Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8755 del 04/04/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 04/04/2017, (ud. 22/12/2016, dep.04/04/2017),  n. 8755

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3296/2016 proposto da:

S.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

BERNARDINO PASANISI, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CHILOIRO ROBINSON SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 466/2015 della CORTE D’APPELLO di LECCE

SEZIONE DISTACCATA di TARANTO, del 25/09/2015 depositata il

09/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 22/12/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA

pellecchia.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Chiloiro Robinson & C. S.r.l. convenne in giudizio S.C. al fine di sentirlo condannare alla rimozione di una insegna pubblicitaria dalla struttura metallica posizionata sul lastrico solare dell’immobile di un terzo soggetto, nonchè al pagamento della somma di Euro 1.700 a titolo di indennità di occupazione di tale struttura metallica, oltre interessi legali.

Si costituì in giudizio S.C., eccependo il difetto di legittimazione dell’attore poichè si trattava di domanda relativa all’immobile di un terzo ed eccependo, altresì, che detta struttura metallica costituiva pertinenza dei suddetti locali che gli era stata concessa in uso dal proprietario.

Il Tribunale di Taranto, con la sentenza n. 1584/2008, dichiarò la cessazione della materia del contendere sulla domanda di rimozione dell’insegna pubblicitaria, condannò il S. al pagamento, a titolo di canone di locazione della somma di Euro 1.700 giacchè l’attore aveva provato di essere proprietario della struttura metallica per acquisto mediante atto di donazione e che era intervenuto un accordo transattivo sulla quantificazione del canone di occupazione abusiva.

2. La decisione è stata confermata dalla Corte d’Appello di Lecce sezione distaccata di Taranto, con la sentenza n. 466 del 9 novembre 2015.

La Corte d’Appello ha ritenuto che, avendo S. rimosso l’insegna dalla struttura metallica aveva determinato la cessazione della materia del contendere con riferimento alla proprietà del bene e che tale questione non poteva essere rimessa dinnanzi alla Corte.

In ordine alla mancanza della prova scritta dell’intervenuto accordo tra le parti circa la quantificazione dell’indennità di occupazione, la Corte ha negato la natura transattiva dello stesso in quanto non erano state provate nè allegate le reciproche concessioni della transazione.

La Corte ha, inoltre, rilevato che l’accordo, cui ha espressamente riferito il teste C.D.F.F., è stato correttamente qualificato come contratto di locazione dal giudice di primo grado, data la previsione del pagamento del canone a fronte del godimento del bene. Infine, in relazione alla nullità del contratto per difetto di causa, la Corte ha identificato la causa tipica della locazione consistente nel godimento del bene verso il pagamento del canone.

3. Avverso tale sentenza propone ricorso per Cassazione S.C., sulla base di cinque motivi.

3.1. La Chiloiro Robinson s.r.l. non svolge attività difensiva.

4. E’ stata depositata in cancelleria relazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. e regolarmente notificata ai difensori delle parti, la proposta di inammissibilità del ricorso. Il ricorrente ha depositato memoria con cui si duole della violazione del diritto di difesa sia per la preclusione alla trattazione in udienza pubblica sia per l’impossibilità della difesa di conoscere le effettive ragioni a sostegno delle conclusioni del relatore.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Occorre pertanto precisare che non viene attuata alcuna lesione del diritto di difesa. Infatti l’intervento novellatore del giudizio di legittimità recato dalla L. n. 197 del 2016, è ispirato, secondo una linea di tendenza registratasi nell’ultimo decennio, da pressanti esigenze di semplificazione, snellimento e deflazione del contenzioso dinanzi alla Corte di cassazione, in attuazione del principio costituzionale, di cui all’art. 111 Cost. (e convenzionale: art. 6 CEDU), della ragionevole durata del processo e di quello, in esso coonestato, dell’effettività della tutela giurisdizionale. In siffatta prospettiva il legislatore ha inteso modulare il giudizio di legittimità (incidendo, segnatamente, sugli artt. 375, 376, 380-bis c.p.c., art. 380-bis c.p.c., comma 1 e art. 380-ter c.p.c.) in ragione di una più generale suddivisione del contenzioso in base alla valenza nomofilattica, o meno, delle cause, riservando a quelle prive di siffatto connotato (ossia, il contenzioso più nutrito) un procedimento camerale, tendenzialmente assunto come procedimento ordinario, “non partecipato” e da definirsi tramite ordinanza (in luogo della celebrazione dell’udienza pubblica e della decisione con sentenza, previste essenzialmente per le cause “dalla particolare rilevanza della questione di diritto”). Tanto premesso, occorre osservare che il principio di pubblicità dell’udienza – di rilevanza costituzionale in quanto, seppur non esplicitato dalla Carta Fondamentale, è connaturato ad un ordinamento democratico e previsto, tra gli altri strumenti internazionali, segnatamente dall’art. 6 CEDU – non riveste carattere assoluto e può essere derogato in presenza di “particolari ragioni giustificative”, ove “obiettive e razionali”.

Quindi l’interlocuzione scritta, attraverso la quale viene a configurarsi il contraddittorio nell’ambito del procedimento di cui all’art. 380-bis c.p.c., si mostra come l’esito di un bilanciamento, non irragionevolmente effettuato dal legislatore alla stregua dell’ampia discrezionalità che gli appartiene nella conformazione degli istituti processuali (tra le tante, Corte Cost., sent. n. 152 del 2016), tra le esigenze del diritto di difesa e quelle, del pari costituzionalmente rilevanti, in precedenza evidenziate, di speditezza e concentrazione, in funzione della ragionevole durata del processo e della tutela effettiva da assicurare, anche in tale prospettiva, alle parti interessate dal contenzioso; esigenze, queste, che trovano congruente contestualizzazione nel peculiare assetto strutturale e funzionale del procedimento previsto dalla L. n. 197 del 2016;

Infine, la previsione di una proposta di trattazione camerale da parte del relatore, in ragione della ravvisata esistenza di ipotesi di decisione del ricorso di cui all’art. 375 c.p.c. – in luogo della relazione depositata in cancelleria, secondo la formulazione del previgente art. 380-bis c.p.c. – appartiene anch’essa all’esercizio della discrezionalità del legislatore in ambito processuale e non è tale da vulnerare il diritto di difesa, giacchè trattasi di esplicitazione interlocutoria di mera ipotesi di esito decisorio, non affatto vincolante per il Collegio (Cass. n. 395/2017).

5.1. Con i cinque motivi di ricorso il ricorrente ha dedotto la nullità del procedimento e la violazione di norme, in particolare degli artt. 2043, 1223, 1325, 1418 e 1326 c.c..

A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, reputa il Collegio con le seguenti precisazioni, di condividere le conclusioni cui perviene la detta proposta.

I cinque motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono inammissibili perchè generici. Nel giudizio di legittimità è onere del ricorrente indicare con specificità e completezza quale sia il vizio da cui si assume essere affetta la sentenza impugnata. Sono inammissibili quei motivi che non precisano in alcuna maniera in che cosa consiste la violazione di legge che avrebbe portato alla pronuncia di merito che si sostiene errata, o che si limitano ad una affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione (Cass. 15263/2007).

Pertanto, ai sensi degli artt. 380-bis e 385 c.p.c., il ricorso va dichiarato inammissibile. In considerazione del fatto che l’intimata non ha svolto attività difensiva non occorre provvedere sulle spese.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2017

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