Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8763 del 30/03/2021

Cassazione civile sez. II, 30/03/2021, (ud. 17/09/2020, dep. 30/03/2021), n.8763

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21798/2018 proposto da:

D.P.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CASSIODORO N.

1/A, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO COSTANTINO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO SAVERIO

COSTANTINO;

– ricorrente –

contro

F.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PORTUENSE, 104,

presso ANTONIA DE ANGELIS, rappresentato e difeso dall’avvocato VITO

ANTONIO GIANNINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 824/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 10/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/09/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Costantino Giorgio, che si riporta agli atti

depositati ed insiste per l’accoglimento del ricorso;

udito l’avv. Giannini Vito A., che chiede l’inammissibilità del

ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2002, il Tribunale di Bari accoglieva la domanda proposta nel 1993 dal promissario acquirente F.V. per la risoluzione del contratto preliminare di compravendita di un fondo rustico stipulato nel 1991 con il convenuto, promittente venditore, D.P.V..

2. Avverso la sentenza proponeva appello D.P.V.. La Corte d’appello di Bari, con sentenza del 23 maggio 2007, riformava la decisione di primo grado, accogliendo la domanda riconvenzionale di D.P. di risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del F. (ad avviso della Corte il ritardo di D.P. nel revocare i benefici fiscali che rendevano inalienabile il fondo non costituiva grave inadempimento, mentre era stato ingiustificato il successivo rifiuto di F. di stipulare il contratto definitivo).

3. Contro la sentenza proponeva ricorso per cassazione F.V.. Questa Corte, con sentenza n. 12223/2014, in accoglimento del primo motivo di ricorso (con cui si lamentava vizio di motivazione e violazione di legge in riferimento agli artt. 1362,1175,1375,1453,1454 c.c.) ha affermato che il giudice d’appello “individua l’inadempimento del signor F. nel rifiuto di questi di addivenire alla stipula del contratto definitivo, ma non spiega come e quando vi sarebbe stata la richiesta della controparte di procedere in tal senso”; ha dichiarato quindi assorbiti il secondo ed il terzo motivo di ricorso (con cui si contestava “la violazione delle regole in tema di risoluzione, di interpretazione del contratto e del comportamento dei contraenti”, trattandosi di “motivi che ulteriormente censurano la valutazione della Corte d’appello riguardo al comportamento tenuto dalle parti (..) sicchè non presentano autonomia”); ha cassato la sentenza impugnata “sotto il profilo del difetto di motivazione” e ha rinviato la causa alla Corte d’appello di Bari.

4. La causa è stata riassunta da F.V..

La Corte d’appello di Bari, con sentenza 10 maggio 2018, n. 824, ha così deciso: “pronunciando definitivamente a seguito di rinvio (..) sulla domanda proposta da F.V. (..) rigetta l’appello proposto da D.P.V. il 29 aprile 2003 avverso la sentenza n. 378 del Tribunale di Bari che conferma”.

5. Contro la sentenza resa dal giudice di rinvio ha proposto ricorso per cassazione D.P.V..

Ha resistito con controricorso F.V., anzitutto eccependo l’improcedibilità, per violazione del D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 23, comma 1 e l’inammissibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1.

Il ricorso è stato assegnato alla decisione in Camera di consiglio ex art. 380-bis c.p.c.. Questa Corte, ritenuto che nel caso di specie non sussistessero i presupposti per la pronuncia in Camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., comma 1, nn. 1 e 5, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., u.c., ha rimesso la causa alla pubblica udienza della sezione semplice.

Il ricorrente e il controricorrente hanno depositato memoria prima dell’adunanza in Camera di consiglio e prima della pubblica udienza (il controricorrente ribadendo la richiesta di condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3).

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Preliminarmente vanno respinte le eccezioni di improcedibilità e inammissibilità del ricorso, prospettate dal controricorrente nel controricorso e ribadite in memoria.

Quanto all’improcedibilità, l’inserimento da parte del difensore del nome di controparte invece che del suo assistito, nella attestazione relativa alla conformità della copia telematica all’originale della procura speciale, va considerato un mero errore materiale che non incide sul rispetto delle prescrizioni di cui al D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 23, comma 1 e non rende il ricorso improcedibile ai sensi dell’art. 369 c.p.c..

Quanto all’inammissibilità, ad avviso del controricorrente principalmente determinata dall’essere il ricorso qualificabile come un “sandwich”, in cui “le questioni di diritto (..) sono assolutamente inintelleggibili perchè è oscura e superficiale l’esposizione dei fatti di causa e/o risultano confuse, se non totalmente assenti, le censure di diritto alla sentenza gravata”, il vizio non sussiste, presentandosi l’esposizione dei fatti e delle questioni di diritto nel ricorso pur nella sua sinteticità e schematicità, chiara e sufficientemente argomentata.

2. Il ricorso è articolato in un unico motivo con cui si contesta “nullità della sentenza e del procedimento, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’art. 2909 c.c., artt. 324,329,384 e 394 c.p.c.”. Due sono i profili denunciati:

a. la Corte d’appello, giudice di rinvio, ha affermato che “l’appello proposto da D.P.V. avverso la sentenza di primo grado deve essere rigettato”, in tal modo non considerando che il giudizio di rinvio c.d. proprio non costituisce rinnovazione o prosecuzione del processo di appello, ma una nuova e autonoma fase che ha natura rescissoria ed è funzionale alla emanazione di una sentenza che statuisce direttamente sulle domande proposte dalle parti;

b. il giudice di rinvio, poi, doveva svolgere il compito affidatogli dalla Corte di cassazione nei limiti da questa segnati e invece tali limiti ha travalicato, dichiarando la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del promittente venditore.

I due profili sono entrambi infondati.

a. Quanto al primo profilo, è vero che, come sottolinea il ricorrente, secondo la giurisprudenza di questa Corte “il giudizio di rinvio conseguente alla cassazione della pronuncia di secondo grado per motivi di merito (giudizio di rinvio c.d. proprio) non costituisce la prosecuzione della pregressa fase di merito e non è destinato a confermare o riformare la sentenza di primo grado, ma integra una nuova ed autonoma fase che, pur soggetta, per ragioni di rito, alla disciplina riguardante il corrispondente procedimento di primo o secondo grado, ha natura rescissoria (nei limiti posti dalla pronuncia rescindente) ed è funzionale alla emanazione di una sentenza che, senza sostituirsi ad alcuna precedente pronuncia, riformandola o modificandola, statuisce direttamente sulle domande proposte dalle parti, come si desume dal disposto dell’art. 393 c.p.c., a mente del quale all’ipotesi di mancata, tempestiva riassunzione del giudizio, non consegue il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, bensì la sua inefficacia” (così Cass. 1824/2005, v. anche Cass. 10009/2017, Cass., sez. un., n. 11844/2016 e Cass., sez. un., n. 19701/2010).

L’affermazione della Corte d’appello valorizzata dal ricorrente di rigetto dell’appello da egli proposto è pertanto errata, ma il giudice di rinvio (v. il dispositivo della pronuncia a p. 11) ha statuito sulla domanda proposta in primo grado da F.V., domanda riproposta in sede di riassunzione “in applicazione del principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte” (p. 5 del provvedimento impugnato), pronunciando – con decisione dal contenuto identico a quella resa in primo grado dal Tribunale – la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento di D.P.V..

b. Il secondo profilo contesta al giudice di rinvio di avere travalicato i limiti del dictum contenuto nella pronuncia rescindente di questa Corte: pronunciando la risoluzione del contratto per inadempimento del promittente venditore, il giudice di rinvio avrebbe infatti rimesso in discussione i presupposti fattuali e logici che quella pronuncia aveva considerato accertati con carattere definitivo.

L’assunto è infondato. La pronuncia di questa Corte n. 12223/2014 ha accolto il primo motivo “sotto il profilo del difetto di motivazione”, avendo il giudice d’appello individuato “l’inadempimento del signor F. nel rifiuto di questi di addivenire alla stipulazione del contratto definitivo”, ma “non spiegato come e quando vi sarebbe stata la richiesta di controparte di procedere in tal senso”. Il giudice di rinvio, a sua volta, ha accertato che F., non solo non aveva rifiutato di addivenire alla stipulazione del contratto definitivo, ma, dopo che l’11 novembre 1993 non era stato possibile addivenire alla stipulazione del contratto definitivo in quanto il promittente venditore non aveva ancora provveduto alla decadenza dai benefici fiscali, aveva il giorno successivo invitato per iscritto D.P. a provvedere nel termine di quindici giorni, invito cui questi aveva risposto minacciando iniziative giudiziarie, così da giustificare l’introduzione del presente giudizio il 17 dicembre 1993, con irrilevanza della successiva diffida ad adempiere di D.P. del 14 gennaio 1994 (che d’altro canto aveva provveduto a pagare l’imposta solo il 10 dicembre 1993).

L’accertamento, che ha portato il giudice di rinvio a ritenere grave l’inadempimento di D.P. e ad accogliere la domanda fatta valere da F. di risoluzione del contratto, non ha pertanto rimesso in discussione i “presupposti fattuali e logici” considerati accertati con carattere definitivo dalla pronuncia 12223/2014 di questa Corte, che anzi aveva ritenuto assorbiti il secondo e il terzo motivo di ricorso che censuravano la valutazione della Corte d’appello riguardo al comportamento tenuto dalle parti in quanto non autonomi dal primo, accolto, motivo.

Nel caso di cassazione con rinvio per vizio di motivazione, infatti, il giudice di rinvio “non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma può anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo, in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata” (così Cass., sez. un., n. 11844/2016; sui poteri del giudice nel caso di rinvio per vizio di motivazione si vedano pure la pronuncia delle sezioni unite n. 370/1962 e, più di recente, Cass., sez. un., n. 19217/2003, Cass. 22989/2018 e Cass. 31901/2018).

3. Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

L’istanza del controricorrente di condanna di D.P.V. ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, non può essere accolta: la disposizione, introdotta dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 12, trova applicazione unicamente in relazione ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore, vale a dire dopo il 4 luglio 2009 (e il processo in esame è iniziato nel 1993). E’ invece applicabile il disposto dell’art. 385 c.p.c., comma 4, che, abrogato dalla L. n. 69 del 2009, si applica ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze pubblicate a decorrere dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, avvenuta il 2 marzo 2006 (circa l’applicazione dell’art. 385 c.p.c., comma 4, ai giudizi iniziati in primo grado prima del 4 luglio 2009, ove il ricorso per cassazione abbia ad oggetto una sentenza pronunciata dopo il 2 marzo 2006, v. Cass. 17814/2019). La condanna del ricorrente per responsabilità aggravata non può però essere pronunciata da questa Corte, non trattandosi di ricorso dal contenuto distante “per un verso dal diritto vivente, per altro verso dai precetti del codice di rito come costantemente e pacificamente interpretati dalle sezioni unite” (Cass. 17814/2019 appena richiamata) così da integrare il requisito richiesto della colpa grave nella sua proposizione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente che liquida in Euro 5.600, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge, con distrazione delle stesse in favore dell’avvocato Vito Antonio Giannini, che si è dichiarato antistatario.

Sussistono, del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella pubblica udienza della Sezione Seconda Civile, il 17 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2021

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