Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8755 del 11/05/2020

Cassazione civile sez. I, 11/05/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 11/05/2020), n.8755

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 6256/2019 proposto da:

J.Y., elettivamente domiciliato in Civitanova Marche Via Fermi

3, presso lo studio dell’Avv.to Giuseppe Lufrano che lo rappresenta

e difende giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, elettivamente domiciliato in Roma Via dei

Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo

rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 6958 /2019 emesso dal Tribunale di Ancona;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/2/2020 dal Consigliere Dott. MARINA MELONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto in data 23/1/2019 il Tribunale di Ancona respinse il ricorso proposto da J.Y. avverso il provvedimento di diniego emesso dalla Commissione territoriale di Ancona per il riconoscimento del diritto allo status di rifugiato, alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 14 e segg., o alla protezione umanitaria previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

Il ricorrente, proveniente dal Gambia, aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Ancona di essere fuggito dal proprio paese a causa del timore di essere perseguitato dal padre della sua fidanzata contrario alla loro relazione.

Il Tribunale di Ancona con provvedimento in data 23/1/2019, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Ancona. In particolare il Tribunale aveva escluso le condizioni previste per il riconoscimento del diritto al rifugio D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 7 e 8, ed i presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per la concessione della protezione sussidiaria, non emergendo elementi idonei a dimostrare che il ricorrente potesse essere sottoposto nel paese di origine a pena capitale o a trattamenti inumani o degradanti nè lo stesso aveva riferito di poter subire una grave e individuale minaccia alla propria integrità personale; nel contempo il collegio di merito negava il ricorrere di uno stato di elevata vulnerabilità all’esito di un eventuale rimpatrio, tenuto anche conto della situazione esistente nel paese di provenienza. Avverso il decreto emesso dal Tribunale di Ancona il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 13 del 2017, artt. 1 e 2, conv. in L. n. 46 del 2017, nonchè dell’art. 276 c.p.c., per vizio di costituzione del giudice, censurando l’intervenuta delega ad un giudice onorario del Tribunale a tenere l’udienza fissata per la comparizione del richiedente asilo e per la discussione della causa, in quanto la possibilità di ricorrere alla nomina di giudici onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli non opererebbe per le controversie in materia di protezione internazionale, che risultano attribuite alla sezione specializzata del Tribunale in composizione collegiale. Inoltre il ricorrente lamenta che era mutato l’organo giudicante, essendo stata trattata la “discussione” del procedimento, cui era presente il ricorrente personalmente, davanti ad un giudice, un GOT, non facente parte della Sezione specializzata istituita presso il Tribunale di Ancona, mentre la decisione era stata assunta da un collegio, i cui componenti erano tutti diversi dal giudice che aveva assistito alla discussione della causa.

Il ricorso è inammissibile.

La procura ad litem risulta redatta su di un foglio materialmente congiunto al suddetto atto di impugnazione e, oltre ad essere stesa in caratteri diversi rispetto al ricorso, non presenta nemmeno un numero di pagina sequenziale rispetto ai fogli che lo precedono (la numerazione si arresta, difatti, all’ultima pagina di cui si compone il ricorso, recante, in calce, la sottoscrizione del difensore).

La medesima procura ad litem risulta inoltre priva del connotato della specialità di cui all’art. 365 c.p.c. e, anzi, presenta un contenuto non compatibile con un conferimento di poteri finalizzato, in via esclusiva, alla rappresentanza e difesa del ricorrente nel presente giudizio di legittimità: con essa, infatti, il professionista è stato delegato alla rappresentanza e difesa “nel presente procedimento ed in ogni sua fase, stato e grado, compreso l’eventuale appello od opposizione”, con conferimento del potere, tra l’altro, di “proporre domande riconvenzionali, appelli principali od incidentali, eccezioni, opposizioni, reclami, quelle di falso ed istanze di ogni genere, precisare modificare le domande, eccezioni e conclusioni proposte, chiamare in causa terzi, riassumere o proseguire il giudizio in caso di interruzione sospensione, compiere atti conservativi o cautelari in corso di causa, redigere precetti ed agire esecutiva mente con facoltà di nominare sostituti avvocati con pari poteri”.

Ciò posto, secondo la giurisprudenza di questa Corte il ricorso per cassazione è inammissibile allorquando la procura, apposta su foglio separato e materialmente congiunto al ricorso ai sensi dell’art. 83 c.p.c., comma 2, contenga espressioni incompatibili con la specialità richiesta e dirette piuttosto ad attività proprie di altri giudizi e fasi processuali (Cass. 5 novembre 2018, n. 28146; Cass. 24 luglio 2017, n. 18257).

Ma il ricorso è altresì inammissibile in quanto la suddetta procura non risulta conferita in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato: ciò che doveva risultare da apposita certificazione della data di rilascio in favore del difensore, così come prescritto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13: certificazione che invece è completamente assente; la stessa procura, difetta, del resto, di alcuna datazione.

Per quanto sopra il ricorso proposto deve essere dichiarato inammissibile. Nulla per le spese in mancanza di attività difensiva. Infine deve darsi atto che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono nella specie i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte di Cassazione, il 12 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2020

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