniva appellata da entrambe le parti. La Corte
d’appello di Roma, riuniti gli appelli principali e, decidendo anche su quelli
incidentali, con sentenza depositata in data 28 aprile 2011, riconosceva il
diritto del Benincasa alla speciale indennità di cui all’art. 30 C.C.N.L. fino al
13/12/1999; dichiarava il diritto del ricorrente al trattamento retributivo di cui
agli artt. 67 e 68 C.C.N.L.; condannava la Banca al pagamento della somma di
€ 7164,07 a titolo di emolumenti per il trasferimento ad altra sede; dichiarava
l’illegittimità del trasferimento presso la sede di Castel di Sangro, nonché del
successivo trasferimento ad Avezzano; ordinava alla Banca di reintegrare il
lavoratore nel precedente posto di lavoro presso gli uffici di Roma; riconosceva
l’avvenuto demansionamento del ricorrente e, a titolo di risarcimento del danno
biologico pari al 9% conseguente alla condotta inadempiente della datrice di
lavoro, condannava quest’ultima al pagamento di E 12.494,52. Rigettava ogni
altra domanda proposta delle parti e compensava per un terzo le spese di lite,
ponendo i restanti due terzi a carico della Banca.
3. Contro la sentenza, il Benincasa propone ricorso per cassazione sostenuto da
otto motivi, cui resiste con controricorso la Banca, la quale, a sua volta,
propone ricorso incidentale fondato su cinque motivi. Entrambe le parti
depositano memorie ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
I ricorsi devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., essendo stati proposti
contro la medesima sentenza.
1. Con il primo motivo il Benincasa denuncia la falsa applicazione dell’art. 30
del C.C.N.L. 5/6/1992, la violazione e/o falsa applicazione degli art. 1362, 1363
e 1366 c.c., nonché dell’art. 2103 c.c., in ordine al diritto a percepire l’indennità
speciale. Assume che tale diritto trovava la sua fonte nel contratto individuale di
lavoro, stipulato in data 29/9/1997, e non era subordinato allo svolgimento di
specifiche mansioni, come quella di vice direttore, mai di fatto assegnategli.
1.1. Il motivo non può essere accolto.
1.2. Esso infatti è inammissibile nella parte in cui viola i principi ripetutamente
affermati da questa Corte, secondo cui ove, in sede di legittimità, si denunci il
difetto di motivazione sulla valutazione di un documento o di risultanze
probatorie o processuali, la parte ha l’onere di indicare specificamente le
circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od
erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro
trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della
decisività dei fatti da provare (e, quindi, delle prove stesse) che, per il principio
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dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la Suprema Corte deve essere in
grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune
non è consentito sopperire con indagini integrative (ex plurimis, Cass., 30
luglio 2010, n. 17915). Accanto a questo onere è necessario che il ricorrente
indichi l’esatta allocazione del documento (o dell’atto) della cui erronea
valutazione si duole nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente
acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (Cass., 6 novembre 2012,
n. 19157; Cass., 23 marzo 2010, n. 6937; Cass. civ. 12 giugno 2008, n. 15808;
Cass. civ. 25 maggio 2007, n. 12239).
1.2.1. Tale specifica indicazione difetta nel caso di specie, in cui il ricorrente
pone a fondamento del suo assunto, circa l’asserita erronea interpretazione da
parte del giudice del merito del contatto individuale di lavoro, una lettera
denominata “impegno di assunzione” del 25/7/1997, senza peraltro specificare
dove e quando tale lettera, di cui non vi è cenno nella sentenza impugnata,
sarebbe stata prodotta nelle precedenti fasi di merito e dove sarebbe
attualmente rinvenibile nel presente giudizio, al fine di verificare la
tempestività e quindi l’ammissibilità della sua produzione.
1.2.2. Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione non è rispettato
anche con riferimento alle dichiarazioni attribuite al teste Falcone, poste pure a
base del motivo in esame, di cui la parte omette di indicare gli elementi per il
suo rinvenimento questa sede. Al riguardo, deve rammentarsi che le Sezioni
unite di questa Corte hanno precisato che l’onere di produrre, a pena di
improcedibilità del ricorso, “gli atti processuali, i documenti, i contratti o
accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” è soddisfatto, quanto agli atti e ai
documenti contenuti nel fascicolo di parte, mediante la produzione dello stesso,
e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il
deposito della richiesta di trasmissione, presentata alla cancelleria del giudice
che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di
visto ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 3, ferma restando, in ogni caso,
l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366 c.p.c.,
n. 6, del contenuto degli atti e dei documenti sui quali il ricorso si fonda,
nonché dei dati necessari al loro reperimento (Cass., Sez. Un., 3 novembre
2011, n. 22726).
1.3. Il motivo è in ogni caso infondato, poiché la premessa di fatto da cui
muove, ovvero il non aver mai svolto le mansioni di vicedirettore, è smentita
dall’accertamento compiuto dal giudice di prime cure e condiviso dalla Corte
territoriale, che ha attribuito valore alla deposizione del teste Gandolfo, il quale
ha riferito che, all’indomani della cessione e fino al 31/12/1999, epoca del
conferimento al Benincasa del successivo incarico presso la direzione affari,
questi aveva continuato a svolgere i compiti di vice direttore di sede.
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1.4. Correttamente, pertanto, la Corte ha ritenuto che l’indennità prevista
dall’art. 30 C.C.N.L. – che, sotto la rubrica “Speciale indennità” così prevede:
“Ai direttori, ai vicedirettori, con il ruolo di cui all’art. 23 ed ai preposti a
Dipendenze, di cui all’art. 19, compete inoltre una speciale indennità nella
misura prevista dalla tabella A allegata al presente contratto – in quanto
trattamento aggiuntivo legato all’espletamento di determinate mansioni, non
necessariamente connaturate all’inquadramento del dipendente come
funzionario di prima categoria, non spettasse più al ricorrente una volta venuta
meno la sua responsabilità nella vicedirezione o, comunque, cessato l’incarico
di sovrintendente di determinati settori.
2. Con il secondo motivo il Benincasa denuncia la violazione degli artt. 1362,
1363 e 1366 c.c., dell’art. 2103 c.c. in relazione alla voce retributiva “anzianità
convenzionale”, nonché dell’art. 13 del C.C.N.L. 5/6/1992. In particolare,
censura la decisione impugnata nella parte in cui ha escluso il suo diritto alla
voce retributiva “anzianità convenzionale”, pure prevista nel contratto
individuale di lavoro, ritenendo che la stessa trovasse la sua disciplina
nell’art.13 del C.C.N.L., con effetto “ai soli fini del trattamento per malattia e
infortuni”, così dando rilievo esclusivo al nomen juris indicato nel contratto e
non invece alla volontà delle parti che, con la detta voce, avevano inteso
riservare al dipendente un trattamento economico più favorevole, per
compensare sia la pregressa anzianità di servizio presso la banca di
provenienza sia gli scatti di anzianità maturati e perduti a seguito della
cessazione del rapporto con quest’ultima.
2.1. Il motivo è fondato. Sul punto, la Corte ha confermato il giudizio di primo
grado circa l’assoluta carenza di allegazioni in ordine ai presupposti sui quali si
fonderebbe il diritto al riconoscimento dell’anzianità convenzionale, ed ha
sostanzialmente aderito alla tesi difensiva della convenuta, secondo cui
l’anzianità convenzionale, ai sensi dell’art. 13 del C.C.N.L. di categoria, ha
effetto ai soli fini del trattamento per malattia e infortunio.
2.2. Tuttavia, nel pervenire a tale affermazione, i giudici del merito trascurano
di considerare ed interpretare il contenuto del contratto individuale di lavoro integralmente trascritto nel presente ricorso e ad esso allegato, in ossequio al
principio di autosufficienza -, da cui emerge il riconoscimento al ricorrente, a
titolo di anzianità convenzionale, di una determinata somma (L. 16.254.187).
Siffatta quantificazione mal si concilia con il contenuto dell’art. 13 del
C.C.N.L., il quale sotto la rubrica “Anzianità convenzionali” si limita ad
individuare i criteri per determinare periodi di anzianità di servizio non
corrispondenti ad effettivi periodi di lavoro, ma meramente virtuali [ “a) tre
anni a chi abbia conseguito o consegua dopo l’assunzione … una o più
lauree;… b) il 50% del periodo trascorso qualche combattente in reparti
impiegati in zone di operazioni…; c) un anno ai decorati al valore militare o
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civile ….; d) il 100% del tempo trascorso prestando servizio nell’ambito di
organismi destinatari del presente contratto di categoria; e) il 50% del tempo
trascorso prestando servizio presso aziende di credito…], validi ai soli fini dei
trattamenti di malattia ed infortuni (“ai soli effetti del trattamento per malattie
ed infortuni”, così l’art. 13), senza prevedere un’esatta quantificazione
economica della prestazione o criteri per la sua determinabilità.
2.3. A fronte di questo dato, che omette del tutto di considerare, la Corte
territoriale non indica (né è dato di desumerlo dal contesto motivazionale)
quale criterio di ermeneutica contrattuale abbia utilizzato e privilegiato per
pervenire ad una lettura del contratto individuale di lavoro nel senso anzidetto
e, quindi, al rigetto della pretesa del ricorrente. La sua motivazione si presenta
così inadeguata, tanto da non consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito
per giungere ad attribuire all’atto negoziale quel determinato contenuto, e ciò la
rende censurabile in sede di legittimità (Cass., 20 gennaio 2003, n. 732; Cass.,
2 marzo 2004, n. 4261; Cass., 7 luglio 2004, n. 12468).
3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia l’insufficiente e contraddittoria
motivazione sulla domanda di risarcimento del danno derivante
dall’illegittimità del duplice trasferimento. In particolare lamenta che la Corte,
pur avendo ritenuto illegittimi i trasferimenti, non gli avrebbe riconosciuto il
diritto al risarcimento del danno, da quantificarsi in misura equitativa e,
comunque, non inferiore ai canoni ed alle spese accessorie sostenute per effetto
degli illegittimi trasferimenti dalla data del 1/1/2001 fino all’effettiva reintegra,
avvenuta con decorrenza dal 21/3/2011.
3.1. Il motivo, – a sostegno del quale il ricorrente sembra sovrapporre due
questioni, una inerente al risarcimento del danno per la ritenuta illegittimità del
trasferimento, in quanto avrebbe comportato una sua “emarginazione
decennale dal contesto familiare, sociale e lavorativo della città di Roma”, e
l’altra inerente, sempre a titolo risarcitorio, al danno emergente costituito dalle
spese sostenute, e in particolare dai canoni di locazione e dalle spese
accessorie, dalla data dell’illegittimo trasferimento a Castel di Sangro
(1/1/2001), fino all’effettiva reintegra ( 21/3/2011), – è inammissibile.
3.2. È inammissibile sotto il profilo del danno alla persona conseguente alla
dedotta “emarginazione decennale”. Si tratta invero di questione di cui non v’è
cenno nella sentenza impugnata e che pertanto difetta di autosufficienza,
essendo onere della parte ricorrente, al fine di evitare una statuizione di
inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta sua
deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di
autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del
giudizio precedente lo abbia fatto, le ragioni del rigetto o del suo mancato
integrale accoglimento da parte del giudice di merito e i motivi di doglianza
proposti al giudice d’appello, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare
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“ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della
suddetta questione (Cass., 18 ottobre 2013, n. 23675).
3.3. Deve peraltro aggiungersi, per completezza di motivazione, che con
riferimento alle ritenute illegittimità dei due trasferimenti, la Corte romana ha
escluso il diritto al risarcimento del danno, collegato al demansionamento e alla
perdita della professionalità — non già al mero fatto del trasferimento – ,
ritenendo che sotto tale profilo il ricorso introduttivo del giudizio fosse affetto
da carenza di adeguate allegazioni, laddove la lesione all’integrità psicofisica
era stata già riconosciuta in termini di danno biologico, pari al 9%, ed il
relativo danno liquidato.
3.4. Tali argomentazioni, che appaiono coerenti ed esaustive, sono in linea con
i principi affermati da questa Corte secondo cui, in caso di licenziamento
illegittimo, il lavoratore, per conseguire oltre alla reintegrazione nella sede di
provenienza, anche una condanna sul piano economico del datore di lavoro,
deve dimostrare di aver subito un danno, patrimoniale o non patrimoniale, a
causa del trasferimento illegittimo (v. Cass., 26 marzo 2010, n. 7350), non
potendo ritenersi che esso sia in re ipsa, come invece erroneamente assume il
ricorrente.
3.3. Quanto all’ulteriore aspetto della censura, relativo agli esborsi sostenuti per
canoni e oneri accessori, anch’esso è inammissibile sia con riferimento al
segmento del rapporto che va dall’1/1/2001 fino al trasferimento al 31/12/2003
(ovvero per il periodo successivo a quello già riconosciuto dalla sentenza del
Tribunale di Roma n. 8245/2004), sia con riferimento al periodo successivo
(ovvero dal trasferimento da Castel di Sandro ad Avezzano fino alla
reintegrazione presso la sede di Roma), per le stesse carenze di autosufficienza
su rilevate, non essendovi cenno della questione nella sentenza gravata. Per il
vero, la Corte territoriale, e prima ancora il Tribunale, si sono sì occupate della
domanda di rimborso delle spese sostenute, ivi compresi i canoni di locazione e
le spese accessorie, ma solo sotto il profilo, affatto diverso, della domanda di
pagamento fondata sulle previsioni della contrattazione collettiva, non già a
titolo risarcitorio, e l’hanno (parzialmente) rigettata con decisione che, a luce di
quanto in seguito si dirà con riferimento al sesto motivo di ricorso, non merita
alcuna censura.
4. Con il quarto motivo il Benincasa censura la sentenza per violazione e falsa
applicazione dei principi giurisprudenziali in tema di risarcimento del danno
patrimoniale e non patrimoniale da demansionamento. Lamenta che
erroneamente la Corte territoriale avrebbe riconosciuto solo il danno biologico,
non anche il danno non patrimoniale da demansionamento, per la ritenuta
carenza di allegazioni. Le allegazioni vi erano e potevano trarsi dalla lettura di
entrambi i ricorsi, nonché degli atti di gravame.
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4.1. Il motivo non può essere accolto. Esso è infatti tutto incentrato sulla
ricostruzione dell’attività professionale svolta dal ricorrente, sulle mansioni
dequalificanti a lui assegnate (e tali ritenute dai giudici del merito) senza
tuttavia che si rilevino allegazioni dirette a dimostrare in che cosa sia consistito
il danno all’immagine, alla professionalità, nonché alla vita di relazione che il
ricorrente assume di aver patito in conseguenza della condotta illegittima della
datrice di lavoro.
4.2. La giurisprudenza di questa Corte, a partire da Sezioni Unite 24 marzo
2006, n. 6572, afferma infatti che “In tema di demansionamento e di
dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento
del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del
giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo; mentre
il risarcimento del danno biologico è subordinato all’esistenza di una lesione
dell’integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale – da
intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed
interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del
soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo
a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua
personalità nel mondo esterno – va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi
consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per
presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti
(caratteristiche, durata, gravità, conoscibilità all’interno ed all’esterno del
luogo di lavoro dell’operata dequalificazione, frustrazione di precisate e
ragionevoli aspettative di progressione professionale, eventuali reazioni poste
in essere nei confronti del datore comprovanti l’avvenuta lesione dell’interesse
relazionale, effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto) – il
cui artificioso isolamento si risolverebbe in una lacuna del procedimento
logico – si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente
risalire al fatto ignoto, ossia all’esistenza del danno, facendo ricorso, ai sensi
dell’art. 115 cod. proc. civ., a quelle nozioni generali derivanti dall’esperienza,
delle quali ci si serve nel ragionamento presuntivo e nella valutazione delle
prove (v. ex plurimis, Cass., 17 settembre 2010, n.19785; Cass., 30 settembre
2009, n. 20980; Cass., 19 dicembre 2008, n. 29832).
4.3. Da tali principi la Corte territoriale non si è discostata, laddove con le sue
censure il ricorrente ripropone la questione di un danno ex se, sul presupposto
che il demansionamento mobbizzante, accompagnato da duplice trasferimento
geografico “non possono non aver prodotto effetti negativi…” così palesando
un’inammissibile sovrapposizione tra il danno- evento e il danno-conseguenza.
Né è possibile confondere il danno biologico, che è stato riconosciuto e
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liquidato dal giudice del merito senza che sul punto siano state sollevate
censure di sorta, con altre categorie di danno, come la perdita di professionalità
o di chance o il danno esistenziale.
4.4. Diverso è il problema della liquidazione equitativa, la quale tuttavia
suppone, per regola generale, che siano forniti gli elementi di prova idonei a
comprovare la sussistenza del danno (v. Cass., 6 dicembre 2005, n. 26666;
Cass., 19 dicembre 2008, n. 29832; Cass., 17 settembre 2010, n. 19785; Cass.,
19 marzo 2013, n. 6797). Nel caso di specie, la Corte territoriale ha motivato
adeguatamente le ragioni del rigetto, in considerazione del difetto di
allegazioni sulla natura e le caratteristiche del pregiudizio subito dal ricorrente,
sicché non vi è spazio per alcuna liquidazione, neppure in via equitativa.
5. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia l’insufficienza e contraddittorietà
della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, costituito
dal mobbing e dal danno conseguente.
5.1. La Corte territoriale ha anche in tal caso adeguatamente motivato le ragioni
del rigetto della domanda riguardante il mobbing. In particolare, ha affermato che
il ricorrente non ha offerto adeguate allegazioni in ordine alla sussistenza di un
complesso sistematico di condotte legate da intento persecutorio nei suoi
confronti. Al contrario, dalla prova orale era emerso un atteggiamento
collaborativo e non pregiudizialmente ostile nei confronti del dipendente,
concretatosi nella ricerca di soluzioni alternative e concordate, prima di procedere
al trasferimento del lavoratore presso la sede di Castel di Sangro. Quanto alle
fotografie prodotte in giudizio, esse non erano rivelatrice della collocazione del
Benincasa in ambienti indecorosi e inadeguati, mentre nessun rilievo e comunque
nessun riscontro avevano trovato le affermazioni rese dal ricorrente in sede di
libero interrogatorio. Il giudizio della Corte è completo ed esaustivo e non si
ravvisa in esso alcuna contraddittorietà.
6. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione
dell’art. 61 del C.C.N.L. 7/12/2000 in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c. e censura la
sentenza nella parte in cui, nonostante la copiosa documentazione allegata e la
corrispondenza intercorsa tra le parti, la Corte non avrebbe riconosciuto
integralmente gli emolumenti previsti dall’art. 61 del C.C.N.L.
6.1. Anche questo motivo è infondato. Sul punto, la Corte territoriale ha condiviso
il ragionamento del primo giudice che ha escluso, per difetto di prova, la domanda
di rimborso delle spese di viaggio, trasporto e quelle di perdita di pigione previsto
dall’art. 61 C.C.N.L. citato, alle lettere a), b) e c). Ha invece riconosciuto la diaria
di cui alla lettera d) dell’art. citato, nonché il diritto all’una tantum nel minimo
previsto, in assenza di prova dell’esistenza di familiari indicati nella clausola.
Quanto alle altre voci richieste, ne ha escluso il diritto alla ripetizione in
considerazione della tardività della documentazione prodotta dal ricorrente in
corso di causa. Ha tuttavia aggiunto che, circa la pretesa di ripetizione del canone
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di locazione, non era stata censurata l’affermazione del primo giudice secondo cui
era necessario che il dipendente indicasse le caratteristiche del nuovo alloggio
rispetto a quello precedente: tale affermazione è del tutto rispettosa del disposto
dell’art. 61, di cui pertanto non sussiste la dedotta violazione.
Appare poi generica l’asserzione del ricorrente secondo cui “l’acquisizione da
parte della Banca del nuovo contratto di locazione” avrebbe consentito di
desumere le caratteristiche del nuovo alloggio, in mancanza di una qualsivoglia
precisazione, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione,
circa il tempo e il luogo della produzione del nuovo contratto di locazione nelle
pregresse fasi di merito, specificazione necessaria a fronte della pronuncia di
inammissibilità per tardività della produzione documentale affermata dai giudici
del merito. Quanto alle spese accessorie di cui al C.C.N.L., la sentenza ha
affermato che esse erano solo quelle connesse al canone di locazione di cui all’art.
61, comma 9 0 , C.C.N.L., non apparendo sorretta dal tenore del testo della norma
citata la pretesa di rimborso delle spese per consumo di acqua, nettezza urbana
ecc., considerato altresì che si trattava di consumi attinenti alle normali esigenze e
non connessi con gli oneri propri del trasferimento. Si è in presenza di
affermazioni tutte pertinenti, coerenti ed esaustive, rispetto alle quali le censure
non fanno altro che riproporre quanto già confutato con motivazione compiuta e
priva di errori logici o di diritto dalla Corte territoriale.
7. Con il settimo motivo il ricorrente denuncia la “violazione e/o falsa
applicazione della giurisprudenza delle Sezioni Unite in tema di inammissibilità
della produzione documentale nel corso del giudizio. Violazione dell’art. 421
c.p. c.” Ritiene che la produzione di detta documentazione (da pag. 81 a pag. 97
del ricorso per cassazione), si era resa necessaria in conseguenza dell’asserzione
della Banca di non aver ricevuto la raccomandata dell’ 11/2/2004. In ogni caso
erano stati sollecitati i poteri istruttori ex art. 421 c.p.c., sul cui mancato esercizio
il giudice dell’appello non aveva motivato.
7.1. Il mezzo di impugnazione è inammissibile perché replica quanto già sostenuto
in sede di appello e puntualmente esaminato e rigettato dalla Corte territoriale che,
in merito alle sopravvenute esigenze difensive idonee a giustificare la produzione
tardiva, le ha escluse, ritenendo, con un ragionamento che non è stato affatto
censurato, che la domanda riconvenzionale della Banca riguardava altra questione,
nient’affatto connessa con la domanda di rimborso, alla cui prova la
documentazione prodotta tardivamente era finalizzata. Nella sentenza impugnata
non vi è alcun riferimento ad una necessità difensiva collegata all’assunto della
Banca di non aver ricevuto la raccomandata dell/ 1 febbraio 2004, sicché sotto
tale profilo il motivo si presenta pure inammissibile per difetto di autosufficienza,
non avendo indicato il ricorrente dove e quando, nelle pregresse fasi del processo,
vi sarebbe stata la produzione della raccomandata suindicata e dove e quando la
Banca ne avrebbe contestato la ricezione.
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7.2. Quanto al mancato esercizio dei poteri istruttori ex artt. 421 e 437 c.p.c. e alla
mancanza di motivazione in ordine al mancato esercizio degli stessi, la censura si
palesa inammissibile per difetto di autosufficienza, alla stregua dei principi
ripetutamente affermati da questa Corte, secondo cui, quando si denuncia la
violazione di una norma anche processuale, il ricorrente è tenuto ad indicare gli
elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività di detta
violazione. Siffatto onere sussiste anche allorquando il ricorrente lamenti che il
giudice del gravame non abbia – pur in presenza di una sua istanza al riguardo esercitato il suo potere-dovere istruttorio ex artt. 421 e 437 cod. proc. civ. con la
conseguenza che, in tale ipotesi, il ricorrente medesimo è tenuto ad indicare le
modalità e la ritualità della sua istanza istruttoria nonché ad evidenziare la
tempestività della censura mossa in ordine all’inerzia o al mancato accoglimento
da parte del giudice delle sue richieste (Cass., 19 aprile 2006, n. 9076). Tale onere
non risulta adempiuto dal ricorrente, il quale si è limitato a richiamare la data del
verbale di udienza in cui la sua richiesta sarebbe stata riportata, senza trascriverne
il contenuto e senza fornire i dati necessari per il suo reperimento nei fascicoli
d’ufficio o di parte prodotti in cassazione.
8. Con l’ottavo e ultimo motivo il ricorrente censura la sentenza per violazione e/o
falsa applicazione degli arti. 1324, 1362 e 1988 c.c., con riguardo alle
raccomandate del 5/2/2004, dell’i 1/2/2004 e del 23/2/2004, intercorse tra le parti,
che configurerebbero una promessa di pagamento o una ricognizione di debito
relativamente agli emolumenti richiesti dal lavoratore.
Il motivo è inammissibile attese, da un lato, la genericità della censura, in difetto
di specificazioni circa il canone di ermeneutica contrattuale che sarebbe stato
violato dal giudice di merito, dall’altra la violazione del principio di
autosufficienza del ricorso, non avendo indicato dove e quando le due
raccomandate del 5/2/2004 e del 23/2/2004, di cui non vi è cenno nella sentenza
impugnata, sarebbero state prodotte. Valgono peraltro le osservazione già fatte
con riferimento al sesto motivo di ricorso, rimarcando la necessità di tale
indicazione alla luce del giudizio di tardività della produzione documentale
formulato dai giudici di merito.
9. Con il primo motivo del ricorso incidentale la Banca censura la sentenza per
violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c. e dell’art. 54 r.d.l. n. 375/1936,
per aver configurato il trasferimento delle attività e passività dalla Banca Santi
Pietro e Paolo, società in liquidazione, alla Banca di credito cooperativo come una
cessione di azienda, in assenza dei presupposti previsti dalle norme citate, e in
particolare in assenza di trasferimento di un’entità dotata di una propria autonomia
ed identità.
9.1. Il motivo è inammissibile, perché con esso si intende rimettere in discussione
un accertamento tipicamente fattuale compiuto dal giudice di merito, il quale ha
ritenuto che, in relazione al tipo di impresa esercitata, all’avvenuta cessione delle
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attività e delle passività, del personale dipendente e della clientela, nonché del
grado di analogia tra le attività esercitate, si è realizzata una vera e propria
cessione di azienda rilevante sensi dell’art. 2112 c.c. Non si ravvisa pertanto
alcuna violazione delle norme sulle indicate, avendo la Corte territoriale
correttamente sussunto la fattispecie concreta, come accertata con ragionamento
che non è stato censurato sotto il profilo del vizio di motivazione, sotto la specie
normativa citata.
10. Con il secondo motivo la Banca censura la sentenza per violazione e falsa
applicazione dell’art. 437 c.p.c. e dell’art. 2103 c.c. in relazione al trasferimento
del dipendente a Castel di Sangro, sul presupposto che, sotto un primo profilo, il
Benincasa non avrebbe mai proposto una domanda di annullamento del detto
trasferimento, ma anzi aveva chiesto in relazione ad esso l’erogazione delle
competenze previste dagli artt. 67 e 68 C.C.N.L.; sotto un secondo profilo,
erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto di desumere l’illegittimità del
trasferimento dal demansionamento del lavoratore, operato presso la nuova sede,
laddove la valutazione circa l’esistenza delle ragioni tecniche, organizzative e
produttive, idonee a sorreggere il trasferimento, andava effettuata con riferimento
al momento del trasferimento stesso e non già ad un momento successivo.
10.1. La censura è, sotto il primo profilo, inammissibile per difetto di
autosufficienza, non avendo il ricorrente incidentale trascritto, neppure nelle parti
ritenute più rilevanti, il ricorso introduttivo del giudizio dal quale dovrebbe
desumersi la mancata proposizione della domanda in questione, nonché la sua
memoria difensiva in grado di appello in cui avrebbe dovuto eccepire la novità
della questione; la Banca non indica neppure dove detti atti sarebbero attualmente
rinvenibili nel presente giudizio, e ciò in violazione delle regole imposte dagli artt.
366, comma 1, n. 6, c.p.c., e 369 comma 2, n. 4, c.p.c., che consacrano il
principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (Cass., Sez. Un., 3
novembre 2011, n. 22726; Cass., 6 novembre 2012, n. 19157; Cass., 23 marzo
2010, n. 6937; Cass., 12 giugno 2008, n. 15808; Cass. civ. 25 maggio 2007, n.
12239; Cass., 19 aprile 2006, n. 9076).
10.2. Sotto il secondo profilo, la censura è infondata perché attribuisce alla
sentenza un’interpretazione diversa da quella che emerge dalla sua piana lettura.
La Corte territoriale non ha, infatti, espresso la sua valutazione circa l’illegittimità
del trasferimento sulla base del successivo demansionamento del lavoratore, bensì
ha posto l’attenzione sul diverso piano dell’onere probatorio, ritenendo che la
Banca non avesse provato l’esistenza delle ragioni tecniche, organizzative e
produttive poste a base del trasferimento. Solo per corroborare l’affermazione di
una siffatta carenza probatoria, la Corte ha posto in evidenza come le mansioni
assegnate al Benincasa, e per le quali era stato disposto il trasferimento, in quanto
sottodimensionate da un punto di vista qualitativo e quantitativo rispetto al suo
profilo professionale, confermavano l’insussistenza di ragioni idonee a
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legittimarlo. Tale ragionamento risulta coerente e, per altro, non risulta affatto
censurato sotto il profilo dell’insufficienza o della contraddittorietà della
motivazione.
11. Con il terzo motivo la Banca censura la sentenza per omessa motivazione in
relazione alla ritenuta illegittimità del trasferimento ad Avezzano, avendola fatta
discendere in modo pressoché automatico dalla ritenuta illegittimità del
trasferimento da Roma a Castel di Sangro.
11.1. Anche questo motivo è inammissibile, nella parte in cui pone a suo unico
fondamento le deposizioni dei testi Ugo Mantini e Emilio Cipollone, trascrivendo
solo per stralci le loro dichiarazioni e senza peraltro indicare dove sarebbero
attualmente rinvenibili i verbali di causa in cui esse sarebbero state raccolte. Ciò
in palese violazione dei principi di autosufficienza su richiamati.
Va peraltro ricordato che la motivazione omessa o insufficiente è configurabile
soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla
sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero
condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva
carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo
ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già
quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte
ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati,
risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di
revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo, tesa
all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura
ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass., sez. un. 25 ottobre 2013, n.24148).
12. Con il quarto motivo, la Banca denuncia la violazione e falsa applicazione
dell’art. 2103 c.c., nella parte in cui la sentenza ha ritenuto sussistente la
dequalificazione, laddove le mansioni affidate al dipendente erano conformi al suo
profilo professionale e non furono espletate solo per il rifiuto opposto dallo stesso.
12.1. Al di là del profilo di inammissibilità costituito dal fatto che il mezzo
d’impugnazione è posto sotto la specie della violazione di legge, in luogo del vizio
motivazionale, in cui invece esso si sostanzia, valgono le considerazioni su
esposte in ordine all’esaustività del ragionamento del giudice del merito, fondato
su pertinenti e specifiche evidenze processuali, correttamente e coerentemente
apprezzate. La censura impinge direttamente dal fatto e sollecita una sua
revisione, inammissibile in questa sede.
12.2. La censura peraltro difetta di autosufficienza per le ragioni sue esposte con
riguardo alle deposizioni testimoniali ed ai documenti posti a fondamento della
censura medesima e che non sarebbero stati valutati o ben interpretati dal giudice
del merito, dei quali tuttavia la ricorrente incidentale non riporta il contenuto, né
indica la loro attuale allocazione nel giudizio di cassazione.
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13. Con il quinto e ultimo motivo la Banca denuncia la violazione dell’art. 112
c.p.c. con riferimento al diritto del ricorrente al risarcimento del danno biologico,
che, secondo il suo assunto, non sarebbe mai stato richiesto nel giudizio di primo
grado con riferimento alla dequalificazione professionale, bensì solo con
riferimento al presunto mobbing, con la conseguenza che, esclusa la sussistenza di
questa condotta lesiva, il risarcimento del danno biologico avrebbe dovuto essere
negato.
13.1. Anche questo motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza per le
stesse ragioni su espresse con riferimento al secondo motivo del ricorso
incidentale, riguardante la pretesa omessa domanda di declaratoria
dell’illegittimità del primo trasferimento.
14. In definitiva, va accolto solo il secondo motivo del ricorso principale, mentre
vanno rigettati tutti gli altri motivi del medesimo ricorso nonché il ricorso incidentale
della Banca. In relazione alla censura accolta, la sentenza deve dunque essere

cassata con rinvio al giudice del merito indicato in dispositivo, perché
riesamini la questione alla luce dei criteri interpretativi dei contratti dettati,
secondo i criteri di gradualità, dagli artt. 1362 e ss. c.p.c. e provveda a regolare
le spese anche del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il secondo motivo del ricorso principale
rigetta gli altri motivi del medesimo ricorso e l’incidentale; cassa la sentenza
impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese del
presente giudizio, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, 27 novembre 2014
l P sisente

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