Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8758 del 04/04/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 04/04/2017, (ud. 22/12/2016, dep.04/04/2017),  n. 8758

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4189-2016 proposto da:

C.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. G. PORRO

8, presso lo studio dell’avvocato ANSELMO CARLEVARO, rappresentato e

difeso dagli avvocati ANDREA DE VINCENTIS, MARCO ACCINNI giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

M.G., N.R., in qualità di liquidatori e soci

personalmente della società Nespoli & Manuzzi, elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA S. TOMMASO D’AQUINO 116, presso lo studio

dell’avvocato ANTONIO IANNELLA, che li rappresenta e difende giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2873/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata l’01/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 22/12/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA

PELLECCHIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.R. propose opposizione avverso il decreto ingiuntivo con il quale gli era stato ingiunto il pagamento di cambiali per un ammontare di Euro 24.911,36. Sostenne che le cambiali si riferivano a forniture di merce, non effettuate a causa dalla messa in liquidazione della opposta società Nespoli Nespoli e Manucci e C. s.n.c..

Si costituì in giudizio la società in liquidazione, chiedendo il rigetto della opposizione in quanto le cambiali prodotte consistevano in rinnovi di precedenti cambiali non pagate da C.R. nell’ambito del rapporto commerciale sussistente tra le parti.

Il Tribunale di Varese, con la sentenza n. 417/2014, accolse l’opposizione e per l’effetto revocò il decreto ingiuntivo opposto.

2. Tale decisione è stata riformata dalla Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 2873 del 1 luglio 2015.

Secondo la Corte, dato il pacifico e riconosciuto rapporto causale, consistente nel rapporto commerciale di fornitura di abbigliamento, l’utilizzo della cambiale quale promessa di pagamento nei rapporti tra le parti del rapporto sottostante, implica l’esercizio dell’azione causale inerente a tale rapporto, e in applicazione dell’art. 1988 c.p.c. grava sul debitore l’onere di provare l’inesistenza di tale rapporto, ovvero l’estinzione delle obbligazioni da esso nascenti.

La promessa di pagamento, infatti, non costituisce una autonoma fonte di obbligazione ma ha il solo effetto di liberare il creditore, gravando sul debitore l’onere di dimostrare che le forniture non erano state realizzate ovvero erano state effettuate per un importo diverso rispetto a quanto contenuto nelle promesse di pagamento. Tale prova sostiene la Corte non è stata fornita.

3. Avverso tale sentenza propone ricorso in Cassazione C.R. sulla base di un motivo.

3.1 Resistono con controricorso N.R. e M.G..

4. E’ stata depositata in cancelleria relazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., e regolarmente notificata ai difensori delle parti, la proposta di manifesta infondatezza del ricorso. Le parti non hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Con l’unico motivo di ricorso articolato in più censure il ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (Artt. 1988 e 2697 c.c.) nullità della sentenza e del procedimento, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa dati contraddittori e decisivi per il giudizio.

Lamenta che la Corte d’appello ha ritenuto non condivisibile la pronuncia del Tribunale sulla scorta del rilievo che, parte appellata si è limitata a provare l’esistenza di pagamenti effettuati attraverso altri titoli di credito riferibili a precedenti fatture non provando, come era suo onere, quanto affermato circa il fatto che tali cambiali erano state rilasciate per l’acquisto di ulteriore merce, in realtà mai fornita.

A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, reputa il Collegio con le seguenti precisazioni, di condividere le conclusioni cui perviene la detta proposta.

Il motivo è infondato.

Il ricorrente pur denunciando, apparentemente, violazione di legge ed una insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza di secondo grado, chiede in realtà a questa Corte di pronunciarsi ed interpretare questioni di mero fatto non censurabili in questa sede mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto dei fatti storici quanto le valutazioni di quei fatti espresse dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone alle proprie aspettative (Cass. n. 21381/2006).

Inoltre la censura relativa ala violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 è inammissibile. Infatti il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Scompare, invece, nella nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ogni riferimento letterale alla “motivazione” della sentenza impugnata e, accanto al vizio di omissione (che pur cambia in buona misura d’ambito e di spessore), non sono più menzionati i vizi di insufficienza e contraddittorietà.

Al riguardo, si ricorda il principio affermato dalle Sezioni Unite secondo cui la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5) “deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”” (cfr. Cass. civ., Sez. Unite, 22/09/2014, n. 19881).

Alla luce dell’enunciato principio, risulta che il ricorrente, denunciando il vizio di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, non ha rispettato i limiti di deducibilità del vizio motivazionale imposti dalla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 6, n. 5.

Per quanto riguarda poi la parte del motivo relativo alla violazione dell’art. 232 c.p.c. è anch’esso inammissibile per genericità.

Pertanto, ai sensi degli artt. 380-bis e 385 c.p.c., il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione sesta civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2017

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