Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8772 del 30/03/2021

Cassazione civile sez. II, 30/03/2021, (ud. 21/01/2021, dep. 30/03/2021), n.8772

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4565/2016 proposto da:

T.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BENIAMINO DE

RITIS n. 18, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO DI LISA,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALFREDO IACONE;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CIVITELLA ROVETO, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LEONE XIII n. 464, presso lo

studio dell’avvocato SERGIO OLIOSI, rappresentato e difeso

dall’avvocato FERNANDO ROMANO;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 833/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 24/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/01/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso per danno temuto del 30.3.2004 T.A., proprietaria di un immobile sito in (OMISSIS), evocava in giudizio innanzi il Tribunale di Avezzano il Comune di Civitella Roveto, lamentando di aver subito il crollo del muro di delimitazione del confine della sua proprietà a causa dello scolo delle acque proveniente dalla sovrastante strada comunale, non adeguatamente mantenuta dall’ente locale, ed invocando la condanna del Comune all’esecuzione delle opere necessarie ad assicurare la corretta canalizzazione degli scoli e ad eliminare la causa del danno lamentato.

Con ordinanza del 9.11.2004 veniva accolto l’interdetto, con ordine al Comune di ampliare le caditoie di scolo esistenti a servizio della strada.

Nel successivo giudizio di merito, la T. invocava l’accertamento della derivazione del crollo dalla cattiva manutenzione della strada comunale e la condanna del Comune al rifacimento dell’opera diruta, o in alternativa al risarcimento del danno.

Con sentenza n. 507/2008 il Tribunale rigettava la domanda.

Interponeva appello avverso la decisione di prime cure la T. e la Corte di Appello di L’Aquila, con la sentenza oggi impugnata, n. 833/2015, rigettava l’impugnazione.

Propone ricorso per la cassazione della predetta decisione T.A., affidandosi a due motivi.

Resiste con controricorso il Comune di Civitella Roveto.

La parte controricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 913 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe deciso la controversia sulla base della disposizione di cui anzidetto, senza considerare tuttavia che nel caso di specie non si controverteva di rapporti tra proprietari di fonti confinanti, ma di danno derivante dall’omessa custodia e manutenzione di bene di proprietà pubblica.

La censura è fondata.

La T. aveva agito, nella forma della denuncia di danno temuto, in primis, ed in sede di merito, una volta ottenuto l’interdetto, invocando l’accertamento della derivazione causale del crollo del muro di confine della sua proprietà dallo scolo delle acque proveniente dalla soprastante strada comunale e la condanna del Comune al ripristino dell’opera crollata, ovvero al risarcimento del danno.

La Corte di Appello ha ritenuto che, in base al principio posto dall’art. 913 c.c., in caso di dislivello tra due fondi vicini, “… il proprietario del fondo superiore non abbia alcun obbligo di intervenire con riferimento alle acque piovane che dal proprio fondo scolano naturalmente in quello inferiore e se vuole può farlo, a condizione che le innovazioni apportate non rendano lo scolo più gravoso per il fondo inferiore (Cass. n. 7579/1994)” (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata). Su tale presupposto, la Corte aquilana ha ritenuto che la T. fosse onerata non soltanto di dimostrare il danno e la sua derivazione causale dallo scolo di acque proveniente dalla strada comunale, ma anche “… che vi fosse stato un intervento” del Comune “.. e che questo avesse aggravato il deflusso delle acque sì da determinare una situazione di pericolo per il proprio fondo” (cfr. pagg. 4 e 5 della sentenza impugnata).

In realtà, l’art. 913 c.c., richiama, al comma 1, il concetto di naturale deflusso delle acque, e prevede, al comma 3, che la modifica del detto deflusso naturale derivante da “opere di sistemazione agraria dell’uno o dell’altro fondo” comporti l’obbligo di riconoscere una indennità a favore del proprietario del fondo cui la modificazione abbia recato pregiudizio. Si tratta dunque di una disposizione che fa riferimento al rapporto tra fondi agricoli e che è suscettibile di applicazione, al di là di detto ambito, alle ipotesi in cui si configuri una modifica della naturale conformazione dei luoghi, dovuta ad un intervento dell’uomo, che sia tale da causare un effetto modificativo del naturale deflusso delle acque idonea a recar danno diretto ad uno dei due fondi. I presupposti per l’applicabilità della norma in esame, dunque, sono tre:

1) l’esistenza di una relazione di vicinitas tra i fondi;

2) l’esecuzione di opere di sistemazione agraria o comunque di modificazione dello stato dei luoghi in grado di incidere sul naturale scolo delle acque;

3) la diretta derivazione, da dette opere, di un danno per uno dei due fondi.

Viceversa, la costruzione o ristrutturazione di una strada, che realizzi una esigenza di traffico, non avvantaggia, neanche in modo indiretto, la produttività di un dato fondo più di quanto giovi a tutti gli altri fondi con cui lungo il suo percorso essa confina, e non è, quindi, riconducibile alle superiori esigenze della produzione agraria che, ai sensi dell’art. 913 c.c., u.c., possono eccezionalmente giustificare la modificazione del flusso naturale delle acque piovane, con corresponsione di una indennità al proprietario del fondo pregiudicato. Pertanto, ove dalla esecuzione dell’opera predetta derivi un’alterazione del deflusso delle acque che rechi danno alle colture di un fondo, il proprietario del medesimo è legittimato alla generale azione risarcitoria ex art. 2043 c.c., per il ristoro del danno, eventualmente comprensivo dell’esborso per l’esecuzione di opere necessarie ad evitarne la reiterazione (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2831 del 22/04/1986, Rv. 445869; nonchè Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4822 del 25/07/1980, Rv. 408647).

In presenza di opere destinate ad assolvere ad esigenze generali, quali la regolazione del traffico, non è pertanto applicabile la norma di cui all’art. 913 c.c., ma occorre fare riferimento al generale principio del neminem laedere, con conseguente applicazione del canone generale della responsabilità da fatto illecito, e dunque dell’art. 2043 c.c., sia con riferimento alla costruzione, che alla manutenzione e custodia, delle predette opere.

Sotto tale profilo, questa Corte ha affermato, in una fattispecie del tutto sovrapponibile a quella della quale si discute, che “La discrezionalità – e la conseguente insindacabilità da parte del giudice ordinario – dei criteri e dei mezzi con cui la P.A. realizzi e mantenga un’opera pubblica (nella specie, una strada comunale dalla quale era tracimata acqua piovana con conseguente danneggiamento di un immobile adiacente di proprietà privata) trova un sicuro limite nell’obbligo di osservare, a tutela della incolumità dei cittadini e dell’integrità del loro patrimonio, le specifiche disposizioni di legge e regolamenti disciplinanti detta attività, nonchè le comuni norme di diligenza e prudenza, con la conseguenza che, dall’inosservanza di queste disposizioni e di dette norme, deriva la configurabilità della responsabilità della stessa P.A. per i danni arrecati a terzi” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2566 del 06/02/2007, Rv. 594401; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 907 del 20/01/2010, Rv. 611120; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 23562 del 11/11/2011, Rv. 620513; nonchè Cass. Sez. U., Sentenza n. 2693 del 13/07/1976, Rv. 381482).

Di conseguenza, “Pur essendo vero che il proprietario del fondo sovrastante non può rendere più gravoso per il proprietario del fondo inferiore il deflusso delle acque che, dal terreno superiore, scolano verso quello sottostante e pur potendosi ritenere che questo principio, dettato dall’art. 913 c.c., è da considerarsi applicabile anche ai rapporti tra i Comuni confinanti, escludendosi, così, la legittimità di opere, quali le strade pubbliche, eseguite nei territori posti a maggiore quota, in tutti quei casi in cui queste, siccome prive di impianti di smaltimento delle acque piovane, accrescano la quantità e la velocità del deflusso delle acque stesse verso i suoli posti a minore quota, tuttavia tale regola riguarda solo il rapporto tra i proprietari dei due territori, che possono – come detto – identificarsi anche con due enti pubblici. Viceversa, questo principio non si estende al rapporto tra il Comune ed i suoi abitanti, verso i quali l’Amministrazione è, comunque, tenuta all’osservanza del divieto del “neminem laedere”, che di per sè implica l’obbligo di adottare, nella costruzione delle strade pubbliche, gli accorgimenti e i ripari necessari per evitare che, dalla strada, le acque che nella medesima si raccolgono o che sulla stessa sono convogliate, legalmente o illegalmente, senza opposizione del Comune proprietario, possano defluire in modo anomalo nei fondi confinanti, così impedendo di arrecare loro un danno ingiusto” (cfr. ancora Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2566 del 06/02/2007, Rv. 594400).

Nè sussistono dubbi sulla competenza del giudice ordinario, posto che “… la competenza del giudice specializzato delle acque pubbliche postula, ai sensi del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 140, la diretta derivazione del danno dall’esecuzione o manutenzione di opere riguardanti il regime delle acque pubbliche e non acque pluviali scorrenti su pubbliche strade, non convogliate nè disciplinate per un uso determinato, che non possono essere considerate pubbliche”e non, quindi, la diversa domanda di risarcimento per i danni che si assumono derivati al proprietario di un immobile in virtù della inadeguata efficienza del sistema di smaltimento delle acque piovane defluenti da strade comunali (cfr. ancora Cass. Sez. 3 Sentenza n. 2566 del 06/02/2007, Rv. 594399).

La Corte di Appello, dunque, avrebbe dovuto applicare al caso di specie la norma generale di cui all’art. 2043 c.c. e non invece l’art. 913 c.c., Di conseguenza, la T. non era tenuta a dimostrare, oltre all’esistenza del danno ed alla sua derivazione causale dallo scolo delle acque provenienti dalla superiore strada comunale, anche l’esecuzione, da parte del Comune, di opere atte a modificare lo stato dei luoghi, poichè la responsabilità dell’ente locale non deriva dalla condizione di superiorità della strada, bensì dall’inadempimento – ove in concreto accertato – dell’obbligo generale di manutenzione dei beni pubblici o destinati ad uso pubblico.

L’accoglimento della prima doglianza implica l’assorbimento del secondo motivo, con il quale la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per difetto, carenza e illogicità della motivazione della decisione impugnata.

La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione alla censura accolta e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di L’Aquila, in differente composizione. Il giudice del rinvio avrà cura di conformarsi al contenuto della presente decisione, in particolare valutando la sussistenza della responsabilità del Comune di Civitella Roveto con applicazione dei criteri previsti dall’art. 2043 c.c..

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di L’Aquila, in differente composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 21 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2021

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