Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8760 del 30/03/2021

Cassazione civile sez. II, 30/03/2021, (ud. 16/09/2020, dep. 30/03/2021), n.8760

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18021/2016 proposto da:

S.R., elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEL BANCO DI

SANTO SPIRITO N. 3, presso l’avv. GIORGIO CLEMENTI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avv. GUGLIELMO BARZAN;

– ricorrente –

contro

ALBRICCI SRL, IN PERSONA DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI

AMMINISTRAZIONE, elettivamente domiciliata in ROMA, P.ZA BARTOLOMEO

GASTALDI, 1, presso lo studio dell’avvocato ELEONORA ZICCHEDDU, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARMALDO STRADA;

– controricorrente –

e contro

O.N.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3359/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 31/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/09/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.

 

Fatto

PREMESSO

Che:

1. Nel 2008 la società Albricci srl conveniva in giudizio S.R., quale titolare dell’omonima impresa, e O.N., quale titolare dell’impresa Amon, allegando:

– di avvalersi nello svolgimento della propria attività di produzione, commercializzazione e distribuzione di macchine industriali per la lavorazione del legno di una rete di rivenditori operanti in aree diverse del territorio nazionale;

– che nella zona di (OMISSIS) da quindici anni operava quale rivenditore la Technoholz, di cui era socio S. e che quest’ultimo aveva contattato il proprio legale rappresentante asserendo di voler acquistare una macchina squadratrice, per Euro 30.000, destinata ad un cliente utilizzatore finale;

– che in occasione di una fiera tenutasi a (OMISSIS) era stato perfezionato il contratto, con consegna della macchina presso l’utilizzatore finale, la società De Rosso spa, e che S. aveva consegnato il proprio biglietto da visita accompagnato da un altro dell’impresa Amon, delegando a quest’ultima la formalizzazione documentale del negozio già perfezionatosi oralmente;

– Albricci, in considerazione del rapporto di fiducia con S., aveva accettato le modalità da questi indicate e aveva inviato conferma dell’ordine allo stesso S., che aveva restituito copia della conferma sottoscritta per accettazione;

– che il macchinario era stato consegnato e installato presso la De Rosso e la fattura era stata emessa a nome della Amon, che, dopo avere chiesto una dilazione, non aveva effettuato, al pari di S., pagamento alcuno.

La società attrice chiedeva quindi al Tribunale di Monza di accertare e dichiarare che tra essa e S. era stato perfezionato un contratto di vendita, che S. aveva assegnato la Amon quale nuovo debitore, ma che l’obbligazione permaneva nei confronti di entrambi, di cui chiedeva la condanna in solido al pagamento di Euro 36.720,82. Si costituiva S., allegando di essere un mero procacciatore d’affari e che il contratto non era stato concluso alla fiera ma, dopo ulteriori trattative, direttamente tra Albricci e Amon.

Il Tribunale di Monza, con sentenza del 23 maggio 2012, accoglieva la domanda dell’attrice e, accertata la permanenza dell’obbligazione di pagamento in capo ad entrambi i convenuti, li condannava in solido al pagamento della somma richiesta.

2. S. impugnava la pronuncia, “reiterando le tesi svolte in primo grado”. La Corte drappello di Milano – con sentenza 31 luglio 2015, n. 3359 – ha rigettato l’impugnazione.

3. Contro la sentenza ricorre per cassazione S.R.. Resiste con controricorso Albricci srl.

L’intimato O.N. non ha proposto difese. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il ricorso è articolato in due motivi.

a) Il primo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., con riferimento all’art. 1326 c.c.” in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: sul “punto focale della vantazione delle prove documentali” andrebbe rilevata l’incompletezza della disamina, non avendo il giudice d’appello valutato l’esistenza di una prima, diversa conferma d’ordine di Albricci, datata 12 febbraio 2007 e trasmessa il 15 febbraio 2007, conferma d’ordine nella quale era previsto un diverso prezzo per il carro (3.105 Euro invece che 2.889 Euro) e uno sconto del 20% invece che del 25% rispetto alla conferma d’ordine del 14 febbraio 2007 considerata nella motivazione della Corte d’appello, differenze che dimostrerebbero come il contratto di compravendita non era stato concluso verbalmente alla fiera di (OMISSIS) tra Albricci e S., ma successivamente tra Albricci e Amon, con conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c., per non essersi la Corte d’appello pronunciata sull’eccezione di merito formulata sulla scorta dell’art. 1326 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., per non avere considerato e adeguatamente valutato la prova documentale di cui sopra. Il motivo è inammissibile. Inammissibile è anzitutto la prospettazione del vizio di omissione di pronuncia su una eccezione (peraltro erroneamente invocando il n. 3 invece che il n. 4 dell’art. 360 c.p.c.) in relazione alla mancata considerazione/valutazione di un documento, inammissibile poi è il riferimento agli artt. 115 e 116 c.p.c., che attengono al principio di disponibilità e di libera valutazione delle prove e non all’eventuale mancato esame di un fatto del giudizio, peraltro privo del carattere di decisività (l’esistenza di una conferma d’ordine, redatta due giorni prima e trasmessa il giorno dopo la redazione della seconda, non viene ad incidere sul ragionamento della Corte d’appello incentrato sul riferimento alla fiera di (OMISSIS) e sul fatto che una conferma d’ordine presuppone l’esistenza di un precedente ordine, effettuato appunto a (OMISSIS)).

b) Il secondo motivo contesta “violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.” in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: in via subordinata rispetto all’assorbente, precedente motivo, il ricorrente contesta l’affermazione della pronuncia impugnata che riconduce le parti de relato ex parte actoris delle dichiarazioni testimoniali alla nullità sanabile di cui all’art. 157 c.p.c., comma 2.

Il motivo è inammissibile. E’ corretto il rilievo del ricorrente secondo cui in relazione alla testimonianza de relato ex parte non è corretto il richiamo alla categoria della nullità, ma piuttosto si pone il problema della sua rilevanza probatoria. Si tratta infatti di una testimonianza che solo ove si riferiscano circostanze sfavorevoli alla parte medesima (che funge da fonte referente) presenta “natura giuridica di prova testimoniale d’una confessione stragiudiziale (se munita del relativo animus) fatta a un terzo”, e quindi, “in quanto tale liberamente apprezzabile dal giudice ai sensi dell’art. 2735 c.c., comma 1, secondo periodo” (così, Cass. 1320/2017); se invece sono riferite circostanze favorevoli alla parte, essendo la fonte la parte medesima, “la rilevanza del loro assunto è sostanzialmente nulla” (così da ultimo Cass. 7746/2020). La Corte d’appello, però, va precisato, da un lato ha sì richiamato la categoria della nullità, ma dall’altro lato ha basato la legittimità dei dati probatori su un risalente orientamento di questa Corte per cui “la deposizione de relato ex parte actoris, se riguardata di per sè sola, non ha alcun valore probatorio, nemmeno indiziario, può, tuttavia, assurgere a valido elemento di prova quando sia suffragata da circostanze oggettive o soggettive ad essa estrinseche o da altre risultanze probatorie acquisite al processo, che concorrano a confortarne la credibilità” (Cass. 324/1972). In ogni caso, poi, le dichiarazioni de relato – che il ricorrente, in violazione dell’onere di specificità, non trascrive – si riferiscono, secondo lo stesso ricorrente, a tre sole testimonianze e, sulla base di quanto riportato dalla sentenza impugnata, concernono solo parte delle medesime.

II. Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore della controricorrente che liquida in Euro 4.300, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.

Sussistono, del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale della Sezione Seconda Civile, il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2021

 

 

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