Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8780 del 12/05/2020

Cassazione civile sez. II, 12/05/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 12/05/2020), n.8780

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1294/2016 proposto da:

Z.A. (fu G.), rappresentato e difeso dall’Avvocato

GIUSEPPE ZANGHI’, presso il cui studio a Messina, via Lenzi 5,

elettivamente domicilia, per procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ZA.GI., Z.S. E P.A., in proprio e

nella qualità di eredi di Z.A. (fu S.),

rappresentati e difesi dall’Avvocato GIUSEPPE MELAZZO ed

elettivamente domiciliati a Roma, via della Camilluccia 19, presso

lo studio dell’Avvocato GEA CARLONI, per procura speciale in calce

al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 540/2015 della CORTE D’APPELLO DI MESSINA,

depositata il 30/9/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 17/12/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE

DONGIACOMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Z.A. (fu S.), con atto di citazione notificato in data 14/2/2000, ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Messina, il cugino Z.A. (fu G.) ed ha chiesto che il giudice, accertato il suo diritto di comproprietà su un palmento (a lui pervenuto, in parte, per successione ereditaria dal padre Z.S. ed, in altra parte, per l’acquisto delle quote delle sorelle Ag. e Gi.), condannasse il convenuto a rilasciare l’immobile, rispettando la turnazione prevista.

A sostegno di tali domande, l’attore ha dedotto che: – nel verbale del 2/1/1964, in sede di divisione giudiziaria dei beni che i rispettivi genitori avevano ricevuto dal padre, era stato stabilito che il palmento restasse in comune tra i fratelli, oltre ad un terzo estraneo, con il, diritto di ciascuno di pigiare ogni anno le uve di rispettiva proprietà e di averne, per il resto, l’uso esclusivo per tre anni consecutivi a rotazione; – nel 1985, aveva acconsentito alla richiesta del cugino di utilizzare l’immobile come deposito di materiale edile, rinunciando alla sua fruizione nel periodo di godimento a lui spettante; – il cugino aveva, quindi, continuato a trattenere l’immobile ed, a fronte di una formale richiesta di rilascio in data 6/12/1996, aveva opposto una presunta usucapione.

Z.A. (fu G.), a sua volta, ha dedotto che, in base al sorteggio, il suo dante causa aveva ricevuto l’assegnazione del godimento esclusivo del palmento per il primo triennio e che, da quel momento, egli era sempre rimasto nel possesso del bene, detenendone in via esclusiva le chiavi e concedendone l’uso ad un vicino, eccependo, quindi, la maturata prescrizione ventennale.

Il tribunale, con sentenza del 30/9/2005, rigettata l’eccezione di usucapione, ha dichiarato il diritto dell’attore a godere dell’immobile secondo le modalità del verbale del 2/1/1964.

Z.A. (fu G.), con atto di citazione notificato in data 19/11/2005, ha proposto appello avverso tale sentenza, chiedendo il rigetto delle domande proposte dall’attore.

Z.A. (fu S.) ha resistito all’appello, chiedendone il rigetto.

Con comparsa del 9/11/2009 si sono costituiti Za.Gi., Z.S. e P.A., in proprio e nella qualità di eredi di Z.A. (fu S.), insistendo nelle sue deduzioni e richieste.

La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello ed ha, per l’effetto, confermato l’impugnata sentenza.

Z.A. (fu G.), con ricorso notificato in data 1/12/2015, ha chiesto, per quattro motivi, la cassazione della sentenza, notificata il 2/10/2015.

Hanno resistito, con controricorso notificato l’8/1/2016, Za.Gi., Z.S. e P.A., in proprio e nella qualità di eredi di Z.A. (fu S.).

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1102 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, pur avendo ritenuto che i fratelli Z. avessero dato luogo ad una regolamentazione convenzionale dell’uso della cosa rimasta in comunione ereditaria, ha ritenuto che nè Z.G. nè suo figlio A. abbiano mai tenuto un comportamento o compiuto un atto idoneo a rivelare un mutamento del titolo del possesso uti dominus e non più uti condominus.

1.2. Eppure, ha osservato il ricorrente, in tema di comunione, non essendo ipotizzabile un mutamento della detenzione in possesso nè un’interversione del possesso nei rapporti tra i comproprietari, ai fini della decorrenza del termine per l’usucapione è idoneo soltanto un atto (o un comportamento) il cui compimento da parte di uno dei comproprietari realizzi l’impossibilità assoluta per gli altri partecipanti di proseguire un rapporto materiale con il bene.

1.3. Nel caso di specie, ha proseguito il ricorrente, già a far data dalla scadenza del primo triennio ma certamente dal novembre del 1971 e fino al dicembre del 1996, e quindi per oltre venticinque anni, Z.S., prima, e Z.A. (fu S.), poi, hanno conservato il possesso solo animo, senza avere alcuna possibilità di un rapporto materiale con il bene perchè chiuso o recintato da Z.A. (fu G.).

1.4. La corte d’appello, quindi, pur avendo correttamente accertato i fatti, e cioè che il palmento è rimasto chiuso con chiavi possedute esclusivamente da Z.A. (fu G.) a partire dal 1968, con la scadenza del primo triennio di assegnazione contrattuale, fino all’attualità, con la continua esclusione di Z.S., prima, e di Z.A. (fu S.), poi, ed, infine, degli odierni controricorrenti, da qualsiasi rapporto materiale con il bene in questione, ha erroneamente ritenuto che tale atto, e cioè la chiusura a chiave, non attestasse univocamente l’estensione del possesso, già goduto da Z.A. (fu G.) in qualità di comproprietario, in termini di esclusività ed assolutezza.

1.5. In effetti, ha proseguito il ricorrente, la chiusura con chiavi proprie del bene comune, ove protratta nei successivi trent’anni anche durante i periodi autunnali destinati alla pigiatura delle uve, in modo tale da escludere la possibilità di un rapporto materiale con il bene da parte di tutti gli altri comproprietari, integra il possesso ad usucapionem in capo al comproprietario che ne ha avuto il possesso esclusivo per oltre un ventennio.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione dell’art. 115 c.p.c., l’affermazione di fatto escluso dalla produzione documentale in atti ed il travisamento di fatto documentale, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto significativo che la scrittura di divisione del 2/1/1964 contenesse una postilla con la quale il termine “possesso” viene sostituito con il termine “uso” nell’espressione “ne godranno l’uso esclusivo per tre anni consecutivi per ciascuno a rotazione”, laddove, in realtà, in nessun luogo di tale atto è dato rinvenire l’indicata postilla, “almeno nel significato notarile del termine”.

3.1. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando l’omesso esame di fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 e la violazione e falsa applicazione dell’art. 1102 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, pur evidenziando che Z.G. aveva ottenuto, a seguito del sorteggio del 2/1/1964, l’uso esclusivo del bene per il primo triennio e che, a seguito della sua morte, l’immobile era rimasto nell’uso dei suoi figli e non di Z.S., come la prevista turnazione avrebbe imposto, ha omesso di valutare, ai fini della decisione, il fatto che la cessazione dell’uso turnario ad opera di uno dei condividenti costituisce un elemento inequivocamente significativo del mutamento del titolo del possesso.

3.2. Così facendo, infatti, ha proseguito il ricorrente, la corte d’appello ha finito per considerare il palmento in questione come un bene comune ad uso indifferenziato, con la conseguenza che l’inerzia del compossessore escluso sarebbe irrilevante posto che l’altro compossessore eserciterebbe il suo possesso conformemente al titolo, laddove, in realtà, nel caso in esame, l’uso del bene comune è stato contrattualmente disciplinato come turnario, per cui il possesso esclusivo da parte di uno dei compossessori dopo la scadenza del relativo turno costituisce non semplicemente l’espressione più intesa del compossesso ma, al contrario, l’esclusione dell’altrui possesso in modo non conforme al titolo originario. La scadenza del periodo di uso turnario con la fine della stagione autunnale 1966 ha comportato, quindi, la scadenza dell’uso esclusivo pattizio e l’inizio di un periodo di uso esclusivo absque pactis che, come tale, è idoneo all’usucapione.

3.3. Nello stesso modo, ha proseguito il ricorrente, la protrazione della chiusura del palmento a far data dal 1966 ad oggi non poteva essere interpretata da Z.S., escluso da possesso, se non come manifestazione di un possesso esclusivo da parte del nipote Z.A. fu G..

4. 1. Con il quarto motivo, il ricorrente, lamentando la violazione dell’art. 115 c.p.c., in rapporto alla denegazione delle domande istruttorie, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1102 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello che le circostanze che emergono dalla consulenza tecnica d’ufficio e quelle sulle quali è stata chiesta la prova per interpello e per testi, appaiono del tutto irrilevanti a dimostrare il passaggio da un originario compossesso ad un possesso esclusivo, tale da legittimare l’acquisto per usucapione dell’intera proprietà.

4.2. Così facendo, tuttavia, ha osservato il ricorrente, la corte d’appello ha omesso di considerare che, quando il compossesso si estrinsechi come possesso turnario esclusivo, la protrazione del possesso al di fuori del turno previsto, configurandosi di per sè come atto che esclude gli altri condividenti dal possesso, assume concreta e decisiva rilevanza ai fini della valutazione della ricorrenza dei presupposti della maturata usucapione.

5.1. Il primo ed il terzo motivo, da trattare congiuntamente per l’evidente connessione dei temi trattati, sono infondati, con assorbimento del secondo e del quarto.

5.2. La corte d’appello, invero, dopo aver accertato, in fatto, che: – il tribunale di Messina, con sentenza n. 102 del 1962, all’esito del giudizio promosso da Z.S., nato nel (OMISSIS), contro il fratello G., nato nel (OMISSIS), ha dichiarato aperta la successione per testamento di Z.A., morto l'(OMISSIS), ed ha ordinato la divisione dei cespiti in due quote di pari valore, da attribuire in sorteggio ai predetti figli, secondo il progetto predisposto dal consulente tecnico d’ufficio, il quale prevedeva che i diritti sul palmento, in condominio tra attore, convenuto ed una terza persona, restano come sono; – con il verbale di divisione giudiziaria in data 2/1/1964, redatto da notaio che con separata ordinanza era stato delegato alle operazioni divisionali, i fratelli Z. hanno convenuto che, relativamente al palmento esistente nel fondo oggetto della divisione (“che giusta la sentenza e perizia resta in comune ed indiviso tra i condividenti ed una terza persona estranea”), fermo restando il diritto di pigiare ogni anno le uve di proprietà di ciascuno di essi, per il periodo di tempo in cui il cespite non è adibito a tale uso, gli stessi “ne godranno l’uso esclusivo per tre anni consecutivi per ciascuno a rotazione” e che “il godimento e l’uso della rotazione già iniziata verrà stabilito con sorteggio”; – all’esito di tale incombente, il lotto A, comprensivo del godimento e dell’uso già iniziato, era attribuito a Z.G. mentre il lotto B era attribuito a Z.S.; ha ritenuto che, con tale atto, i fratelli Z. hanno dato luogo ad una “regolamentazione convenzionale dell’uso della cosa rimasta in comunione ordinaria, mediante la previsione di turni triennali di utilizzo esclusivo e lasciando salvo il diritto di ciascuno di loro, come pure di quello del terzo, di pigiare ogni anno le uve di rispettiva proprietà”: in particolare, ha proseguito la corte, la durata triennale dei turni ragionevolmente implicava che ciascuno potesse, in un così lungo periodo, fare dell’immobile qualunque utilizzo che fosse conforme alla generica destinazione a deposito o magazzino e non incompatibile con lo specifico impiego come palmento, limitato ad un ristretto periodo dell’anno. Il detentore di turno, quindi, pur in assenza di una specifica disciplina nell’atto dei poteri e degli obblighi dei comproprietari, aveva il dovere, anche in funzione dello specifico uso impresso al bene nel corso del periodo compreso tra due successive vendemmie, di curare, nei tre anni del suo turno, l’ordinaria manutenzione del cespite, apportando a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento dello stesso, compresa la predisposizione di idonee chiusure atte a prevenire eventuali indebite incursioni, comprese quelle degli stessi comproprietari. Del resto, ha aggiunto la corte, la postilla contenuta nell’atto, con cui il termine “possesso” viene sostituito con “uso” nell’espressione “ne godranno l’uso esclusivo per tre anni consecutivi per ciascuno a rotazione”, dimostra la chiara intenzione delle parti di voler regolamentare, con tale atto, l’uso del bene comune ma non di rinunciare al compossesso dell’immobile vantato, fino a quel momento, da entrambi quali coeredi: a parte il comune utilizzo da parte di tutti per l’annuale pigiatura delle uve, cioè, “il beneficiario di turno avrebbe avuto la materia detenzione del bene mentre l’altro avrebbe composseduto solo animo”. Dopo la morte di Z.G., che aveva ottenuto l’uso esclusivo dell’immobile per il primo triennio, ha proseguito la corte, l’immobile è rimasto in uso ai suoi figli senza che si fosse verificato il subentro di Z.S. secondo la prevista turnazione. La corrispondenza tra le parti negli anni successivi, tuttavia, dimostra, ha precisato la corte, da una parte, un persistente esercizio, da parte di Z.S., di poteri corrispondenti a quelli del comproprietario e, dall’altra parte, che nessun atto o comportamento è stato compiuto dall’appellante diretto a contestare o impedire tale esercizio. Del resto, ha aggiunto la corte, neppure negli anni successivi l’appellante ha mai alterato la destinazione d’uso dell’immobile, che ha conservato la funzione già esistente al momento dell’atto del 2/1/1964, venuta meno, invece, per la sua progressiva rovina, quella di palmento. Nè, ha proseguito la corte, l’appellante ha mai rifiutato ai parenti la pigiatura dell’uva e neppure – fino alla missiva del 6/12/1996 – di consegnare agli stessi l’immobile secondo la turnazione triennale, “non risultando per iscritto, nè essendo stato mai dedotto e fatto oggetto di capitolato testimoniale, che S. o altro suo familiare avesse in qualche circostanza avanzato una richiesta in tal senso e questa fosse stata respinta o anche solo ignorata da G. o dall’erede”. Le circostanze che emergono dalla consulenza tecnica d’ufficio (e cioè l’utilizzo dell’immobile come deposito da parte del solo appellante ed il possesso da parte dello stesso delle chiavi del catenaccio), al pari di quelle sulle quali è stata richiesta la prova per interpello e per testi, appaiono, ha proseguito la corte, tutte irrilevanti al fine di dimostrare il passaggio da un originario compossesso ad un possesso esclusivo, tale da legittimare l’acquisto per usucapione dell’intera proprietà. Ed infatti, ha osservato la corte, il comproprietario può usucapire la quota degli altri comproprietari, senza che sia necessaria l’interversione del titolo del possesso, attraverso l’estensione del possesso medesimo in termini di esclusività, ma a tal fine non è sufficiente che gli altri partecipanti si siano astenuti dall’uso della cosa, occorrendo altresì che il comunista ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus, con il compimento di atti rivolti contro il compossessore e tali da rendere riconoscibile l’intenzione di possedere il bene a titolo esclusivo. Ed è, pertanto, irrilevante, ha concluso la corte, che l’originario attore (e, prima di lui, il padre Z.S.), quali che ne siano state le ragioni, non avesse più utilizzato il palmento nè usufruito della turnazione triennale nel godimento del bene.

5.3. La corte d’appello, così opinando, si è attenua al principio ripetutamente affermato da questa Corte secondo il quale, in tema di compossesso, il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori, in mancanza di prova di un atto o di un fatto da cui possa desumersi l’esclusione degli altri compossessori, non è, di per sè, idoneo a far ritenere lo stato di fatto così determinatosi funzionale all’esercizio del possesso ad usucapionem, e non anche, invece, conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte dell’altro compossessore, risultando, per converso, necessario, a fini di usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sulla res da parte dell’interessato attraverso un’attività apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l’onere della relativa prova su colui che invochi l’avvenuta usucapione del bene (Cass. n. 8152 del 2001; Cass. n. 19478 del 2007; Cass. n. 17462 del 2009): non sono, in particolare, sufficienti a tal fine atti di mera gestione del bene, come la chiusura dell’accesso, consentiti al singolo compartecipante, ovvero anche atti familiarmente tollerati dagli altri, come la permanenza nell’immobile pur dopo la cessazione del periodo corrispondente al turno convenzionalmente stabilito per il relativo godimento del cespite, o ancora atti che, comportando solo il soddisfacimento di obblighi o l’erogazione di spese per il miglior godimento della cosa comune, non possono dare luogo ad una estensione del potere di fatto sulla cosa nella sfera di altro compossessore (Cass. n. 9100 del 2018).

7. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

8. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese di lite, che liquida in Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2020

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