Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8764 del 11/05/2020

Cassazione civile sez. I, 11/05/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 11/05/2020), n.8764

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 11328/2019 proposto da:

I.G., elettivamente domiciliato in Civitanova Marche Via

Fermi 3, presso lo studio dell’Avv.to Giuseppe Lufrano, che lo

rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, elettivamente domiciliato in Roma Via dei

Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo

rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 3227/2019 emesso dal Tribunale di Ancona;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/2/2020 dal Consigliere Dott. MARINA MELONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto in data 10/3/2019 il Tribunale di Ancona respinse il ricorso proposto da I.G. avverso il provvedimento di diniego emesso dalla Commissione territoriale di Ancona per il riconoscimento del diritto allo status di rifugiato, alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 14 e segg., o alla protezione umanitaria previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

Il ricorrente, proveniente dalla Nigeria, aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Ancona di essere fuggito dal proprio paese in quanto dopo la morte del padre il gruppo criminale dei cultisti (OMISSIS) aveva minacciato lui e suo fratello di morte tanto che ambedue avevano deciso di abbandonare la Nigeria.

Il Tribunale di Ancona con provvedimento in data 10/3/2019, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Ancona. In particolare il Tribunale aveva escluso le condizioni previste per il riconoscimento del diritto al rifugio D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 7 e 8, ed i presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per la concessione della protezione sussidiaria, non emergendo elementi idonei a dimostrare che il ricorrente potesse essere sottoposto nel paese di origine a pena capitale o a trattamenti inumani o degradanti nè lo stesso aveva riferito di poter subire una grave e individuale minaccia alla propria integrità personale; nel contempo il collegio di merito negava il ricorrere di uno stato di elevata vulnerabilità all’esito di un eventuale rimpatrio, tenuto conto della situazione esistente nel paese di provenienza e della natura privata della vicenda. Avverso il decreto emesso dal Tribunale di Ancona il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 13 del 2017, artt. 1 e 2, conv. in L. n. 46 del 2017, nonchè dell’art. 276 c.p.c., per vizio di costituzione del giudice, censurando l’intervenuta delega ad un giudice onorario del Tribunale a tenere l’udienza fissata per la comparizione del richiedente asilo e per la discussione della causa, in quanto la possibilità di ricorrere alla nomina di giudici onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli non opererebbe per le controversie in materia di protezione internazionale, che risultano attribuite alla sezione specializzata del Tribunale in composizione collegiale. Inoltre il ricorrente lamenta che era mutato l’organo giudicante, essendo stata trattata la “discussione” del procedimento, cui era presente il ricorrente personalmente, davanti ad un giudice, un GOT, non facente parte della Sezione specializzata istituita presso il Tribunale di Ancona, mentre la decisione era stata assunta da un collegio, i cui componenti erano tutti diversi dal giudice che aveva assistito alla discussione della causa.

La censura è infondata. Questa Corte con ordinanza camerale Sez. 6-1, Ordinanza n. 3356 del 05/02/2019 ha già avuto modo di chiarire che: “In tema di protezione internazionale, non è affetto da nullità il procedimento nel cui ambito un giudice onorario di tribunale abbia proceduto all’audizione del richiedente la protezione ed abbia rimesso la causa per la decisione al collegio della Sezione specializzata in materia di immigrazione”. Infatti, premesso che il legislatore, con l’inserimento all’art. 3, comma 4 bis, operato in sede di conversione, ha attribuito al Tribunale in composizione collegiale la trattazione delle controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale di cui al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, va chiarito che (Cass. 19660/2016) “quando un giudice onorario, appartenente all’ufficio giudiziario, decida una causa in materia che, secondo la ripartizione tabellare, sia sottratta alla sua potestà decisoria, il provvedimento non è nullo (salvo che si tratti di procedimenti possessori o cautelari “ante causam”,espressamente esclusi dal R.D. n. 12 del 1941, art. 43 bis), in quanto la decisione assunta dal g.o.t. in violazione delle tabelle organizzative dell’ufficio non incide sulla composizione dell’ufficio giudiziario, nè alcuna norma di legge prevede una siffatta nullità, configurandosi, invece, una semplice irregolarità”. Inoltre, sempre questa Corte (Cass. 466/2016) ha precisato che “il vice pretore onorario è un giudice previsto e regolato dalle norme sull’ordinamento giudiziario che può legittimamente sostituire il magistrato ordinario in tutte le sue funzioni, e dunque anche nell’espletamento dell’attività propria del giudice istruttore, senza che da ciò discenda la nullità degli atti dallo stesso compiuti, tenuto conto che il vizio di costituzione del giudice è ravvisabile solo quando gli atti giudiziali siano posti in essere da persona estranea all’ufficio, non investita della funzione esercitata, e che le circolari con le quali il C.S.M. disciplina gli incarichi affidabili ai giudici onorari, quali fonti normative di secondo grado, non possono introdurre ipotesi di nullità processuali non previste dalla legge”.

Il ricorrente censura poi la violazione del disposto dell’art. 276 c.p.c., sull’immutabilità del giudice. Anche tale profilo della censura è infondato.

Invero, per orientamento consolidato di questa Corte (Cass. 4925/2015), l’art. 276 c.p.c., va interpretato nel senso che i giudici che deliberano la sentenza devono essere gli stessi dinanzi ai quali sono state precisate le conclusioni o si è tenuta l’udienza di discussione. Pertanto si è ritenuto, ad es., che, in grado di appello, in base alla disciplina di cui al novellato art. 352 c.p.c., il collegio che Delibera la decisione deve essere composto dagli stessi giudici dinanzi ai quali è stata compiuta l’ultima attività processuale (cioè la discussione o la precisazione delle conclusioni), conseguendone la nullità della sentenza nel caso di mutamento della composizione del collegio medesimo (Cass. 18268 del 2009), mentre si è chiarito (Cass. 21667/2013) che non sussiste, nel rito ordinario del giudizio di appello, un principio di immutabilità del collegio prima che abbia inizio la fase della discussione.

Nella specie, tuttavia, non vi è stata una udienza di discussione, svoltasi davanti ad un giudice, scissa dalla fase deliberativa, svoltasi davanti ad altro giudice. Infatti il difensore si era soltanto riportato agli atti difensivi ed il ricorrente, in questa sede, non spiega neppure quale pregiudizio al diritto di difesa sia derivato dall’asserito vizio processuale.

Con il secondo motivo di ricorso contenente molteplici censure il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, artt. 3, 5 e 7 ed art. 27, comma 1 bis, D.Lgs. n. 251 del 2007, per aver ritenuto che le dichiarazioni del ricorrente erano confinate nei limiti di una vicenda privata.

Con il terzo motivo di ricorso contenente molteplici censure il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 ed D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Giudice Territoriale non aveva approfondito mediante ricerche specifiche sui siti accreditati la situazione attuale ed aggiornata del paese e l’esistenza del pericolo di danno grave alla vita o alla persona derivante da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale che giustificava il riconoscimento della protezione sussidiaria.

Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, lett. c), in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, in quanto il giudice di merito, nonostante la situazione di vulnerabilità e le violenze subite dal ricorrente, non ha riconosciuto il diritto alla protezione umanitaria.

Il secondo, terzo e quarto motivo sono inammissibili in quanto diretti a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni del proprio convincimento.

Il provvedimento impugnato ritiene poco credibile, incoerente e priva di riscontro la versione dei fatti proprio alla luce delle dichiarazioni rese. Si tratta di un accertamento di fatto che non può essere in questa sede messo in discussione se non denunciando, ove ne ricorrano i presupposti, il vizio di omesso esame ex art. 360 c.p.c., n. 5, mentre, nella specie, la censura piuttosto che indicare il fatto oggetto di discussione il cui esame è stato omesso, si risolve in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (v. Cass., sez. un., n. 8053/2014).

A tal riguardo occorre osservare che il legislatore ha ritenuto di affidare la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo non alla mera opinione del giudice ma ha previsto una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui all’art. 5, comma 3, lett. c) del D.Lgs. cit.), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, “non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicchè è compito dell’autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda” (Cass. ord. 26921/2017).

Alla luce di quanto sopra appare evidente che il dovere del giudice di considerare veritiero il racconto del ricorrente anche se non suffragato da prove richiede pur sempre che le dichiarazioni rese dal richiedente asilo siano ” considerate coerenti e plausibili” (art. 3, comma 5, lett. c) e che il racconto del richiedente sia in generale “attendibile” (art. 3, comma 5, lett. e). La difficoltà di provare adeguatamente i fatti accaduti prevista espressamente dal legislatore nel citato art. 3, comma 5, non impone certo al giudice di ritenere attendibile un racconto che, secondo una prudente e ragionevole valutazione, sia incredibile e fantasioso anche perchè i criteri legali di valutazione della credibilità di cui all’art. 5, comma 3, sono categorie ampie ed aperte che lasciano ampio margine di valutazione al giudice chiamato ad esaminare il caso concreto secondo i criteri generali, basti pensare ai concetti di coerenza, plausibilità (lett. c) e attendibilità (lett. e) che richiedono senz’altro un’attività valutativa discrezionale.

In relazione poi al caso della “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), nella specie, il giudice del merito ha tuttavia escluso, dopo aver dato atto della consultazione dei siti online maggiormente accreditati nel rispetto del disposto di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 (vedi Cass. n. 11101 del 2019), che nella regione da cui proviene il richiedente, sussista una situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.

Tale accertamento implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il cui risultato può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5. Invece la censura non indica il fatto decisivo il cui esame sarebbe stato omesso e che avrebbe condotto ad una decisione differente, ma richiama fonti diverse rispetto a quelle tenute in considerazione dai giudici a quo in altri termini, la censura è diretta a sollecitare un’impropria rivisitazione di merito circa i paventati rischi in caso di rientro nel paese di origine”.

In ordine alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria – al pari di quanto avviene per il giudizio di riconoscimento dello status di rifugiato politico e della protezione sussidiaria – incombe sul giudice il dovere di cooperazione istruttoria officiosa, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine.

Nella specie, il Tribunale territoriale non ha violato il suddetto principio nè è venuto meno al dovere di cooperazione istruttoria, avendo semplicemente ritenuto, a monte, che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio nè integrino un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali alla luce della disciplina antecedente al D.L. 4 ottobre 2018, n. 13, convertito nella L. 1 dicembre 2018, n. 132, non applicabile alla fattispecie non avendo tale normativa efficacia retroattiva secondo l’orientamento recentemente espresso da questa Corte (Cass. 19/2/2019 n. 4890 e Cass. S.U. 2019/29460).

Quanto infine al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero questa Corte con sentenza Sez. 1 – n. 4455 del 23/02/2018 (e successivamente Cass. S.U. 2019/29460) ha precisato che “In materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.” A tal riguardo il motivo appare inammissibile anche alla luce della valutazione comparativa espressa dal giudice di merito con esaustiva indagine circa le condizioni descritte dello straniero con riguardo al suo paese di origine ed all’integrazione in Italia acquisita, valutazione in sè evidentemente non rivalutabile in questa sede.

Per quanto sopra il secondo e terzo motivo del ricorso proposto devono essere dichiarati inammissibili, rigettato il primo. Nulla per le spese. Infine deve darsi atto che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono nella specie i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

Rigetta il primo motivo, dichiara inammissibile il secondo e terzo motivo del ricorso proposto. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte di Cassazione, il 12 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2020

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