Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8777 del 15/04/2011

Cassazione civile sez. lav., 15/04/2011, (ud. 16/02/2011, dep. 15/04/2011), n.8777

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

ILVA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo

studio dell’avvocato ROMEI ROBERTO, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati TORCHIO STEFANO, FAILLA LUCA MASSIMO, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO 50,

presso lo studio dell’avvocato COSSU BRUNO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GOLDA CARLO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza non definitiva n. 287/2008 del TRIBUNALE di

GENOVA, depositata il 03/03/2008, r.g.n. 2841/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/02/2011 dal Consigliere Dott. MAURA LA TERZA;

udito l’Avvocato VALERIA COSENTINO per delega ROMEI ROBERTO;

udito l’Avvocato COSSU BRUNO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l’improcedibilita’.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.R. aveva chiesto la condanna dell’Ilva, di cui erano dipendenti presso lo stabilimento di (OMISSIS), al pagamento delle retribuzioni spettanti a titolo di compenso per lavoro straordinario per i c.d. ” tempi di percorrenza” e per i c.d. “tempi di vestizione”, cioe’ dei tempi necessari per arrivare dai tre cancelli di accesso allo stabilimento fino ai singoli reparti, in cui erano collocati i terminali marca tempo, nonche’ dei tempi necessari per indossare gli indumenti di lavoro. Nel contraddittorio con l’Ilva, che si opponeva alla domanda l’adito Tribunale di Genova, con la sentenza impugnata resa ai sensi dell’art. 420 bis cod. proc. civ., interpretava la contrattazione collettiva di riferimento nel senso che le relative clausole escludono questi tempi dal computo dell’orario di lavoro retribuito; indi il Giudice adito le dichiarava nulle nella parte in cui non considerano, come orario di lavoro da retribuire, i periodi di tempo, ivi compresi quelli per la vestizione degli indumenti di lavoro e i dispositivi di protezione individuale, necessari per arrivare dall’ingresso dallo spogliatoio alle effettive posizioni di lavoro e viceversa. Avverso detta sentenza l’Ilva ricorre con quattro complessi motivi. Il lavoratore resiste con controricorso con cui eccepisce la inammissibilita’ del ricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente rigettata la eccezione di inammissibilita’ del ricorso, sostenendo il M. che sarebbero stati sollevati profili attinenti al merito da far valere solo con l’appello e non con il ricorso immediato in cassazione. La eccezione e’ infondata perche’ si e’ qui al cospetto di una sentenza che ha giudicato sulla validita’ e sulla interpretazione della contrattazione collettiva, come espressamente previsto dalla disposizione codicistica citata, e le censure proposte dall’Uva si appuntano sulla affermata nullita’ delle clausole contrattuali e quindi si tratta di un tipico ricorso ex art. 420 bis con cui si lamenta l’erroneita’ della medesima statuizione di nullita’. Va invece rilevata la eccezione improcedibilita’ del ricorso.

La societa’ infatti, nella parte relativa alla narrativa dei fatti deduce di fare applicazione del “CCNL Metalmeccanici Industria (doc. 2 del fascicolo di merito)”.

Detto contratto collettivo si trova effettivamente nel fascicolo di parte, ma solo per estratto, come risulta dallo stesso indice, ma non in forma completa. Cio’ determina l’improcedibilita’ del ricorso secondo il principio enunciato dalle Sezioni unite di questa Corte n. 20075 del 23/09/2010 con cui si e’ affermato che “L’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella parte in cui onera il ricorrente (principale od incidentale), a pena di improcedibilita’ del ricorso, di depositare i contratti od accordi collettivi di diritto privato sui quali il ricorso si fonda, va interpretato nel senso che, ove il ricorrente impugni, con ricorso immediato per cassazione ai sensi dell’art. 420 bis c.p.c., comma 2, la sentenza che abbia deciso in via pregiudiziale una questione concernente l’efficacia, la validita’ o l’interpretazione delle clausole di un contratto od accordo collettivo nazionale, ovvero denunci, con ricorso ordinario, la violazione o falsa applicazione di norme dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, (nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2), il deposito suddetto deve avere ad oggetto non solo l’estratto recante le singole disposizioni collettive invocate nel ricorso, ma l’integrale testo del contratto od accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni, rispondendo tale adempimento alla funzione nomofilattica assegnata alla Corte di cassazione nell’esercizio del sindacato di legittimita’ sull’interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale. Ove, poi, la Corte ritenga di porre a fondamento della sua decisione una disposizione dell’accordo o contratto collettivo nazionale depositato dal ricorrente diversa da quelle indicate dalla parte, procedendo d’ufficio ad una interpretazione complessiva ex art. 1363 cod. civ. non riconducitele a quanto gia’ dibattuto, trova applicazione, a garanzia dell’effettivita’ del contraddittorio, l’art. 384 c.p.c., comma 3, (nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 12), per cui la Corte riserva la decisione, assegnando con ordinanza al P.M. e alle parti un termine non inferiore a venti giorni e non superiore a sessanta dalla comunicazione per il deposito in cancelleria di osservazioni sulla questione”.

Poiche’ il principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite e’ vincolante per le sezioni semplici ai sensi dell’art. 374 cod. proc. civ., penultimo comma (nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 8), il ricorso va dichiarato improcedibile.

Ne’ sarebbe possibile la enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge, previsto dall’art. 363 c.p.c., comma 3, proprio perche’ il mancato deposito integrale del CCNL impedisce di addivenire alla sua interpretazione. ricorrente va condannato alla rifusione delle spese liquidate come da dispositivo, da distrarsi.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara improcedibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 51,00, oltre duemila/00 Euro per onorari oltre spese generali, Iva e CPA, da liquidarsi a favore dell’avv. Bruno Cossu antistatario.

Cosi’ deciso in Roma, il 16 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2011

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