Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8757 del 30/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 30/03/2021, (ud. 19/01/2021, dep. 30/03/2021), n.8757

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanni Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 251 del ruolo generale dell’anno 2017,

proposto da:

L.F. & C. s.n.c., in persona dei propri soci

amministratori L.F., L.E., Lu.St.,

L.F., St. Ma. Limited, in persona del legale

rappresentante pro tempore, tutti rappresentati e difesi, giusta

procure speciali in calce al ricorso, dagli avvocati A. Jacchia

Roberto, Terranova Antonella, Ferraro Fabio e Agnello Daniela,

elettivamente domiciliatosi presso lo studio dei primi tre in Roma,

alla via Vincenzo Bellini, n. 24;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle dogane, in persona del direttore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

elettivamente si domicilia;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, depositata in data 30 maggio 2016, n.

3257/2016;

sentita la relazione svolta dal consigliere Perrino Angelina-Maria

nella camera di consiglio del 19 gennaio 2021.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Emerge dalla sentenza impugnata che la società L. ha svolto per conto della St. Ma. Limited, priva di concessione, un’attività di raccolta di scommesse sportive a quota fissa; ad avviso dell’Agenzia delle dogane, che ha al riguardo fatto leva sugli esiti di una verifica fiscale svoltasi mediante accesso nei locali dell’agenzia di scommesse, la società L. non si era limitata a trasmettere i dati informatici al bookmaker estero, ma aveva sollecitato e raccolto le scommesse per poi, successivamente, pagare le vincite ai giocatori.

Ne è seguito un avviso di accertamento col quale l’Agenzia, per gli anni d’imposta 2009, 2010, 2011, 2012 e 2013, ha recuperato l’imposta unica prevista dal D.Lgs. n. 23 dicembre 1998, n. 504 nei confronti della L. s.n.c. e del bookmaker St. Ma. Limited.

L’impugnazione proposta dalla società, da L.F. e da St. Ma. Limited non ha avuto successo nè in primo, nè in secondo grado.

Il giudice d’appello ha anzitutto rilevato che l’avviso di accertamento era adeguatamente motivato e che comunque un esemplare del processo verbale di constatazione era stato consegnato dai verificatori alla parte soggetta a verifica.

Ha poi ravvisato i presupposti di applicazione dell’imposta unica sulle scommesse, in base alla norma d’interpretazione autentica contenuta nella L. 13 dicembre 2010, n. 220, art. 1, comma 66, perchè ha ritenuto che la L. s.n.c., titolare della ricevitoria, avesse gestito scommesse per conto del bookmaker estero erogando i premi ai vincitori e che i contratti tra ricevitore e scommettitori si fossero conclusi in Italia, a norma dell’art. 1336 c.c., come si evince dal rilascio ai giocatori delle ricevute di pagamento, che costituiscono titoli al portatore per la riscossione delle eventuali vincite.

La Commissione tributaria regionale ha anche specificato che il centro di trasmissione dati, ossia, appunto, nel caso in esame la L. s.n.c., svolge una funzione di ricevitoria da ritenere assimilabile alla gestione per conto terzi contemplata dalla L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, indipendentemente dalla mancanza di un potere d’ingerenza nella determinazione delle condizioni delle scommesse, e che questa disciplina non si pone in contrasto col diritto unionale, anche sotto il profilo della lamentata doppia imposizione, della quale, peraltro, ha sottolineato, non v’è prova.

Il giudice d’appello ha quindi escluso qualunque frizione con i principi costituzionali e, infine, ha ritenuto inapplicabile, quanto alle sanzioni, l’esimente prevista dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 2, per mancanza d’incertezza in ordine all’applicazione della normativa di riferimento.

Contro questa sentenza la L. s.n.c., L.F. e St. Ma. Limited propongono ricorso per ottenerne la cassazione, che affidano a nove motivi e illustrano con memoria che corredano con istanza di trattazione del giudizio in pubblica udienza, cui l’Agenzia delle dogane e dei monopoli risponde con controricorso, che parimenti illustra con memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, l’istanza di trattazione della causa in pubblica udienza va disattesa.

In adesione all’indirizzo espresso dalle sezioni unite di questa Corte, il collegio giudicante ben può escludere, nell’esercizio di una valutazione discrezionale, la ricorrenza dei presupposti della trattazione in pubblica udienza, in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare nel caso di specie (Cass., sez. un., 5 giugno 2018, n. 14437), e allorquando non si verta in ipotesi di decisioni aventi rilevanza nomofilattica (Cass., sez. un., 23 aprile 2020, n. 8093).

In particolare, la sede dell’adunanza camerale non è incompatibile, di per sè, anche con la statuizione su questioni nuove, soprattutto se non oggettivamente inedite e già assistite da un consolidato orientamento, cui la Corte fornisce ii proprio contributo.

1.1. – Nel caso in questione, il tema oggetto del giudizio è nuovo nella giurisprudenza di questa Corte, ma non è inedito, in quanto compiutamente affrontato in tutti i suoi risvolti da un lato dalla Corte costituzionale (con la sentenza 14 febbraio 2018, n. 27) e dall’altro da quella unionale (con la sentenza in causa C-788/18, relativa giustappunto alla St. Ma. Limited).

E i principi da quelle Corti stabiliti risultano ampiamente e diffusamente recepiti pure dalla giurisprudenza di merito.

Così ampie e convergenti affermazioni inducono quindi a ritenere preferibile la scelta del procedimento camerale, funzionale alla decisione di questioni di diritto di rapida trattazione non caratterizzate da peculiare complessità (sulla medesima falsariga, si veda Cass. 20 novembre 2020, n. 26480).

Nè la giurisprudenza penale di questa Corte richiamata nell’istanza di rimessione alla pubblica udienza è idonea a incrinare i principi in questione, per le ragioni di seguito esplicate.

1.2. – Infine, quanto al profilo delle esigenze difensive, che pure si affaccia nell’istanza ed è ribadito nella memoria illustrativa, va anzitutto nuovamente sottolineato che, in conformità alla giurisprudenza sovranazionale, il principio di pubblicità dell’udienza, pur previsto dall’art. 6 CEDU e avente rilievo costituzionale, non riveste carattere assoluto e vi si può derogare in presenza di “particolari ragioni giustificative”, ove “obiettive e razionali” (in particolare, Corte Cost. 11 marzo 2011, n. 80).

Ad ogni modo, queste esigenze sono anche in concreto presidiate, perchè le parti hanno illustrato la propria rispettiva posizione in esito alle pronunce della Corte costituzionale e della Corte di giustizia depositando osservazioni scritte.

2. – Nel merito, va dichiarata la cessazione della materia del contendere in relazione alle pretese concernenti gli anni 2009 e 2010, quanto alla posizione del ricevitore, poichè l’Agenzia delle dogane ha allegato e documentato il sopravvenuto, corrispondente annullamento in autotutela adottato in data 31 maggio 2019 a seguito e per effetto della sentenza n. 27/18 della Corte costituzionale.

3. – In relazione alla residua materia del contendere, il primo motivo di ricorso, col quale le ricorrenti lamentano la violazione o falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, anche in relazione alla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, là dove la Commissione tributaria regionale ha ritenuto l’avviso di accertamento adeguatamente motivato, è inammissibile per carenza di autosufficienza e perchè non è congruente col contenuto della decisione.

3.1.- Anzitutto, a fronte dell’affermazione contenuta in sentenza che “l’avviso di accertamento è correttamente motivato perchè in esso sono stati indicati i presupposti di legge per l’assoggettamento all’imposta e le norme di legge applicate in ordine all’aliquota di tassazione”, non si allega il contenuto dell’avviso, al fine di evidenziare che con esso l’Agenzia si sia limitata a enunciare la pretesa impositiva, senza indicarne petitum e causa petendi e senza ricostruirne gli elementi costitutivi (secondo le precisazioni rese da questa Corte, per le quali si veda, tra varie, Cass. 21 novembre 2018, n. 30039).

Inoltre, quanto alla posizione del ricevitore, la censura ignora l’ulteriore accertamento contenuto in sentenza che “un esemplare del PVC risulta regolarmente essere stato consegnato dai verificatori alla parte che ha firmato per ricevuta”; statuizione, questa, che comporta l’applicazione del principio reiteratamente affermato da questa Corte, in base al quale, in tema di motivazione per relationem degli atti d’imposizione tributaria, l’art. 7, comma 1, dello statuto dei diritti del contribuente, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento da esso richiamato in motivazione, si riferisce esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza (tra varie, Cass. 19 novembre 2019, n. 29968; 10 luglio 2020, n. 14723).

4. – Il secondo, il terzo, il quarto, il quinto, il sesto, l’ottavo e il nono motivo vanno poi esaminati insieme, perchè concernono tutti, sotto diversi profili, i presupposti dell’imposta unica sulle scommesse:

col secondo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, come interpretato dalla legge di stabilità per il 2011, art. 1, comma 66, lett. b), là dove il giudice d’appello ha ritenuto il centro di trasmissione dati soggetto passivo del tributo;

col terzo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 53 Cost. in riferimento al D.Lgs. n. 504 del 1998, artt. 1 e 3, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 64, comma 3, e legge di stabilità per il 2011, art. 1, comma 66, lett. b);

col quarto motivo si prospetta la violazione o falsa applicazione della L. n. 288 del 1998, art. 1, comma 2, lett. b), e degli artt. 1326, 1327 e 1336 c.c., perchè la Commissione tributaria regionale avrebbe errato nel configurare in capo al centro di trasmissione dati il profilo territoriale del tributo;

col quinto motivo si fa valere la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 1, come interpretato dalla legge di stabilità per il 2011, art. 1, comma 66, lett. a), perchè la Commissione tributaria regionale avrebbe errato nel ritenere integrato il profilo oggettivo del presupposto dell’imposta unica;

col sesto motivo si punta sulla violazione o falsa applicazione dell’art. 56 TFUE e dei principi unionali di parità di trattamento e di non discriminazione, con riferimento al D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, come interpretato dalla legge di stabilità per il 2011, art. 1, comma 66, nonchè sulla violazione del principio di legittimo affidamento;

con l’ottavo motivo si evidenzia la violazione o falsa applicazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza delle leggi ex art. 3 Cost. da parte delle norme dinanzi richiamate;

col nono motivo si sottolinea la violazione o falsa applicazione del principio dell’equo processo stabilito dall’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dell’art. 117 Cost., comma 1, sempre con riguardo alle norme in questione.

4.1. – Sin dalle origini il tributo sui giochi e le scommesse, che è frutto del percorso evolutivo iniziato con la tassa di lotteria (D.Lgs. 14 aprile 1948, n. 496, art. 6), è stato pensato in relazione alle attività di gioco: già nella relazione ministeriale al disegno di legge istitutivo dell’imposta unica n. 2033 presentato il 15 giugno 1951, si leggeva, quanto ai giochi riservati al CONI e all’UNIRE, che questi “…debbono allo Stato, per l’esercizio delle attività di giuoco predette, la corresponsione di una tassa di lotteria…”.

Sicchè il presupposto dell’imposizione non è stato correlato alla giocata in sè, ma alla prestazione di un servizio, che è, appunto, il servizio di gioco. Il prelievo colpisce dunque il prodotto che è offerto al consumatore tramite l’organizzazione dell’attività, sotto forma di servizio.

5. – E queste ragioni di ordine storico e sistematico innervano il quadro normativo applicabile, che è così articolato:

– conformemente al D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 1, volto al riordino dell’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse, a norma della L. 3 agosto 1998, n. 288, art. 1, comma 2, l’imposta unica è dovuta per i concorsi pronostici e le scommesse di qualunque tipo, relativi a qualunque evento, anche se svolto all’estero; il D.Lgs. n. 504 del 1988, art. 3, intitolato ai soggetti passivi, stabilisce che “Soggetti passivi dell’imposta unica sono coloro i quali gestiscono, anche in concessione, i concorsi pronostici e le scommesse”;

– a norma della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66″(…)

a) (…) l’imposta unica (…) è comunque dovuta ancorchè la raccolta del gioco, compresa quella a distanza, avvenga in assenza ovvero in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal ministero dell’economia e delle finanze -amministrazione autonoma dei monopoli di Stato;

b) il D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3 si interpreta nel senso che soggetto passivo d’imposta è chiunque, ancorchè in assenza o in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal ministero dell’economia e delle finanze -amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all’estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere. Se l’attività è esercitata per conto di terzi, il soggetto per conto del quale l’attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni”;

– il D.M. economia e finanze 1 marzo 2006, n. 111, art. 16 prevede che il concessionario effettui il pagamento delle somme dovute a titolo di imposta unica.

5.1. – L’intera disciplina dei tributi sui giochi risponde d’altronde a un impianto sistematico coerente.

Così è in materia di prelievo erariale unico, in relazione al quale il D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 39, comma 13, primo periodo, conv. con L. 24 novembre 2003, n. 326, disponeva che “Agli apparecchi e congegni di cui al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 110, comma 6, e successive modificazioni, collegati in rete, si applica un prelievo erariale unico fissato in misura del 13,5 per cento delle somme giocate” e, dunque, ancorava il presupposto dell’imposizione all’utilizzazione degli apparecchi e congegni per il gioco lecito (“agli apparecchi… si applica un prelievo”).

Al riguardo, anche la Corte costituzionale aveva sottolineato (con la sentenza 19 ottobre 2006, n. 334) il parallelismo con “l’imposta sugli intrattenimenti, dal D.P.R. n. 640 del 1972, art. 1 e dal punto 6 della tariffa allegata allo stesso D.P.R. “: la norma, come modificata dal D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 60, art. 1, prevedeva che “Sono soggetti all’imposta gli intrattenimenti, i giochi e le altre attività indicati nella tariffa allegata al presente decreto, che si svolgono nel territorio dello Stato”, di modo che, richiamando lo “svolgimento” dei giochi e delle altre attività, si riferiva direttamente al concreto esercizio del gioco (cfr., al riguardo, Cass. 18 dicembre 2019, n. 33584).

Analogamente, in materia di iva, il D.P.R. 26 ottobre 1972, art. 10, comma 1, n. 6, prevede un regime di esenzione nel caso della raccolta delle scommesse, ancora con riguardo, dunque, alla prestazione del servizio di gioco.

E’ chiara, d’altra parte, la ratio di una simile impostazione: lo Stato ha interesse, sia fiscale sia extrafiscale, che le attività di gioco che si realizzano sul proprio territorio -ossia, nel luogo dove si trova fisicamente lo scommettitore e comunque esse siano svolte- siano soggette al proprio ordinamento.

6. – Ad ogni modo, il quadro normativo dell’imposta unica sulle scommesse è stato sottoposto all’esame e della Corte costituzionale e della Corte di giustizia, che ne hanno compiutamente esaminato le relazioni rispettivamente con la Costituzione e col diritto unionale prospettate nell’odierno ricorso, fornendo chiari elementi per la soluzione anche dei dubbi ulteriori avanzati con la memoria illustrativa.

6.1. – La Corte costituzionale (con la sentenza 23 gennaio 2018, n. 27) ha dato atto dell’incertezza correlata all’interpretazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3 per il periodo antecedente alla disposizione interpretativa del 2010.

La L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, tuttavia, ha sottolineato, ha sciolto ogni dubbio.

Anzitutto, il legislatore ha chiarito, in generale, che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio: anche il bookmaker privo di concessione gestisce le scommesse, realizzando in tal modo il presupposto impositivo, e comunque assume il rischio proprio dei contratti di scommessa.

7. – Inoltre, il legislatore ha stabilito (in un punto della motivazione la Corte costituzionale specifica che “…il legislatore ha così esplicitato …”) che pure le ricevitorie operanti, come nel caso in esame, per conto di bookmakers privi di concessione, svolgono un’attività gestoria che costituisce il presupposto dell’imposizione e, per conseguenza, sono obbligate al versamento del tributo e delle relative sanzioni.

L’attività consiste nella raccolta delle scommesse, il volume delle quali determina anche la provvigione della ricevitoria e per conseguenza il suo stesso rischio imprenditoriale.

Il titolare della ricevitoria, dunque, benchè non partecipi direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, comunque assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, si occupa della trasmissione al bookmaker dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonchè del pagamento delle vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal bookmaker.

7.1. – La stessa giurisprudenza penale citata in memoria dai contribuenti (ossia Cass. 9 luglio-9 settembre 2020, n. 25439) evidenzia la rilevanza del ruolo del ricevitore appartenente alla rete distributiva del bookmaker (punto 5), consistente nella “…raccolta e trasmissione delle scommesse per conto di quest’ultimo, rilasciando le ricevute emesse dal terminale di gioco -con le annesse attività di incasso delle poste e di pagamento delle eventuali vincite-… “.

Il rilievo autonomo dei ruoli di bookmaker e ricevitore si riverbera d’altronde anche sul piano civilistico, nella relazione con lo scommettitore: sia pure con riguardo al gioco del lotto, si è chiarito che sono due i rapporti obbligatori, quello concluso tra lo scommettitore e il raccoglitore e quello che si instaura tra lo scommettitore ed il gestore (Cass. 27 luglio 2015, n. 15731).

8. – Non si attaglia quindi al rapporto tra bookmaker e ricevitore, diversamente da quanto sostenuto in ricorso e in memoria, lo schema della solidarietà dipendente, che ricorre, invece, quando uno dei coobbligati, pur non avendo realizzato un fatto indice di capacità contributiva, si trova in una posizione collegata con il fatto imponibile o con il contribuente, sulla base di un rapporto a cui il fisco resta estraneo (in termini, da ultimo, Cass. n. 26480/20, cit.).

Entrambi i soggetti, difatti, partecipano, sia pure su piani diversi e secondo differenti modalità operative, allo svolgimento dell’attività di “organizzazione ed esercizio” delle scommesse soggetta a imposizione.

8.1. – Non è allora irragionevole, ha sottolineato la Corte costituzionale (ancora con la sentenza n. 27/18), l’equiparazione, ai fini tributari, del “gestore per conto terzi” (ossia del titolare di ricevitoria) al “gestore per conto proprio” (ossia al bookmaker).

9. – La scelta di assoggettare all’imposta i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, inoltre, ha aggiunto quella Corte, non viola il principio di capacità contributiva, se il rapporto tra il bookmaker e il titolare della ricevitoria che agisce per suo conto sia disciplinato da un contratto che regoli anche le commissioni dovute al ricevitore per il servizio prestato.

Ciò perchè attraverso la regolazione delle commissioni il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera.

9.1. – Per conseguenza la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3 e della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), nella sola parte in cui prevedono che, nelle annualità d’imposta precedenti al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione. In quel periodo non si può difatti procedere alla traslazione dell’imposta, perchè l’entità delle commissioni già pattuite fra ricevitorie e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro precedente alla L. n. 220 del 2010.

10. – Quella Corte ha anche chiarito (punto 4.5) che, in mancanza di regolazione degli effetti transitori e in considerazione della natura interpretativa della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), la disposizione va applicata anche ai rapporti negoziali perfezionatisi prima della sua entrata in vigore.

La disposizione interpretativa del 2010 costituisce altresì parametro normativo di riferimento per definire negozialmente l’assetto di interessi delle parti, sia in caso di rapporti sorti successivamente sia per quelli già sorti e destinati a protrarsi. Le parti, difatti, possono rimodulare la regolazione negoziale delle commissioni al fine di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera la ricevitoria.

E ciò perchè la configurazione legale, come definita dalla Corte costituzionale, conforma la regolazione negoziale.

10.1. – In conclusione, per tutti i periodi d’imposta quanto al bookmaker e, in relazione al ricevitore, per i periodi d’imposta a decorrere dal 2011, la censura complessiva è infondata.

Nè può in alcuna maniera incidere, in relazione al bookmaker, con riguardo al quale non si configura alcun vulnus di capacità contributiva, l’annullamento in autotutela che ha riguardato il ricevitore, in base alle considerazioni che precedono.

Dunque:

– è infondato il secondo motivo di ricorso, col quale si assume che la funzione gestoria postuli l’assunzione del rischio d’impresa, l’esercizio della funzione decisionale e organizzatoria in ordine alla fissazione degli eventi oggetto di scommessa, delle quote e dei criteri di accettazione e la titolarità del rapporto giuridico di scommessa con lo scommettitore, perchè in contrasto con la ricostruzione dell’attività di gestione del ricevitore, come illustrata da Corte Cost. n. 27/18 e confermata dalla giurisprudenza civile e penale di questa Corte;

– è infondato il terzo motivo, là dove si sostiene che sia compatibile col principio di capacità contributiva soltanto un meccanismo d’imposizione che consenta di far gravare sui soli scommettitori l’onere del tributo, giacchè è, invece, il meccanismo di traslazione dell’imposta tra ricevitore e bookmaker a garantire l’osservanza del principio in questione;

– è infondato il quarto motivo, col quale si fa leva, in relazione al ricevitore, sulla conclusione del contratto di scommessa, perchè il fatto imponibile è la prestazione di servizi consistente nell’organizzazione del gioco da parte del ricevitore e nella raccolta delle scommesse, che consiste, in relazione a ogni scommettitore, nella valida registrazione della scommessa, documentata dalla consegna della relativa ricevuta (così Cass. n. 15731/15, cit.); attività, queste, tutte svolte in Italia;

– è infondato il quinto motivo, col quale si torna a sostenere l’irrilevanza dell’attività svolta dalla ricevitoria;

– è infondato l’ottavo motivo, calibrato sui principi di uguaglianza e di ragionevolezza delle leggi, già esaminati da Corte Cost. n. 27/18.

Non può, in questo ambito, trovare fondamento l’ulteriore profilo di censura relativo all’irragionevolezza della norma interpretativa nella parte in cui, prevedendo l’imponibilità anche delle scommesse a quota fissa offerte con modalità transfrontaliera in assenza di concessione, non ha tenuto conto che il movimento delle suddette scommesse, proprio in quanto realizzate fuori sistema, non viene rilevato: la base imponibile, si sostiene, viene determinata senza considerare il movimento netto reale, poichè quelle scommesse sono escluse dalla formazione del movimento netto che determina l’applicazione delle aliquote, con la conseguenza che verrebbero applicate aliquote superiori a quelle che si sarebbero dovute applicare per legge.

La censura è inammissibile per difetto di specificità, posto che parte ricorrente postula solo in astratto la circostanza che l’applicazione della disciplina di determinazione del movimento netto sul quale commisurare l’aliquota dell’imposta unica anche nel caso di scommettitore privo di concessione, avrebbe determinato l’applicazione dell’aliquota massima che diversamente, ove si fossero considerate anche le scommesse fuori sistema, non sarebbe stata applicata. In realtà, rispetto al criterio di commisurazione dell’aliquota secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 4, comma 1, lett. b), n. 3), valevole per tutti i soggetti che svolgono l’attività di raccolta delle scommesse, parte ricorrente non deduce, nè allega alcunchè in ordine al fatto che l’eventuale considerazione delle scommesse “fuori sistema” avrebbe potuto incidere diversamente sulla determinazione dell’imponibile e sull’applicazione dell’aliquota operata dall’amministrazione doganale secondo le prescrizioni di legge;

– infondato è il nono motivo di ricorso, col quale si prospetta l’incompatibilità dell’interpretazione retroattiva della norma interpretativa contenuta nella legge di stabilità per il 2011 con i principi dell’equo processo stabiliti dall’art. 6 CEDU. La compatibilità costituzionale dell’effetto retroattivo della legge in relazione all’art. 6 Cedu s’incentra sul rispetto del principio di affidamento dei consociati nella certezza dell’ordinamento giuridico come specchio della ragionevolezza della legge; sicchè occorre che l’intervento legislativo con effetti retroattivi sia sorretto da motivi imperativi d’interesse generale (tra varie, Corte Cost. 13 luglio 2017, n. 176).

Laddove nel caso in esame sussiste il motivo imperativo, proprio delle leggi interpretative, di sciogliere incertezze, giacchè, come si anticipava sub 6.1., la Corte costituzionale, con la sentenza n. 27/18, ha appunto riconosciuto alla L. n. 220 del 2010 la funzione di risolvere l’incertezza inerente all’interpretazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3.

11. – Quanto agli ulteriori profili della censura, che riguardano le prospettate frizioni col diritto dell’Unione Europea, l’infondatezza emerge dalla giurisprudenza unionale.

Al riguardo, giova premettere che l’imposta di cui si discute non ha natura armonizzata; sicchè i giochi d’azzardo rilevano, ai fini del diritto unionale, in relazione alle norme concernenti la libera prestazione di servizi presidiata dall’art. 56 TFUE (Corte giust. 26 febbraio 2020, causa C-788/18, punto 17).

Inoltre, nel settore dei giochi d’azzardo con poste in danaro gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione dell’incitamento a una spesa eccessiva collegata al gioco, nonchè di prevenzione di turbative dell’ordine sociale in generale costituiscono motivi imperativi d’interesse generale atti a giustificare restrizioni alla libera prestazione di servizi: sicchè, in assenza di un’armonizzazione unionale della normativa sui giochi d’azzardo, ogni Stato membro ha il potere di valutare, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi in questione implica, a condizione che le restrizioni non minino i requisiti di proporzionalità (Corte giust. 24 ottobre 2013, causa C-440/12, punto 47; 8 settembre 2009, causa C-42/07).

Il legislatore nazionale ha proceduto a questa valutazione, dichiarando, nella L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 64, i propri obiettivi, tra i quali si colloca “… l’azione per la tutela dei consumatori, in particolare dei minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore del gioco e recuperando base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale nel medesimo settore”.

11.1. – La prevalenza dell’ordine di valori di ciascuno Stato membro comporta che gli Stati membri non hanno l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati, al fine di eliminare la doppia imposizione che risulta dal parallelo esercizio della rispettiva competenza fiscale (Corte giust. in causa C-788/18, cit., punto 23; per analogia, Corte giust. 1 dicembre 2011, causa C-253/09, punto 83).

12. – In questo contesto la normativa italiana, si anticipava, ha superato il vaglio della giurisprudenza unionale.

La Corte di giustizia ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri.

L’imposta unica si applica difatti a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti (punto 21 di Corte giust. in causa C-788/18), di modo che “… rispetto a un operatore nazionale che svolge le proprie attività alle stesse condizioni di tale società, la St. Ma non subisce alcuna restrizione discriminatoria a causa dell’applicazione nei suoi confronti di una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale” (punto 24).

12.1.- Anzi, come ha sottolineato la Corte costituzionale (ancora con la sentenza n. 27/18), a seguire la tesi prospettata in ricorso e ribadita in memoria si giungerebbe ad una discriminazione al contrario: la scelta legislativa “risponde ad un’esigenza di effettività del principio di lealtà fiscale nel settore del gioco, allo scopo di evitare l’irragionevole esenzione per gli operatori posti al di fuori del sistema concessorio, i quali finirebbero per essere favoriti per il solo fatto di non aver ottenuto la necessaria concessione…”.

13. – Nè v’è l’incongruenza, segnalata in memoria, tra i punti 17, 26 e 28 della sentenza resa dalla Corte di giustizia nella causa C788/18, cit. Col punto 17, in relazione al bookmaker, ci si limita a stabilire in via generale che la libera prestazione di servizi non tollera restrizioni idonee a vietare, ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro; ma col punto 24 si specifica, in concreto, che la normativa italiana “non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, quale la St. Ma., nello Stato membro interessato”.

13.1. – Quanto al centro trasmissione dati, col punto 26 ci si limita a ribadire che il bookmaker estero esercita un’attività di gestione di scommesse “allo stesso titolo degli operatori di scommesse nazionali” ed è per questo che il centro di trasmissione dati che opera quale suo intermediario risponde dell’imposta, a norma della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b).

Ma ciò non toglie, si aggiunge col punto 28, che la situazione del centro trasmissione dati che trasmette i dati di gioco per conto degli operatori di scommesse nazionali è diversa da quella del centro trasmissione che li trasmette per conto di un operatore che ha sede in altro Stato membro.

La statuizione non è affatto oscura, come si deduce in memoria.

La diversità della situazione è in re ipsa, per il fatto stesso che si tratta di soggetto che raccoglie scommesse per conto di un bookmaker estero, tenuto conto, come puntualmente rimarcato dalla Corte di giustizia, degli obiettivi perseguiti dal legislatore italiano, tra i quali si colloca, come si è visto, oltre alle azioni di tutela sopra richiamate, anche quella di recupero di base imponibile e gettito, a fronte dei fenomeni di elusione e di evasione fiscale.

In questo contesto, il ricorso al sistema delle concessioni costituisce “…un meccanismo efficace che consente di controllare gli operatori attivi in questo settore, allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti” (Corte giust. 19 dicembre 2018, causa C-375/17, Stanley International Be- e St. Ma., punto 66, richiamata al punto 18 della sentenza in causa C-788/18, cit.; coerente, nella giurisprudenza interna, Cass., sez. un., 29 maggio 2019, n. 14697, punto 10).

Di qui l’esclusione, anche con riguardo alla posizione del centro trasmissione dati, di qualsiasi restrizione discriminatoria e di pregiudizio della libertà di prestazione di servizi.

14. – Risulta quindi infondato anche il sesto motivo di ricorso, col quale si propongono le questioni di parità di trattamento e non discriminazione già risolte dalla Corte di giustizia, e si denuncia la violazione del principio di legittimo affidamento.

Quanto a quest’ultimo principio, in particolare, se ne prospetta la violazione in relazione alla portata innovativa della disposizione interpretativa della legge del 2010 che avrebbe introdotto, “improvvisamente e imprevedibilmente”, la responsabilità delle ricevitorie dei bookmaker privi di concessione.

14.1. – Nessun legittimo affidamento è, invece, configurabile, proprio perchè la Corte costituzionale ha stabilito che con la disposizione interpretativa in questione “il legislatore ha dunque esplicitato una possibile variante di senso della disposizione interpretata”.

15. – In questo quadro, la giurisprudenza penale di questa Corte citata in memoria, già dinanzi richiamata, è irrilevante.

Essa si riferisce difatti alla diversa questione della rilevanza penale dell’attività d’intermediazione e di raccolta delle scommesse, che questa Corte ha escluso, in base alla giurisprudenza unionale, qualora l’attività di raccolta sia compiuta in Italia da soggetti appartenenti alla rete commerciale di un bookmaker operante nell’ambito dell’Unione Europea che sia stato illegittimamente escluso dai bandi di gara attributivi delle concessioni: e ciò perchè in tal caso rileva la non conformità agli artt. 49 e 56 del TFUE del regime concessorio interno. Difatti, ha sottolineato questa Corte con la sentenza in questione, “In forza dei principi affermati dalla Corte di giustizia…, il mancato rispetto della disciplina amministrativa che non sia conforme al diritto dell’Unione Europea non può comportare l’applicazione di sanzioni penali”.

15.1. – Ma il fatto che non si risponda del reato di esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa, previsto e punito dalla L. 13 dicembre 1989, n. 401, art. 4, commi 1 e 4-bis, nessuna influenza produce sulla soggettività passiva della imposta unica sulle scommesse, che il D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3 riferisce a chiunque, con o senza concessione, gestisce i concorsi pronostici o le scommesse.

16. – Non si ravvisa quindi necessità alcuna di promuovere dinanzi alla Corte di giustizia le questioni sollecitate in memoria che, per un verso, si risolvono in una critica della sentenza resa nella causa C-788/18, che si rivela sterile per le ragioni esplicate, e, per altro verso, quanto all’insistenza sulla discriminazione e sulla pretesa contraddizione con la giurisprudenza unionale pregressa, sembra postulare che la Corte di giustizia abbia in precedenza riconosciuto in generale la legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei centri di trasmissione dati.

Laddove, come quella stessa Corte ha sottolineato, essa, “…pur avendo constatato l’incompatibilità con il diritto dell’Unione di alcune disposizioni delle gare avviate per l’attribuzione di contratti di concessione di servizi connessi ai giochi d’azzardo, non si è pronunciata sulla legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei CTD in quanto tale” (Corte giust., in causa C-375/17, cit., punto 67). Il che appunto esclude la contraddizione sulla quale s’insiste in memoria.

In definitiva, i motivi in questione vanno rigettati.

17. – Fondato per quanto di ragione è, invece, il settimo motivo di ricorso, col quale si denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 2, in relazione al D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 5, comma 1, perchè il giudice d’appello non ha applicato l’esimente data dalle obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si si riferiscono, limitatamente al periodo antecedente alla disposizione interpretativa del 2010; in relazione a questo periodo, la stessa Corte costituzionale ha ravvisato l’incertezza, aggiungendo che essa è stata espressamente riconosciuta dall'(allora) Agenzia autonoma dei monopoli di Stato.

Il motivo è, invece, infondato per il periodo successivo alla legge d’interpretazione autentica n. 220/10, la quale ha appunto sciolto ogni incertezza.

18. – Il motivo va quindi accolto nei limiti indicati, e la sentenza impugnata cassata per il profilo corrispondente, con rinvio, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione.

P.Q.M.

dichiara la cessazione della materia del contendere, quanto alla posizione della L.F. & C. s.n.c., in relazione alle pretese concernenti gli anni 2009 e 2010; accoglie, per il resto, nei limiti di cui in motivazione, il settimo motivo di ricorso, rigetta gli altri motivi, cassa la sentenza nella parte corrispondente al profilo accolto, e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2021

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