Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8754 del 13/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 13/04/2010, (ud. 03/03/2010, dep. 13/04/2010), n.8754

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 14797-2007 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati FABIANI

GIUSEPPE, DI MEGLIO ALESSANDRO, TRIOLO VINCENZO, giusta mandato in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3 90/2006 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO

depositata il 05/02/07 R.G.N. 106/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/03/2010 dal Consigliere Dott. GABRIELLA COLETTI DE CESARE;

udito l’Avvocato CALIULO LUIGI per delega TRIOLO VINCENZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Campobasso, confermando sentenza del Tribunale di Isernia, ha accertato il diritto di B.A. al computo della tredicesima mensilità sugli importi mensili liquidati alla lavoratrice a titolo di indennità per cassa integrazione guadagni straordinaria. La Corte ha osservato che, ai sensi del convertito D.L. n. 269 del 2003, art. 44, comma 6, (con L. n. 326 del 2003) che ha autenticamente interpretato la L. n. 427 del 1980, articolo unico, comma 2, il trattamento di integrazione salariale compete al lavoratore per un massimo di dodici mensilità “comprensive dei ratei di mensilità aggiuntive”; da ciò dovendo dedursi che della 13^ mensilità si deve tener conto nella retribuzione di riferimento per il calcolo del suddetto trattamento mensile. Ha aggiunto la Corte che la tesi dell’INPS – il quale aveva eccepito la correttezza del proprio operato, per aver già corrisposto alla lavoratrice un importo pari al ” massimale” di legge per effetto delle altre voci della retribuzione – non era suffragata dai conteggi prodotti dall’Istituto, da questi risultando che tale “massimale” era stato calcolato su base mensile, mentre il calcolo andava effettuato su base annua, cioè sommando fra loro tutte le mensilità, comprensive della 13^ e delle altre mensilità aggiuntive contrattualmente dovute, e poi dividendo il risultato per dodici.

Contro questa sentenza l’INPS ha proposto ricorso fondato su un unico motivo.

La lavoratrice intimata non ha svolto difese..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo l’Inps denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 788 del 1945, art. 1, u.c. (aggiunto dal D.Lgs.C.P.S. n. 869 del 1947, art. 10); del D.L. n. 269 del 2003, art. 44, comma 6, (conv. con modif. nella L. n. 326 del 2003); la L. n. 427 del 1980, art. unico oltre a vizio di motivazione sostiene che la tredicesima mensilità non può essere computata nella integrazione salariale, quando l’importo corrisposto per ogni mese di calendario al suddetto titolo sia – come nella specie – pari al “tetto” massimo concedibile per legge. La sentenza impugnata ha illegittimamente finito con il riconoscere un ulteriore rateo del trattamento di CIGS, in aggiunta a quelli mensilmente percepiti, ed ha erroneamente ritenuto che il calcolo per determinare l’importo del detto trattamento vada effettuato su base annua.

2. Il ricorso è fondato.

2.1. Il D.L. n. 269 del 2003, art 44, comma 6, nel testo di cui alla Legge di Conversione n. 326 del 2003, contiene la disposizione secondo cui la L. n. 427 del 1980, articolo unico, comma 2, e successive modificazioni “si interpreta nel senso che, nel corso di un anno solare, il trattamento di integrazione salariale compete, nei limiti dei massimali ivi previsti, per un massimo di dodici mensilità, comprensive dei ratei di mensilità aggiuntive”. La disposizione ha la funzione di precisare, con gli effetti anche retroattivi delle norme di interpretazione autentica, che i ratei delle mensilità aggiuntive e in particolare della tredicesima devono essere computati nella retribuzione di riferimento per il computo della integrazione salariale e nei limiti del massimale mensile. In altri termini, la norma avvalora l’interpretazione secondo cui la concreta incidenza nella determinazione della integrazione salariale della tredicesima mensilità può essere (in tutto o in parte) preclusa dal raggiungimento del massimale mensile di legge per effetto delle altre voci della retribuzione (cfr. Cass. n. 7870/2004).

2.2. Come già chiarito in altre analoghe fattispecie, questa Corte prescinde dalla norma di interpretazione, poichè la Corte costituzionale ha successivamente adottato un orientamento innovativo circa la possibile incidenza nell’ordinamento delle norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (e alla luce di tale orientamento si possono prospettare seri dubbi di costituzionalità in merito all’efficacia delle norme di interpretazione autentica sui processi già in corso), e ritiene, tuttavia, che anche senza l’intervento di interpretazione autentica del Legislatore si perviene al medesimo risultato ermeneutico in base alla normativa pregressa (cfr. Cass. n. 21692 del 2008).

2.3. La fattispecie è regolata, ratione temporis, in parte dal testo originario della L. n. 427 del 1980, articolo unico e in parte dal testo così come modificato dal D.L. 16 maggio 1994, n. 299, art. 1 convertito con modificazioni, dalla L. 19 luglio 1994, n. 451. La soluzione da dare alla questione interpretativa in esame è desumibile in maniera chiara dagli elementi testuali e sistematici della normativa applicabile. Le disposizioni in materia di integrazione salariale hanno sempre fatto riferimento ad una nozione omnicomprensiva della retribuzione, in maniera coerente con i principi generalmente applicabili in materia di base di calcolo retributiva delle prestazioni previdenziali, principi i quali devono assicurare che non si verifichino discriminazioni tra lavoratori appartenenti a settori produttivi diversi, caratterizzati da articolazioni eterogenee delle componenti retributive. Inoltre, con riferimento a una disposizione, come quella della L. n. 427 del 1980, articolo unico che ha introdotto un limite massimo mensile dell’importo dell’integrazione salariale, non vi può essere alcun dubbio che anche le mensilità aggiuntive debbano concorrere alla determinazione della retribuzione oraria costituente base di calcolo dell’integrazione salariale, ai fini del rispetto dei massimali mensili. Ciò perchè, in difetto di una diversa espressa previsione, fissato dalla legge un massimale mensile, deve escludersi la facoltà dell’Inps di corrispondere separatamente l’incidenza sulla integrazione salariale di componenti della retribuzione aventi cadenza di maturazione eccedente il mese di calendario, come le mensilità aggiuntive. Ed è del tutto logico che una prestazione previdenziale corrisposta al fine di compensare il pregiudizio retributivo causato al lavoratore dipendente da sospensioni temporanee del rapporto di lavoro si riferisca unitariamente e definitivamente a tutto il pregiudizio inerente al periodo di riferimento, mentre sarebbe illogico, oltre che privo del necessario fondamento normativo, che l’Inps debba corrispondere dei supplementi in riferimento a particolari componenti retributive previste dalle varie discipline legali o contrattuali e alle relative scadenze.

Coerentemente con tali necessarie conclusioni, in sede di modifica del testo dell’articolo unico citato, comma 2, essendosi indicato un massimale differenziato per l’ipotesi di retribuzione superiore a un certo importo, si è precisato che la retribuzione di riferimento per il calcolo dell’integrazione è comprensiva dei ratei delle mensilità aggiuntive. E’ opportuno infine rilevare che è coerente con il risultato interpretativo a cui si è pervenuti l’impostazione delle problematiche applicative formulata dall’Inps nei termini secondo cui, in tanto gli assicurati possono fondatamente lamentare il mancato computo della tredicesima, in quanto il massimale mensile non sia già stato raggiunto con il computo delle altre componenti della retribuzione (cfr. Cass. n. 6962 e n. 8918 del 2009).

2.4. Nella specie, la sentenza impugnata non evidenzia una chiara comprensione dei termini della problematica. Infatti, ha accertato, alla stregua della documentazione e dei chiarimenti forniti dall’Inps, che per le varie mensilità è stato operata la riduzione della retribuzione in base al massimale mensile, ma ha ritenuto che l’Istituto non poteva operare la riduzione della retribuzione mensile, poichè avrebbe dovuto prima sommare tutte le mensilità comprensive della tredicesima e delle altre mensilità aggiuntive e quindi calcolare il tetto massimo previsto e dividere il risultato per dodici mensilità; in tal modo, però, la sentenza ha erroneamente riferito ad un parametro annuale sia il trattamento straordinario, che invece è calcolato per settimana, sia il massimale, che invece deve essere rapportato all’integrazione dovuta per le ore non lavorate nel mese, e non ha considerato che – come s’è visto – il raggiungimento del massimale mensile per effetto del calcolo delle altre voci retributive esclude l’incidenza della tredicesima.

3. Il ricorso deve quindi essere accolto, con cassazione della sentenza impugnata; e la causa deve essere decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, con il rigetto della domanda. Le spese dell’intero processo devono essere compensate in ragione della difficoltà della questione e della natura della controversia.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda. Compensa fra le parti le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 3 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2010

 

 

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