Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8769 del 30/03/2021

Cassazione civile sez. II, 30/03/2021, (ud. 13/01/2021, dep. 30/03/2021), n.8769

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 22573/17) proposto da:

P.L.D. s.r.l., in liquidazione, (P.I.: (OMISSIS)), in persona del

legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in virtù

di procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avv.

Alessandro Dall’Igna, e domiciliata “ex lege” presso la Cancelleria

civile della Corte di Cassazione, in Roma, Piazza Cavour;

– ricorrente –

contro

GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI, in persona del

Presidente pro tempore, rappresentato e difeso “ex lege”

dall’Avvocatura generale dello Stato e domiciliata presso i suoi

Uffici, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza del Tribunale di Vicenza n. 1040/2017 (pubblicata

in data 28 febbraio 2017);

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13 gennaio 2021 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con ricorso proposto ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 10 e con riferimento al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 152, la PLD s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, proponeva opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione n. 189 del Registro dei provvedimenti del Garante per la protezione dei dati personali, datata 11 aprile 2013, con la quale le era stato ingiunto il pagamento della sanzione amministrativa di Euro 100.000,00, in ordine alla violazione prevista del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 161, art. 161 (c.d. Codice della privacy) per aver sottoscritto schede telefoniche all’insaputa di dieci interessati, omettendo di rendere l’informativa necessaria ai sensi del citato D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 13.

Nella costituzione dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, Vada Tribunale, con sentenza n. 1040/2017, rigettava la formulata opposizione e condannava l’opponente al pagamento delle spese processuali.

A fondamento dell’adottata decisione il Tribunale vicentino considerava insussistente l’addotta vincolatività degli esiti scaturiti dalla concomitante indagine penale instaurata sui fatti oggetto della contestazione e rilevava l’infondatezza nel merito del ricorso alla stregua delle risultanze delle prove orali espletate.

2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, la PLD s.r.l., in liquidazione, resistito con controricorso dal Garante per la protezione dei dati personali, contenente anche ricorso incidentale condizionato riferito ad un solo motivo.

La difesa della ricorrente principale ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente principale ha dedotto – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., per asserita omissione, nell’impugnata sentenza, di ogni e qualsiasi pronuncia sulla domanda proposta con il ricorso in ordine alla invocata inapplicabilità del cumulo giuridico delle sanzioni, avuto riguardo al disposto della L. n. 689 del 1981, artt. 8,10 e 11, dalla cui applicazione sarebbe derivata una riduzione quantitativa della sanzione irrogata.

2. Con la seconda doglianza la ricorrente PLD s.r.l. in liquidazione ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 161 e della L. n. 689 del 1981, art. 11, in relazione agli artt. 113 e/o 115 c.p.c., prospettando l’illegittimità dell’impugnata sentenza nella parte in cui, escludendo l’utilizzabilità delle sommarie informazioni assunte nel corso di una coeva indagine penale, aveva ritenuto di fondare la valutazione della sua responsabilità in ambito sanzionatorio amministrativo sulla sola scorta delle prove orali raccolte nel giudizio di opposizione, considerate sufficienti a smentire gli assunti della parte opponente, peraltro ravvisando l’attendibilità di alcuni testi e non di altri.

3. Con la terza censura la ricorrente ha dedotto – avuto riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 13, in relazione all’art. 113 c.p.c., non avendo il Tribunale di Vicenza tenuto conto che, pur essendo previsto l’obbligo di raccogliere le firme dei clienti sulle schede telefoniche, l’informativa sulla privacy avrebbe potuto essere resa oralmente.

4. Con la quarta ed ultima doglianza la ricorrente ha dedotto – avuto riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 13, in relazione all’art. 113 c.p.c..

A sostegno di tale doglianza la ricorrente ha sostenuto che, malgrado l’autorità Garante le avesse contestato l’intestazione fittizia di plurime schede telefoniche a soggetti ignari, ritenendo così violata l’informativa sulla privacy in occasione dell’emissione di ogni singola sim card, non era stato tenuto conto che, in base alle risultanze giudiziali, i soggetti interessati avevano attivato regolarmente e consapevolmente almeno una scheda telefonica e che in quell’occasione erano già stati informati sulla normativa della privacy, così contestando che si fosse potuta configurare la violazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 13, non potendosi, in applicazione di detta norma, ritenere necessario rendere l’informativa sulla privacy al medesimo cliente per operazioni (nella fattispecie, di intestazioni di schede telefoniche) successive alla prima.

5. Con l’unico motivo di ricorso incidentale condizionato la controricorrente ha dedotto – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione dell’art. 115 c.p.c., sul presupposto che, nell’impugnata sentenza, il Tribunale vicentino aveva omesso di considerare come ulteriore mezzo di prova i verbali di sommarie informazioni acquisite dal Nucleo di Polizia tributaria in sede di indagini preliminari.

6. Premessa, innanzitutto, l’ammissibilità del ricorso principale immediato in virtù della prevista inappellabilità della sentenza di primo grado ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 10, comma 10, osserva, in via pregiudiziale, il collegio che deve ritenersi ammissibile il controricorso, seppur depositato tardivamente, poichè il ricorso della PLD s.r.l. in liquidazione risulta essere stato notificato presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia e non presso l’Avvocatura Generale, donde, per effetto dell’inefficacia di detta notificazione, al controricorso non si applica il termine decadenziale previsto dall’art. 370 c.p.c. (essendo, perciò, in difetto di costituzione della P.A. intimata, necessario ordinare la rinnovazione della notificazione del ricorso presso la suddetta Avvocatura generale: cfr. Cass. n. 608/2015 e Cass. n. 19826/2018).

Deve, perciò, in questa sede essere ribadito il principio in virtù del quale, qualora il ricorso per cassazione sia notificato all’Avvocatura distrettuale dello Stato anzichè all’Avvocatura Generale dello Stato, il vizio della notifica è sanato, con efficacia “ex tunc”, dalla costituzione in giudizio del destinatario del ricorso, da cui si può desumere che l’atto abbia raggiunto il suo scopo; tuttavia, poichè la sanatoria è contestuale alla costituzione del resistente, deve ritenersi tempestiva la notifica del controricorso ancorchè intervenuta oltre il termine di cui all’art. 370 c.p.c., non avendo tale termine iniziato il suo decorso in ragione dell’inefficacia della notifica dell’atto introduttivo (v. Cass. n. 4977/2015 e, da ultimo, Cass. n. 12410/2020).

7. Chiarito ciò, rileva il collegio che, poichè il primo motivo del ricorso principale (ancorchè sotto il profilo dell’omessa pronuncia) investe il profilo della sanzione irrogata, esso deve essere logicamente esaminato successivamente all’esito del vaglio degli altri motivi, che riguardano propriamente il merito della violazione (ragion per cui, in caso di accoglimento di uno di essi, ne risulterebbe inutile la valutazione).

Si può, quindi, subito affrontare il secondo motivo di detto ricorso.

Esso è infondato e va, perciò, respinto.

Occorre, in primo luogo, evidenziare che, ancorchè il fatto posto a fondamento dell’esercizio della potestà sanzionatoria amministrativa possa essere rilevante anche sotto il profilo penale, esso è comunque idoneo a configurare autonomamente la specifica violazione prevista dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 161, senza potersi ritenere sussistente una ipotesi di connessione rilevante ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 24 (cfr. Cass. n. 5341/2018).

Osserva poi il collegio che, nel caso in esame, con la sentenza impugnata è stato accertato che, ancorchè l’intestazione illecita di schede telefoniche a soggetti inconsapevoli potesse integrare gli estremi di reato (e, a tal proposito, erano state effettuate anche delle indagini in sede penale), la correlata condotta di aver omesso di rendere a detti soggetti l’informativa prescritta dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 13, era idonea concretare l’illecito amministrativo contestato alla ricorrente e ritenuto sussistente sulla base della pluralità dei riscontri desunti dalle deposizioni testimoniali direttamente acquisite nel corso dell’istruzione probatoria del giudizio civile di opposizione e, specificamente, da parte di alcuni dei soggetti interessati, i quali avevano smentito – in modo circostanziato e preciso – di aver comprato schede telefoniche a loro nome e di aver sottoscritto documenti predisposti unilateralmente dalla società opponente.

Perciò, deve ritenersi legittimo che, nell’esercizio del potere selettivo conferito al giudice di merito, il Tribunale di Vicenza abbia ravvisato l’irrilevanza o la non decisività di altri mezzi istruttori dedotti dall’opponente (anche nella sede delle indagini preliminari penali), considerando, altresì, sufficiente il numero dei testi escussi (v. pag. 3 dell’impugnata sentenza).

Del resto è pacifico (cfr., ad es., Cass. n. 27000/2016 e Cass. n. 1229/2019) che, in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una supposta erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione.

E’ altrettanto incontroverso che la riduzione delle liste testimoniali sovrabbondanti costituisce un potere tipicamente discrezionale del giudice di merito, esercitabile, peraltro, anche nel corso dell’espletamento della prova, potendo il giudice non esaurire l’esame di tutti i testimoni ammessi qualora, per i risultati raggiunti, ritenga superflua l’ulteriore assunzione della prova, con giudizio che si sottrae al sindacato di legittimità se congruamente motivato (come è avvenuto nella fattispecie, avendo il giudice vicentino ritenuto sufficiente il numero di due testimoni, tra quelli indicati dall’opponente, attuale ricorrente).

8. Anche il terzo motivo è privo di fondamento e va disatteso.

Al di là dell’aspetto che con esso non risulta richiamato il contenuto dell’atto di opposizione nella parte in cui la ricorrente aveva posto la specifica questione sulla forma necessaria per l’informativa sul trattamento dei dati personali, va osservato che dal contesto complessivo delle risultanze probatorie valorizzate dal Tribunale non emerge che dell’informativa siano stati propriamente – e, comunque, idoneamente – resi edotti i destinatari, neanche in forma orale, essendo in generale necessario che ogni interessato sia compiutamente portato a conoscenza del trattamento dei suoi dati personali onde metterlo nelle condizioni di rendere o meno il consenso in modo effettivamente consapevole (modalità che non sono emerse come rispettate nel caso in esame dalla attuale ricorrente, già opponente).

9. A questo punto, respinti i tre motivi concernenti le contestazioni sulla configurabilità della violazione ascritta all’opponente, si può passare alla disamina del primo motivo, che – come anticipato – investe il profilo del trattamento sanzionatorio in concreto applicato nei confronti della ricorrente. Questa doglianza si profila inammissibile per difetto di specificità perchè in essa non risulta trascritto il contenuto dell’atto di opposizione in cui la contestazione alla quale si riferisce il motivo sarebbe stata prospettata, non potendo essere sufficiente allo scopo un richiamo del tutto generico (come riportato a pag. 5 del ricorso).

Costituisce, infatti, principio consolidato (cfr., ad es., Cass. n. 11738/2016 e Cass. 23834/2019) che, in tema di ricorso per cassazione, l’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto a questa Corte ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone l’ammissibilità del motivo, ossia che la parte riporti in ricorso, nel rispetto del principio di necessaria specificità, gli elementi ed i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell’iter processuale senza compiere generali verifiche degli atti (v., specificamente sul vizio di omessa pronuncia, Cass. n. 15367/2014).

Solo “ad abundantiam” va osservato che, con riferimento alle violazioni in questione, deve ritenersi correttamente applicato il criterio del cumulo materiale ai fini della valutazione sulla quantificazione della sanzione in materia amministrativa, posto che le condotte illecite (consistite, ognuna, nell’utilizzazione di dati all’insaputa di singoli soggetti, omettendo di rendere le corrispondenti informative sulla privacy) sono risultate compiute con distinte azioni riguardanti diversi destinatari, ognuna delle quali integrante una differente violazione amministrativa (ancorchè della stessa natura e tipologia). Al riguardo si evidenzia come sia incontroverso (cfr., ad es., Cass. n. 10775/2017) il principio in base al quale, in tema di sanzioni amministrative, la L. n. 689 del 1981, art. 8, nel prevedere l’applicabilità dell’istituto del cd. “cumulo giuridico” tra sanzioni nella sola ipotesi di concorso formale (omogeneo od eterogeneo) tra le violazioni contestate – ipotesi di violazioni plurime, ma commesse con un’unica azione od omissione -, non è legittimamente invocabile con riferimento al concorso materiale tra violazioni commesse con più azioni od omissioni; nè è ammissibile l’applicazione analogica della disciplina della continuazione ex art. 81 c.p., sia perchè il citato art. 8, contempla espressamente detta possibilità soltanto per le violazioni in materia di previdenza ed assistenza, sia perchè la differenza morfologica tra reato penale ed illecito amministrativo non consente che, attraverso un procedimento di integrazione analogica, le norme di favore previste in materia penale vengano estese alla materia degli illeciti amministrativi.

Essendo poi rimasta accertata l’effettuazione di 10 trattamenti illeciti di dati personali, per ciascuna delle violazioni il Garante ha legittimamente determinato l’ammontare di ciascuna sanzione avendo riguardo all’intervallo tra minimo e massimo stabiliti dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 161 (ovvero, rispettivamente, tra seimila e trentaseimila Euro per ogni infrazione), nel rispetto della previsione generale di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 10.

10. Per effetto del rigetto di tutti i motivi del ricorso principale rimane assorbito il motivo di ricorso incidentale condizionato.

11. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente svolte, il ricorso principale deve essere integralmente respinto (da cui deriva l’assorbimento di quello incidentale condizionato), con la conseguente condanna della ricorrente P.L.D. s.r.l. in liquidazione al pagamento dei compensi del presente giudizio, che si quantificano nei sensi di cui in dispositivo. Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato.

Condanna la ricorrente principale al pagamento dei compensi del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 5.600,00, oltre eventuali spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2021

 

 

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