Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8776 del 13/04/2010

Cassazione civile sez. II, 13/04/2010, (ud. 09/03/2010, dep. 13/04/2010), n.8776

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – rel. Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 12606-2007 proposto da:

ENEL DISTRIBUZIONE SPA (OMISSIS), in persona del legale rapp.te

p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5,

presso lo studio dell’avvocato MANZI LUIGI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato LECCE REGINALDO;

– ricorrente –

contro

M.A.; (C.F. (OMISSIS));

– intimato –

avverso la sentenza n. 385/2006 del TRIBUNALE di LAMEZIA TERME,

depositata il 20/09/2006;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/03/2010 dal Presidente Dott. ROBERTO MICHELE TRIOLA;

udito l’Avvocato ALBINI CARLO,con delega depositata in udienza

dell’Avvocato MANZI LUIGI,difensore del ricorrente che nulla oppone;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che concorda con la relazione art. 380

bis c.p.c..

La Corte Rilevato che è stata depositata la seguente relazione ex

art. 380 bis cod. proc. civ.:

 

Fatto

PREMESSO IN FATTO

M.A. conveniva davanti al Giudice di pace di Svoeria Mannelli l’ENEL Distribuzione S.p.A. e premetteva: che era proprietario di un fondo sito in agro di (OMISSIS);

che l’Enel aveva illegittimamente effettuato lavori di escavazione nel loro fondo con impianto di due pali per l’attraversamento della linea elettrica di passaggio, con conseguente danneggiamento del terreno e delle colture, anche a causa degli interventi di manutenzione della linea elettrica; che avevano diritto all’indennità per la infissione di pali, a quella per la diminuzione di valore della zona occupata e a quella per l’occupazione temporanea.

Tanto premesso, chiedevano che l’Enel fosse condannato al risarcimento del danno subito nei limiti di Euro 1,032,91, oltre interessi dalla domanda.

L’Enel Distribuzione S.p.A. si costituiva e chiedeva, in via preliminare, che fosse dichiarata l’incompetenza per materia del Giudice di Pace adito in favore del Tribunale di Lamezia Terme; in via gradata, chiedeva che, in ragione del principio di connessione con la riconvenzionale di accertamento di usucapione ovvero di costituzione di servitù, entrambe le domande fossero rimesse al Tribunale di Lamezia Terme; chiedeva, nel merito, che la domanda principale fosse rigettata per difetto di legittimazione, perchè prescritta, non provata e infondata in fatto e in diritto e, in via subordinata, che il risarcimento preteso fosse ridotto in misura equa. Il Giudice di Pace adito, con sentenza emessa in data 11 agosto 2003, dichiarava la competenza per materia sulla domanda principale e la propria incompetenza per materia in ordine alla domanda riconvenzionale; nel merito, in accoglimento della spiegata principale, condannava l’Enel Distribuzione S.p.A. al pagamento della somma di Euro 500,0, oltre interessi legali, a titolo di risarcimento danni.

L’Enel Distribuzione S.p.A. interponeva appello e chiedeva che, in integrale riforma della sentenza gravata, fosse dichiarata l’incompetenza del Giudice di pace di Soveria Mannelli in favore del Tribunale adito e che il medesimo Tribunale accogliesse le proposte riconvenzionali e rigettasse la spiegata domanda principale di risarcimento danni.

Con sentenza in data 20 settembre 2006 il Tribunale di Lamezia dichiarava inammissibile l’appello in base alla seguente motivazione:

Il gravame spiegato (appello) è inammissibile poichè, in ragione delle censure sollevate rispetto al tenore delle pronunce impugnate, in funzione delle domande all’origine proposte, doveva essere proposto ricorso per cassazione. Solo quando il giudice di pace decide su cause di valore superiore ad Euro millecento deve pronunciare secondo diritto e non secondo equità e ciò comporta che le relative sentenze possono essere impugnate solo con il rimedio dell’appello e non con quello del ricorso immediato per cassazione, ammissibile, per contro, solo per le cause di valore inferiore. Ora, l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile avverso le sentenze del giudice di pace avviene giustappunto in funzione della domanda, con riguardo al suo valore (ai sensi degli artt. 10 e seg.

c.p.c.) e all’eventuale rapporto contrattuale dedotto (“contratto di massa” o meno) e non del contenuto concreto della decisione e del criterio decisionale adottato (equitativo o di diritto), operando – invece – il principio dell’apparenza nelle sole residuali ipotesi in cui il giudice di pace si sia espressamente pronunziato su tale valore della domanda ovvero sull’essere la stessa fondata su un contratto concluso con le modalità di cui all’ari. 1342 c.c. (cfr., da ultimo, con riferimento alla soluzione di un contrasto insorto tra sezioni semplici, Cass. S.U. 16.06.2006, n. 13917). E ciò in guisa dell’originaria formulazione degli artt. 339 e 113 c.p.c., antecedente alle modifiche introdotte per effetto del D.Lgs. 2 .2006, n. 40, la cui efficacia decorre dal 2.03.2006 (significativamente, in base all’attuale comma terzo dell’art. 339 c.p.c., le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità a norma dell’art. 113 c.p.c., comma 2 sono appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia). Ancora, il riferimento al principio della domanda, allo scopo di individuare il mezzo di impugnazione, e segnatamente l’ammissibilità del solo ricorso per cassazione avverso le sentenze del giudice di pace emesse in cause il cui valore non eccede L. 2.000.000 (rette, attuali Euro 1.100,00), salvo che non si tratti di contratti di massa, opera sia che il giudice si sia pronunciato sul merito della controversia sia che si sia limitato ad emettere una pronuncia sulla competenza o su altra questione preliminare di rito o di merito o abbia, infine, pronunciato sulla competenza e sul merito, restando irrilevante che il merito sia stato deciso secondo equità o secondo diritto (cfr.

Cass. S.U. 20.11.1999, n. 803; Cass. S.U. 14.12.1998, n. 12542; Cass. S.U. 13.09.1998, n. 9493, che già applicavano il principio recepito dalle recenti S.U. prima richiamate). Pertanto, non è il contenuto della decisione a determinare il mezzo di impugnazione proponibile bensì il valore della domanda proposta, salva l’ipotesi residuale delineata (cfr. anche Cass. S.U. 6.06.2005, n. 11701; Cass. S.U. 15.11.2002, n. 16162). Nella specie, la sentenza del giudice di pace che ha deciso nel merito la domanda principale è da qualificare, non già di diritto, ma secondo equità, per la semplice ragione che rientra nella previsione di cui all’art. 7 c.p.c. e rispetta la soglia stabilita per la decisione secondo equità. Segnatamente, la domanda con la quale gli istanti chiedono di essere risarciti del danno subito a seguito dell’infissione sul proprio fondo di pali di sostegno di una linea elettrica, in mancanza della costituzione di una servitù, non costituisce una causa relativa a beni immobili e, pertanto, se di valore inferiore all’importo tassato dal citato art. 7 c.p.c., appartiene alla competenza del giudice di pace e va decisa secondo equità, se rientra nel limite di valore di cui all’art. 113 c.p.c., comma 2 (cfr. Cass. 26.02.2003, n. 2889). Per converso, la prima sentenza impugnata ha dichiarato l’incompetenza sulla domanda riconvenzionale della convenuta, autenticamente riferita a beni immobili (dichiarazione di usucapione ovvero costituzione coattiva di servitù), contro cui sarebbe stato in astratto ammissibile solo il rimedio dell’appello e non il ricorso immediato per cassazione (cfr.

Cass. 7.01.2004, n. 55; Cass. 26.02.2003, n. 2890). Sennonchè, la prima decisione appellata ha anche statuito espressamente sull’inesistenza di ragioni di connessione tra le due domande (e questa è circostanza determinante). Il che ha comportato la loro separazione, con la conseguente decisione nel merito della principale e con la disposizione della rimessione al giudice superiore (tribunale) per la riconvenzionale. Si rammenta, in proposito, che la rilevata esclusione della connessione è statuizione in rito che attiene alla domanda principale, ai sensi dell’art. 40 c.p.c., commi 6 e 7. L’eventuale ricorrenza (o meglio la ponderazione della ricorrenza) dei presupposti della connessione ex artt. 31, 32, 34, 35 e 36 c.p.c. avrebbe, infatti, comportato una declaratoria di incompetenza del giudice di pace adito con la domanda principale in favore del tribunale. Dunque, l’eccezione sollevata dall’appellata, nei limiti in cui investe nella sua interezza il gravame per appello che ne occupa, è degna di pregio, alla luce dell’ultima giurisprudenza del Giudice di legittimità che ha affrontato la questione (cfr. Cass. 11.07.2005, n. 14517; cfr. anche Cass. 11.07.2005, n. 14513; Cass. 31.05.2005, n. 11490), la quale è in linea con il principio di valutazione del mezzo di impugnazione sulla scorta della domanda e non della decisione. Ai sensi dell’art. 40 c.p.c., quando, come nella specie, davanti ai giudici di pace sia stata proposta, in via principale, una domanda da decidere secondo equità e, in via riconvenzionale, una domanda eccedente la sua competenza per materia o per valore, quel giudice non è tenuto a rimettere questa automaticamente al giudice competente ma deve procedere ad accertare se le due cause siano connesse. Non rileva, in questo momento dell’indagine diretta a individuare il mezzo di impugnazione esperibile contro la sentenza del giudice di pace, prendere posizione sulla questione relativa alla ricostruzione dei principi con i quali accertare se vi sia o meno connessione. Quel che rileva, invece, è che il giudice di pace, se ritiene esservi connessione, deve spogliarsi della domanda principale e di quella riconvenzionale, assegnando alle parti un termine perentorio per la riassunzione davanti al giudice superiore. Ove, invece, escluda la sussistenza della connessione, deve trattenere e decidere la causa di valore inferiore ai millecento Euro secondo equità e rimettere al tribunale solo la causa riconvenzionale, così come accaduto nella fattispecie. Ne discende, quindi, che l’accertamento sull’esistenza o meno della connessione costituisce momento logico-giuridico imprescindibile per la pronuncia del giudice di pace adito in via principale secondo equità e in via riconvenzionale con domanda eccedente la sua competenza e che la relativa statuizione, esplicita o implicita, è comunque indefettibile nella pronuncia resa in tale situazione processuale e costituisce capo autonomo della pronuncia.

Tale situazione poi è, per un verso, di natura strettamente processuale e, per altro verso, direttamente inerente alla causa principale, perchè influisce sulla competenza del giudice di pace a conoscere della causa originariamente proposta davanti a lui e sul suo potere di decidere in via di equità. Ora, se venga in contestazione detta statuizione e ne venga contestata la correttezza giuridica, nei suoi confronti unico rimedio impugnatorio esperibile è il ricorso per cassazione, proponibile contro la sentenza d’equità del giudice di pace cui inerisce la decisione processuale (cfr. Cass. 23.12.2003, n. 19762; Cass. 5.09.2003, n. 1080; Cass. S.U. 15.10.1999, n. 716, tra molte). Tanto premesso, occorre distinguere il caso nel quale il giudice di pace abbia riconosciuto da quello in cui abbia negato la connessione. Nel primo caso, che non riguarda la vicenda in esame, se il giudice di pace si è spogliato delle due cause, unica impugnazione ammissibile è il ricorso per cassazione e, ove la Corte di legittimità confermi la decisione, nulla quaestio. Se accolga il ricorso e neghi la connessione, rimetterà al giudice di pace la controversia principale e al tribunale quella di valore superiore. Nel secondo caso, in cui il giudice di merito ha escluso la connessione, come avvenuto nella specie, la casistica è più articolata: a) anzitutto se, come è conforme a diritto, il giudice di pace ha pronunciato nel merito sulla principale e si è spogliato dell’altra causa, la censura potrà riguardare la sola statuizione sulla connessione o anche quella sul merito e, in entrambi i casi, unico rimedio esperibile è il ricorso per cassazione perchè, per le già dette ragioni, la tematica attiene solo al processo di equità, in forza del valore della domanda proposta. L’accoglimento della censura di natura pregiudiziale sulla connessione comporterà, insieme alla cassazione della decisione del giudice di pace, l’attribuzione della competenza di entrambe le cause al giudice superiore, rimanendo così travolta la sentenza di merito sulla causa principale. Il rigetto della censura, invece, comporterà, con la conferma della statuizione del giudice di pace, il passaggio all’esame dei motivi proposti avverso la sentenza di merito sulla causa principale; b) qualora, invece, il giudice di pace, pur escludendo la connessione, abbia pronunciato in via di equità sulla domanda principale ed, evidentemente errando, anche nel merito della riconvenzionale, il soccombente dovrà impugnare col rimedio del ricorso per cassazione la pronuncia di equità e, con l’appello, la pronuncia sulla riconvenzionale, atteso che quest’ultima statuizione attiene ad un processo che, una volta esclusa la connessione, è – per definizione – distinto, separato e autonomo rispetto a quello di equità, sempre sulla scorta della domanda. Nella fattispecie, data l’autonomia delle statuizioni sulle due domande e rilevato che il giudice di pace ha escluso ogni collegamento tra la riconvenzionale di accertamento dell’usucapione o di costituzione coattiva della servitù e la principale tesa ad ottenere il risarcimento dei danni patiti per l’illegittima infissione dei pali, nei limiti di valore per l’applicazione dell’equità ed, sostitutiva (sulla quale peraltro cfr. Corte Cost.

5.07.2004, n. 206), le distinte statuizioni non connesse sarebbero state soggette a diversi mezzi di impugnazione, cioè la pronuncia sulla principale di equità a ricorso per cassazione e quella sulla riconvenzionale di diritto ad appello. Sennonchè, l’Enel Distribuzione S.p.A. ha contestato a monte che non vi fosse connessione tra le domande e che la domanda principale rientrasse nella competenza per materia del giudice di pace, il che esigeva che tali doglianze fossero fatte valere con il rimedio specifico del ricorso in cassazione, secondo lo schema sub a) prima esposto. Si tratta, infatti, di pronuncia in rito (difetto di connessione) che attiene alla domanda principale, la quale – in guisa del principio della domanda – doveva essere decisa – e di fatto è stata decisa (ma tale ultimo aspetto è irrilevante) secondo equità a norma dell’art. 113 c.p.c., comma 2. A sostegno della soluzione adottata militano – da un canto – la coerenza rispetto ai precedenti citati, pure delle Sezioni Unite, sui rimedi impugnatori dei vizi processuali inerenti al giudizio di equità davanti al giudice di pace e – d’altro canto – la piena aderenza ai principi costituzionali del giusto processo, superandosi problemi posti dall’inammissibilità per legge del regolamento di competenza ex art. 46 c.p.c.. Una diversa soluzione, come l’appello contro l’intera statuizione, allungherebbe i tempi del processo, perchè, fermo restando che, con l’appello, si potrebbe censurare pure il capo sulla connessione, al gravame potrebbe seguire il ricorso per cassazione con ulteriore rinvio, in qualche caso, al giudice di pace. I precetti poc’anzi sostenuti non sono inficiati dalle ordinanze emesse dalla Suprema Corte a seguito di pronunce d’appello del Tribunale che aveva ritenuto ammissibile il gravame; in tal caso, il quadro cambia poichè occorre confrontarsi con il contenuto concreto delle sentenze oggetto di ricorso in cassazione (e delle precedenti pronunce del giudice di pace) e con i motivi di impugnazione dedotti (cfr. Cass. 9.05,2006, n. 10594; Cass. 20,04.2006, n. 9198; Cass. 23.03.2006, n. 6457, che affronta anche la questione della natura pregiudiziale rispettivamente delle domande di accertamento dell’usucapione della servitù di elettrodotto ovvero dirette ad ottenere la costituzione di servitù coattiva, con esiti differenti). Tuttavia, nel caso concreto, si ribadisce che la ponderazione della pregiudizialità tra le domande ai fini della connessione non è oggetto di accertamento. Quando – per contro ~ si contesti la declaratoria di esclusione della competenza per connessione su una domanda che, in base al deductum, dovrebbe essere decisa secondo equità, la relativa censura soggiace al regime impugnatorio delle pronunce equitative, id est al solo ricorso per cassazione. In conclusione, l’impugnazione è inammissibile, poichè i vizi lamentati nelle sentenze appellate dovevano essere fatti valere con lo strumento del ricorso per cassazione (cfr. a contrario Cass. 25.07.2006, n. 16945).

Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione, con un unico motivo, l’ENEL Distribuzione s.p.a. M.A. non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

che nella specie devono trovare applicazione i principi affermati da questa S.C. (ord. 30 marzo 2009 n. 7676) in una causa identica e precisamente:

Quando in un giudizio dinanzi al giudice di pace avente ad oggetto una domanda sottoposta come tale a regola di decisione secondo equità viene proposta una domanda riconvenzionale di competenza del tribunale, la regola di giudizio – indipendentemente dalla concreta soluzione che possa avere la questione sulla sussistenza o meno della connessione ai sensi dell’art. 36 cod. proc. civ. – diventa quella di diritto, con la conseguenza che, nel regime anteriore all’attuale art. 339 cod. proc. civ. (come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 1, comma 1), la sentenza resa dal giudice di pace su entrambe le domande, così come la decisione parziale resa separatamente sulla riconvenzionale per negare la connessione (con irrituale declaratoria di inammissibilità per tale ragione o con rituale rimessione al Tribunale della riconvenzionale) e la successiva sentenza definitiva sulla principale (anche nel caso in cui non sia stata fatta riserva avverso la parziale ed essa sia divenuta definitiva), sono da intendere pronunciate secondo diritto, con la conseguenza della loro appellabilità. Questo regime impugnatorio può escludersi, con la derivante assoggettabilità della relativa statuizione al ricorso per cassazione, solo nell’ipotesi in cui il giudice di pace abbia risolto espressamente la questione del modo della decisione pronunciandosi sul punto ed affermando che la regola di decisione sulla domanda è quella secondo equità.

P.Q.M.:

Si conclude per la infondatezza del ricorso.

Roma, 2 dicembre 2009.

Il collegio ritiene di condividere tale relazione, con la conseguenza che la sentenza impugnata va cassata, con rinvio al Tribunale di Lamezia Terme, che deciderà in persona di diverso magistrato addetto all’ufficio e provvederà a decidere sull’appello considerando ammissibile. Al giudice di rinvio è rimessa la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata. Rinvia al Tribunale di Lamezia Terme, in persona di diverso magistrato addetto all’ufficio, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 9 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2010

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