Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8778 del 13/04/2010

Cassazione civile sez. II, 13/04/2010, (ud. 11/03/2010, dep. 13/04/2010), n.8778

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Luigi – rel. Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consiglie – –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 14427-2005 proposto da:

B.A., (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, PIAZZA SAN COSIMATO 30, presso lo studio dell’avvocato

MONTANINI GIUSEPPE, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato EUFORBIO CRISTIANO ROBERTO;

– ricorrente –

contro

CO.LU. (OMISSIS), in proprio e nella qualità di

erede di C.S., C.G.M.

(OMISSIS), C.E.M., (OMISSIS), CI.

S. (OMISSIS), tutti eredi di C.S.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PREMUDA 6, presso lo studio

dell’avvocato CODERONI ANTONIO, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 5519/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 30/12/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/03/2010 dal Consigliere Presidente Dott. LUIGI PICCIALLI;

udito l’Avvocato CODERONI ANTONIO, difensore del controricorrente che

ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo che ha concluso per il rigetto del ricorso principale

con correzione della motivazione.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 25.9.90 Co.Lu. e C. S., quali proprietari di un terreno sito in agro di (OMISSIS), citarono al giudizio del Pretore di Rieti B.B., proprietario di un fondo finitimo, ascrivendogli l’illegittimo sconfinamento per circa settanta centimetri, nel corso di lavori diretti alla realizzazione di una recinzione in muratura, all’interno della proprietà degli istanti; chiesero pertanto stabilirsi l’esatto confine, apporsi i termini lapidei e condannarsi il convenuto alla restituzione della striscia di terreno occupata, oltre al risarcimento dei danni in misura equitativa.

Il convenuto si costituì ed eccepì, in via preliminare, l’incompetenzà per valore del giudice adito e, nel merito, di aver usucapito ex art. 1159 bis c.c. il suolo in contestazione. Espletate l’istruttoria documentale e testimoniale e la disposta consulenza tecnica di ufficio, con sentenza del 15/19.2.97 il Pretore accolse la preliminare eccezione e rimise le parti innanzi al Tribunale in sede, dove la causa fu riassunta dagli attori, interrotta per decesso del convenuto e nuovamente riassunta nei confronti dell’erede B. A., il quale si costituì confermando la contestazione della domanda e chiedendo, in via riconvenzionale, di essere dichiarato proprietario del terreno conteso per usucapione.

Con sentenza del 20.4.00, il Tribunale di Rieti accertato e dichiarato il confine sulla scorta delle consulenza tecnica,accolta la domanda principale e disattesa la riconvenzionale, condannò il convenuto al rilascio della striscia di terreno,previa rimozione o arretramento della recinzione, nonchè al risarcimento dei danni in misura di L. 1.000.000. Tale decisione,all’esito del gravame del soccombente,resistito dalla sola Co. nella contumacia del C., fu confermata dalla Corte d’Appello di Roma, sull’essenziale rilievo che, al terreno de quo assenza di un fabbricato rustico insistente sulla parte contesa, e non avendo il possesso di parte convenuta raggiunto la durata di venti anni, non poteva applicarsi l’usucapione quindecennale di cui all’art. 1159 bis c.c. introdotto dalla L. n. 346 del 1976, richiedente oltre all’ubicazione del fondo in comune montano, anche la suddetta condizione.

Avverso tale sentenza il B. ha proposto ricorso per cassazione deducendo due motivi. Hanno resistito, con comune controricorso, Co.Lu., anche nella qualità di erede di C.S., nelle more deceduto, e le altre eredi di quest’ultimo, le figlie S.G.M. ed E.M. C..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso viene dedotta violazione o falsa applicazione dell’art. 1159 bis c.c censurandosi il diniego di applicazione alla fattispecie sul rilievo dell’inesistenza di fabbricati, sul terreno rustico oggetto di contesaci riguardo richiamando la giurisprudenza di legittimità, escludente la necessità di tale condizione.

Il motivo,pur evidenziando il palese contrasto tra l’argomentazione reiettiva suddetta con il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sent. 10301/93),che ha chiarito come la menzione degli “annessi fabbricati” contenuta nella previsione dell’art. 1159 bis c.c. introdotto dalla L. n. 346 del 1976 valga solo a precisare che tale presenza non è ostativa all’applicazione della particolare fattispecie acquisitiva, estendendosi anche agli eventuali fabbricati esistenti sul fondo rustico, non può tuttavia essere accolto, risultando comunque la decisione impugnata conforme a diritto,per cui deve essere confermata ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, correggendone la relativa motivazione.

Questa Corte, invero, ha avuto modo ripetutamente di precisare che ai fini dell’applicabilità del nuovo istituto introdotto dalla suddetta normativa, essenzialmente finalizzata ad incoraggiare lo sviluppo e salvaguardare il lavoro agricolo,non è tanto rilevante la circostanza che il terreno, sito in territorio montano (o equiparato L. n. 346 del 1976, ex art. 2 in ragione del ridotto reddito dominicale), sia iscritto nel catasto rustico, quanto invece quella che lo stesso sia stato oggetto di concreta coltivazione (Cass. 13325/00), quanto meno all’atto dell’inizio della possessio ad usucapionem costituendo un’entità agricola ben individuata ed organizzata, destinata alla relativa produzione (v. Cass. 14577/04, 1045/95, 2159/86).

Tali e non altre essendo le finalità del particolare istituto e considerato che la disposizione non contempla genericamente i “terreni” agicoli, ma i “fondi rustici”,deve ritenersi che la stessa non sia applicabile allorquando il possesso protratto venga dedotto ai fini dell’acquisizione della proprietà di limitate superfici di suolo ancorchè facenti parte di maggiori fondi coltivati o coltivabili siti in zone montane,che non siano di per sè sole idonee a costituire un’autonoma unità produttiva. L’eccezionaiità della disposizione introdotta dalla L. n. 346 del 1976 rispetto a quella generale di cui all’art. 1158 c.c., non ne consente l’applicazione analogica a quelle ridotte estensioni di terreno, che di per sè non integrino un “fondo rustico” nel senso sopra precisato o siano a tanto idonee. Nè è sostenibile un’interpretazione estensiva, in relazione alle intenzioni del legislatore,tenuto conto che nella specie le finalità in concreto perseguite rispondono solo alle esigenze di incrementare lo sviluppo agricolo, evitando l’abbandono di unità fondiarie site in zone poco appetibili non anche a quelle di risolvere questioni di confine, comunque privilegiando le situazioni di fatto ed accordando “sconti” rispetto alle generali previsioni contenute nella previgente e generale norma di cui all’art. 1158 c.c..

Neppure rilevante,al fine di sostenere l’applicabilità di tale usucapione abbreviata anche alle ridotte estensioni insuscettibili di costituire,di per sè sole,un’unità produttiva agricola,può ritenersi l’inciso “qualunque siano la loro estensione ed il loro reddito”, considerato che lo stesso comunque si riferisce ai “fondi rustici” e risulta funzionale soltanto alla prevista diversità di trattamento tra quelli siti nella zone montane,per i quali sono indifferenti gli elementi dimensionale e fiscale (purchè si tratti comunque di fondi nel senso sopra precisato), rispetto a quelli siti nei territori non montani.

Pertanto nel caso in esame,in cui la controversia atteneva non ad una entità fondiaria che seppure di dimensioni modeste, fosse di per sè suscettibile di una autonoma vicenda produttiva, ma soltanto ad una striscia di suolo (larga appena cm. 70) interposta tra due fondi, dall’una e dall’altra rivendicata per questioni di confine,giustamente la corte di merito, anche se con motivazione non corretta,ha confermato il rigetto della domanda riconvenzionale ex art. 1158 bis. c.c..

Con il secondo motivo di ricorso viene dedotta “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo …”, censurandosi il “generico rinvio operato dal giudice a qua alle risultanze peritali, senza tenere in alcun conto le deduzioni pur puntuali, di quello di esso appellante”. La Corte d’Appello, limitandosi a ritenere le conclusioni del c.t.u. “congruamente e logicamente motivate e fondate su documentazione incontrovertibile” e nel ritenere l’illiceità dell’occupazione derivante dalla posizione della recinzione, non avrebbe considerato che proprio tale elemento costituiva “il presupposto della domanda riconvenzionale di usucapione, destituendo di ogni fondamento l’azione intrapresa dai coniugi sigg.ri. Co.- S.”.

Il motivo va re spinto,difettando sotto il primo dei dedotti profili di autosufficienza, in quanto non specifica quali sarebbero state le “puntuali deduzioni” del consulente di parte, sicchè, a fronte della genericità della censura, resiste al vaglio di legittimità il rinvio per relationem operato dal giudice di merito alla risultanze della consulenza tecnica di ufficio, che è possibile nei casi in cui la stessa non sia stata fatta oggetto di espresse e pertinenti critiche. Sotto il secondo profilo,il mezzo d’impugnazione si risolve in una mera ed altrettanto generica doglianza,palesemente in fatto,che senza evidenziare alcuna carenza o illogicità della motivazione della sentenza impugnataci limita del tutto assertivamente a sostenere che il proprio possesso, la cui sfera sarebbe stata materializzata ed esternata dalla presenza della recinzione, si sarebbe protratto per durata tale da comportare l’acquisto per usucapione.

Ma tanto è stato motivatamente escluso dalla corte di merito, che ha ritenuto non raggiunto il ventennio richiesto dalla generale norma di cui all’art. 1158 c.c., essendo l’acquisto del terreno ed il relativo frazionamento da parte degli appellati avvenuti nel (OMISSIS), diciotto anni prima della proposizione della domanda, argomentanzione che non viene specificamente censurata. Quanto o all’esclusione dell’applicabilità dell’art. ex art. 1158 bis c.c., la questione è stata già esaminata con il precedente motivo.

Il ricorso va,in definitiva,respinto.

Tenuto conto tuttavia che la proposizione dell’impugnazione è stata propiziata,per quanto considerato nell’esame del primo motivo,da una non corretta argomentazione contenuta sentenza di secondo grado e che sull’applicabilità dell’art. 1159 bis c.c. a ridotte estensioni di terreno, facenti parte di maggiori unità fondiarie in zone montane, non constano precedenti giurisprudenziali in termini sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e dichiara interamante compensate le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 11 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2010

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