Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8748 del 04/04/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 04/04/2017, (ud. 07/03/2017, dep.04/04/2017),  n. 8748

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4738/2016 proposto da:

L.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE

95, presso lo studio dell’avvocato PAOLA LIBBI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ANDREA CELLETTI, giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A. – C.F. (OMISSIS), in persona del responsabile

della Funzione Risorse Umane, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

C MONTEVERDI 16, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CONSOLO,

che la rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9581/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/08/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 07/03/2017 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. la Corte d’appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato la domanda proposta da L.A. diretta alla dichiarazione di nullità del termine apposto a due contratti intercorsi con Poste italiane S.p.A. per il periodo dal 6 febbraio al 31 marzo 2007 e dal 2 gennaio al 31 marzo 2008, entrambi stipulati ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis.

2. Per la cassazione della sentenza L.A. propone ricorso, affidato a cinque motivi, cui resiste Poste italiane s.p.a. con controricorso.

3. Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. i motivi di gravame sono stati così sintetizzati dalla parte ricorrente:

1.1. violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per omessa pronuncia sull’eccezione relativa alla contrarietà del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, alle disposizioni comunitarie relativamente alla violazione da parte della società resistente dell’art. 82, comma 1 e art. 86, commi 1 e 2 del Trattato CEE;

1.2. omesso esame di un fatto controverso e determinante per la vicenda ex art. 360 c.p.c., n. 5: mancata prova in ordine all’assolvimento in concreto dell’obbligo di rispettare la clausola di contingentamento;

1.3. violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sull’eccezione relativa alla mancata prova della comunicazione preventiva delle assunzioni alle OO.SS. provinciali di categoria, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4;

1.4. omesso esame di un fatto controverso e determinante per la vicenda ex art. 360 c.p.c., n. 5. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. ed art. 116 c.p.c.: mancata prova in ordine all’effettuazione della valutazione dei rischi;

1.5. nullità del secondo contratto a termine sotto il profilo dell’abuso dell’utilizzazione del contratto a termine. Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3.

2. Il primo motivo è infondato.

La Corte territoriale ha dedicato ampia parte della motivazione a confutare la denunciata violazione ad opera del D.Lgs. n. 368, art. 2, comma 1 bis della normativa sovranazionale. In particolare, ha anche confutato la censura, peraltro proposta in modo del tutto generico, secondo la quale la protezione del settore delle Poste avrebbe determinato un abuso di posizione dominante, in considerazione della natura di impresa pubblica di Poste, richiamando la Direttiva 1997/67/CE, concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e il miglioramento della qualità del servizio, a giustificazione dell’introduzione di una normativa che – senza violare la Direttiva 1999/70/CE – è posta per rendere più funzionale un settore, ritenuto di rilevante interesse pubblico anche dalla normativa dell’Unione.

Tali argomentazioni sono idonee a risolvere i prospettati problemi di compatibilità con la normativa dell’Unione, come già ritenuto da questa Corte nella sentenza 11/7/2012 n. 11659, che ha argomentato che tale disposizione non contrasta con l’ordinamento comunitario, in quanto, come rilevato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (C-20/10, Vino), è giustificata dalla Direttiva 1997/67/CE, non venendo in rilievo la Direttiva 1999/70/CE, in tema di lavoro a tempo determinato, neppure con riferimento al principio di non discriminazione, che è affermato per le disparità di trattamento fra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato, ma non anche per le disparità di trattamento fra differenti categorie di lavoratori a tempo determinato.

3. Il secondo motivo è inammissibile.

Con riguardo alla critica della ricostruzione delle risultanze fattuali, occorre premettere che al presente giudizio si applica ratione temporis la formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che ha ridotto al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione, nel senso chiarito dalle Sezioni Unite con le sentenze n. 8053 e 8054 del 2014, secondo il quale la lacunosità e la contraddittorietà della motivazione possono essere censurate solo quando il vizio sia talmente grave da ridondare in una sostanziale omissione, nè può fondare il motivo in questione l’omesso esame di una risultanza probatoria, quando essa attenga ad una circostanza che è stata comunque valutata dal giudice del merito.

E’ però da escludere che nel caso ci si trovi innanzi a una delle indicate patologie estreme dell’apparato argomentativo, considerato che la Corte di merito ha valutato le risultanze istruttorie e valorizzato, al fine di ritenere dimostrato il rispetto della c.d. percentuale di contingentamento, la deposizione testimoniale assunta in primo grado, ritenuta in grado di superare le incongruenze denunciate (e valorizzate ancora nel ricorso per cassazione) in ordine alla documentazione versata in atti. Ne deriva che sotto nessun profilo la motivazione può dirsi omessa, nè può quindi procedersi in questa sede a nuova valutazione delle medesime circostanze.

4. Il terzo motivo è inammissibile.

Costituisce principio consolidato di questa Corte quello secondo il quale affinchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire alla Corte di verificarne sulla base degli atti la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività (vedi Cass. n. 21229 del 2015, n. 15367 del 2014, Cass. n. 5070 del 2009, n. 20518 del 2008).

Nel caso, il ricorrente riferisce di avere contestato con il ricorso in appello la soluzione adottata dal Tribunale, che aveva ritenuto che Poste avesse comunicato in via preventiva la richiesta di assunzione alle O.O.S.S. provinciali (pg. 4 del ricorso) e a pg. 18 ribadisce di avere contestato che Poste avesse fornito alcuna allegazione e prova di tale circostanza. Non riporta tuttavia le argomentazioni proposte per confutare la soluzione adottata dal Tribunale idonee a costituire ammissibile motivo di appello, considerato che non riferisce di avere puntualmente censurato, ed in che termini, la valenza della documentazione prodotta da Poste, della quale neppure riporta il contenuto.

5. Anche il quarto motivo è inammissibile.

La Corte territoriale ha ritenuto che la valutazione dei rischi fosse stata dimostrata alla stregua del documento n. 5 prodotto da Poste italiane. Laddove contesta il valore di tale documento, la parte incorre nella violazione delle prescrizioni desumibili dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, non avendone riprodotto il contenuto, nè avendolo allegato agli atti. Inoltre, il ricorrente chiede a questa Corte una diversa valutazione di merito sul contenuto dello stesso, oltre i limiti in cui è consentito in sede di legittimità il controllo della motivazione (come anticipato al superiore punto 2).

6. Il quinto motivo è infondato.

La Corte territoriale ha escluso che la reiterazione dei contratti a termine si ponesse come abusiva ed in violazione della normativa comunitaria.

In tal senso, la soluzione è conforme all’insegnamento delle Sezioni Unite, che nell’arresto n. 11374 del 31/05/2016 hanno chiarito che la stipula in successione tra loro di contratti a tempo determinato nel rispetto della disciplina di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001 e successive integrazioni, applicabile “ratione temporis”, è legittima, dovendosi ritenere la normativa nazionale interna non in contrasto con la clausola n. 5 dell’Accordo quadro, recepito nella Direttiva n. 1999/70/CE, atteso che l’ordinamento italiano e, in ispecie, il cit. D.Lgs. n. 368, art. 5, come integrato dalla L. n. 247 del 2007, art. 1, commi 40 e 43, impone di considerare tutti i contratti a termine stipulati tra le parti, a prescindere dai periodi di interruzione tra essi intercorrenti, inglobandoli nel calcolo della durata massima (36 mesi), la cui violazione comporta la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto.

Nel caso, la durata complessiva di 36 mesi, idonea a prevenire gli abusi ai sensi della richiamata clausola 5 dell’Accordo quadro, non è stata superata.

7. Segue il rigetto del ricorso e la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo.

8. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2017

DEPOSITA

îi 0.4 APR. 2017

IL CANL;LLI.11 RE B3 Dottssa Fabri Barone

Ric. 2016 n. 04738 sez. ML – ud. 07-03-2017 -7-

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