Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8757 del 13/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 13/04/2010, (ud. 04/03/2010, dep. 13/04/2010), n.8757

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. BALLETTI Bruno – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28173/2006 proposto da:

N.I., elettivamente domiciliata in OSTIA LIDO (ROMA), VIA

ISOLA CAPO VERDE 26, presso lo studio dell’avvocato DI BENEDETTO

Alfonso, che la rappresenta e difende, giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

ENAV S.P.A., (Ente nazionale di assistenza al volo), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA A. GRAMSCI 54, presso lo studio dell’avvocato ZELA Marina, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato VITALI DANILO, giusta

delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8906/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/05/2006 R.G.N. 922/03;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

04/03/2010 dal Consigliere Dott. BRUNO BALLETTI;

udito l’Avvocato DI BENEDETTO ALFONSO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per inammissibilità o in subordine

rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso ex art. 414 c.p.c., dinanzi al Tribunale-giudice del lavoro di Roma N.I. conveniva in giudizio la s.p.a. ENAV (Ente Nazionale di assistenza al volo) – alle cui dipendenze prestava lavoro con la qualifica “(OMISSIS) livello” – per ottenere il riconoscimento del diritto a essere inquadrata nel “(OMISSIS) livello di operatore amministrativo” avendo espletato le relative mansioni indicate dal c.c.n.l. applicabile al proprio rapporto di lavoro.

Si costituiva in giudizio la s.p.a. ENAV che impugnava integralmente la domanda attorea e ne chiedeva il rigetto.

L’adito Giudice del lavoro, con sentenza in data 2 febbraio 2002, accoglieva il ricorso; ma – a seguito di impugnativa della società soccombente e ricostituitosi il contraddittorio – la Corte di appello di Roma, con sentenza in data 18 maggio 2006, “in accoglimento dell’appello, in riforma della gravata sentenza, rigetta(va) la domanda della N.; compensa(va) integralmente tra le parti le spese del doppio grado”.

Per la cassazione di questa sentenza N.I. propone ricorso affidato ad un motivo. L’intimata s.p.a. ENAV resiste con controricorso, con cui, preliminarmente, eccepisce l’inammissibilità del ricorso per omessa formulazione del quesito di diritto in violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente – denunciando “violazione dell’art. 2193 cod. civ. e art. 1362 cod. civ., e segg., in relazione al c.c.n.l. 1994/1997; nonchè vizi di motivazione” – rileva, a censura della sentenza impugnata, che “la Corte di appello di Roma non si è attenuta al principio di diritto secondo cui nel procedimento logico giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato non può prescindersi dai tre fasi successive, e cioè dall’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, dalla individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e dal raffronto tra il risultato della prima indagine e il tenore della normativa contrattuale”.

2 – Preliminarmente, va esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, formulata dalla controricorrente, sul rilievo che i motivi posti in sostegno dell’impugnazione non contengono la formulazione dei quesiti di diritto, così come sancito dall’art. 366 bis cod. proc. civ. (introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6).

Al riguardo, con riferimento alle modalità espositive e contenutistiche del quesito di diritto, vale – quale premessa di ordine generale -precisare che il quesito può anche difettare di una particolare evidenza grafica o può anche essere posizionato topograficamente non al termine del motivo bensì al suo inizio o nelle conclusioni del ricorso (se pur con richiamo al motivo al quale esso è pertinente) , ma deve, in ogni caso, risultare come frutto di una intenzionale articolazione di interpello alla Corte di legittimità sulla sintesi dialettica illustrata nel singolo motivo.

Pervero la “novità” dell’art. 6 cit., consisteva proprio nell’imporre, quale requisito fondamentale di ciascuna censura di violazione di legge, la necessità dell’esplicitazione della sintesi logico-giuridica della questione onerando la parte di una formulazione consapevole, quanto espressa e diretta, di tale sintesi.

Da questa impostazione ermeneutica discende l’impossibilità di accettare un’ipotesi di quesito implicito o “mascherato” nella trattazione delle censure, dovendo il quesito svolgere una propria funzione di individuazione della questione di diritto posta alla Corte, sicchè è necessario che tale individuazione sia assolta da una parte apposita del ricorso, a ciò deputata attraverso espressioni specifiche che siano idonee ad evidenziare alla Corte la questione stessa; mentre resta escluso che la questione possa risultare da un’operazione di individuazione delle implicazioni della esposizione del motivo come prospettato e non rivelata direttamente dal ricorso stesso.

E’ stato, altresì, escluso, sotto altro profilo, che la formulazione di quesiti di diritto e la chiara indicazione del fatto controverso con le caratteristiche indicate dall’art. 366 bis cod. proc. civ., possano reputarsi sussistenti per il fatto che la parte intimata costituitasi abbia controdedotto, giacchè l’espressa previsione del requisito a pena di inammissibilità evidenzia non solo che l’interesse tutelato dalla norma non è disponibile ed è tutelato dalla rilevabilità d’ufficio (come sempre accade quando il legislatore ricorre alla categoria della inammissibilità, che non a caso è accompagnata dall’espressione preliminare evocativa della sanzione “a pena di”), ma impedisce anche che possa assumere alcun rilievo, in funzioni di superamento del vizio, l’atteggiamento della controparte (Cass. ord. n. 16002/2007). Con ordinanza n. 5073/2008 di questa Corte, è stato ribadito che “quand’anche si ritenga possibile che il quesito non sia graficamente posto a conclusione di ciascun motivo e quand’anche si ritenga ammissibile una elencazione finale condusiva dei quesiti, certo è che ciascun quesito, pur conclusivamente elencato in unione con altri, deve essere espressamente riferito al motivo cui accede e che concettualmente conclude (quale sintesi od interpello alla Corte sulla esattezza della soluzione offerta rispetto a quella adottata dal giudice a quo), per cui le volte in cui il difensore intenda esporre nella sede finale del proprio ricorso i quesiti afferenti i motivi che ha formulato, tale scelta essendo conforme alla norma (che non impone nè una specifica veste grafica nè una particolare collocazione topografica del quesito rispetto al testo del motivo), sarà rispettato il requisito di legge della esposizione conclusiva tanto ove ciascun quesito sia espressamente riferito al motivo (con richiamo numerico od alla rubrica delle violazioni addotte) quanto ove il collegamento al motivo sia evidenziato dalla evidenza di un rapporto di pertinenza esclusiva senza necessità di particolare analisi critica (quel motivo attingendo una specifica violazione di legge e quel quesito, e solo quel quesito, esponendo il relativo interpello sintetico)”.

In merito poi allo specifico collegamento alla fattispecie, è stato dichiarato inammissibile il motivo del ricorso per cassazione che si concluda con la formulazione di un quesito di diritto in alcun modo riferibile alla fattispecie o che sia comunque assolutamente generico (Cass. Sez. Unite n. 36/2007).

Sulla necessità del rispetto del requisito dell’imprescindibile attinenza del quesito di diritto alla sentenza impugnata, è stato, inoltre, statuito che “il caso di quesito di diritto in conferente va assimilato all’ipotesi di mancanza di quesito con conseguente inammissibilità del motivo, applicando lo stesso principio già affermato in tema di motivi non conferenti al decisimi” (Cass. Sez. Unite n. 14385/2007).

In definitiva il quesito di diritto, rispondendo all’esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diverse da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con una più ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica della suprema corte di cassazione, il principio di diritto applicabile alla fattispecie, costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio generale, e non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la corte in condizioni di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regola iuris, che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (Cass. n. 11535/2008).

3 – Tanto rimarcato in linea generale, appare evidente che, nella specie, il ricorso proposto da N.I. – con atto notificato in data 18 ottobre 2006 per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Roma pubblicata il 18 maggio 2006 – debba essere dichiarato inammissibile in quanto al cennato ricorso – che non contiene alcun quesito di diritto giusta le modalità dianzi precisate – si applica la disposizione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., comma 1, in vigore dal 2 marzo 2006, come dispone il D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 (Cass. Sez. Unite n. 1613/2007, secondo cui l’art. 366 bis c.p.c., “si applica ai ricorsi proposti avverso le decisioni pubblicate a decorrere dal 2 marzo 2006”).

3 – La ricorrente, per effetto della soccombenza, deve essere condannata al pagamento a favore della controricorrente s.p.a. ENAV delle spese di giudizio di legittimità liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte, dichiara il ricorso proposto da N.I. inammissibile; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 26,00 oltre a Euro 2.000,00 per onorari, e alle spese generali ed agli ulteriori oneri di legge.

Così deciso in Roma, il 4 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2010

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