Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8769 del 11/05/2020
Cassazione civile sez. I, 11/05/2020, (ud. 04/03/2020, dep. 11/05/2020), n.8769
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. DI MARZO Mauro – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2379/2019 proposto da:
B.B.A., elettivamente domiciliato in Vicenza,
Contrà Santo Stefano n. 15, rappresentato e difeso dall’avv.
Michele Carotta, in virtù di procura speciale allegata al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero Dell’interno, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma
Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato, che lo
rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il
26/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
04/03/2020 dal Cons. Dott. SOLAINI LUCA.
Fatto
RILEVATO
che:
Il Tribunale di Venezia ha respinto il ricorso proposto da B.B.A. cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale che aveva negato al richiedente asilo il riconoscimento della protezione internazionale anche nella forma sussidiaria e di quella umanitaria.
Il ricorrente ha riferito di essere fuggito dal proprio paese per non subire ulteriori ritorsioni, anche giudiziarie, da parte della seconda moglie del padre intenzionata ad appropriarsi dell’eredità che il genitore gli aveva lasciato in testamento.
A sostegno della decisione di rigetto, il tribunale ha ritenuto che la vicenda non fosse inquadrabile nel perimetro normativo della protezione internazionale per il riconoscimento dello status di rifugiato perchè l’asserito motivo di persecuzione non era correlabile ad una condizione soggettiva legata a ragioni di razza, religione, nazionalità, opinioni politiche o appartenenza a un determinato gruppo sociale, bensì ad una vicenda prettamente familiare, inoltre, il ricorrente non è neppure del tutto credibile (v. p. 7 del decreto impugnato). Il tribunale ha accertato che la regione di provenienza del ricorrente (vicino alla capitale Yaoundè e non nelle regioni settentrionali) non è teatro di scontri tali da determinare una violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato. Neppure sussistono le condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria.
Contro il decreto del medesimo Tribunale è ora proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi di ricorso.
Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.
Diritto
CONSIDERATO
che:
Il ricorrente censura la decisione del Tribunale: (i) sotto un primo profilo, per violazione dei principi che regolano l’onere della prova in tema di riconoscimento dello status di rifugiato, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; (ii) sotto un secondo profilo, per nullità della sentenza per omesso o erroneo utilizzo dei criteri di valutazione dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria; (iii) sotto un terzo profilo, per nullità della sentenza per violazione dei criteri di valutazione della situazione del paese di provenienza del richiedente (Camerun).
Il primo motivo è inammissibile, perchè solleva censure relative alla valutazione dei fatti esposti dal ricorrente e già operata dal tribunale, operazione che non è più consentita nel giudizio di legittimità (cfr. Cass. n. 11892/16).
Il secondo motivo in riferimento alla protezione umanitaria, è inammissibile, in quanto, la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, per verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti fondamentali (Cass. n. 4455/18), è stata effettuata dal Tribunale che ha accertato, con giudizio di fatto, l’insussistenza di situazioni di vulnerabilità meritevoli di tale protezione.
Il terzo motivo è inammissibile, perchè afferisce all’accertamento di fatto, relativo alla situazione generale del Camerun che il tribunale ha assunto sulla base di fonti informative aggiornate; inoltre, la medesima censura è generica perchè contesta in termini di mero dissenso, la situazione personale del richiedente.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
PQM
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Dichiara il ricorso inammissibile.
Condanna il ricorrente a pagare all’amministrazione statale le spese di lite del presente giudizio che liquida nell’importo di Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 marzo 2020.
Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2020