Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8747 del 15/04/2011

Cassazione civile sez. III, 15/04/2011, (ud. 14/03/2011, dep. 15/04/2011), n.8747

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SEGRETO Antonio – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 30133/2006 proposto da:

M.A. (OMISSIS), M.R.

(OMISSIS), M.L. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA GERMANICO 146, presso lo studio

dell’avvocato LUCCHESI FABIO GIUSEPPE, rappresentati e difesi

dall’avvocato LUONGO Nicola;

– ricorrenti –

contro

B.A. (OMISSIS);

– intimato –

sul ricorso 35169/2006 proposto da:

B.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 287,

presso lo studio dell’avvocato PELO MAURO, rappresentato e difeso

dall’avvocato FIORAVANTI ALESSANDRO giusta delega a margine del

controricorso e contestuale ricorso incidentale;

– ricorrente –

e contro

M.R., M.L., M.A., FINPALACE SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4359/2005 del TRIBUNALE di FIRENZE, emessa

29/11/2005, depositata il 01/12/2005; R.G.N. 8532/2004.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/03/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato FIORAVANTI ALESSANDRO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo, che ha concluso per accoglimento 1^ motivo del ricorso

incidentale, rigetto nel resto e rigetto del ricorso principale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.A., aggiudicatario dell’immobile pignorato nella procedura esecutiva promossa da Finpalace s.p.a. nei confronti di M.M. (dante causa di M.A., M.R. e M.L.) dinanzi al Tribunale di Firenze, propose opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza del giudice dell’esecuzione del 10 gennaio 2000, con la quale, dopo che il saldo prezzo era stato già pagato dall’aggiudicatario in data 6 agosto 1999, aveva dichiarato estinta la procedura esecutiva per rinuncia del creditore procedente sopravvenuta a tale versamento ed aveva revocato l’aggiudicazione, con l’ordine di restituzione all’aggiudicatario delle somme versate per l’acquisto coattivo. L’opposizione agli atti esecutivi venne dichiarata inammissibile con sentenza del Tribunale di Firenze, cassata con rinvio da questa Corte con sentenza dell’11 giugno 2003, n. 9377.

Riassunto il giudizio di rinvio dinanzi al Tribunale di Firenze e costituitisi, oltre all’opponente ed agli eredi dell’esecutato, anche il creditore procedente – quest’ultimo al solo fine di eccepire il proprio difetto di legittimazione passiva, così modificando la precedente difesa, l’opposizione agli atti esecutivi veniva accolta e, per l’effetto, veniva revocato il provvedimento di revoca dell’aggiudicazione del 10 gennaio 2000, veniva dichiarato il diritto di B.A. al trasferimento del bene espropriato, veniva disposto che, dopo il passaggio in giudicato della sentenza, fosse emesso il decreto di trasferimento in favore dell’opponente e fossero rimesse agli eredi dell’esecutato le somme versate dallo stesso opponente; veniva inoltre dichiarato il difetto di legittimazione passiva della Finpalace S.p.A., con condanna dei resistenti al pagamento dei tre quarti delle spese dell’intero giudizio sopportate da B.A. e condanna di quest’ultimo al pagamento delle spese legali di Finpalace S.p.A. limitatamente al giudizio di rinvio, e compensazione per il procedimento pregresso.

Avverso la sentenza del Tribunale di Firenze propongono ricorso per cassazione M.A., M.L. e M.R., a mezzo di un unico articolato motivo, proposto con due quesiti di diritto.

Si difende con controricorso B.A., il quale propone anche ricorso incidentale affidato a due motivi, relativi alle statuizioni della sentenza concernenti il difetto di legittimazione passiva di Finpalace S.p.A. e la condanna del B. al pagamento delle spese del giudizio di rinvio in favore di tale società.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, occorre procedere alla riunione di ricorso principale e ricorso incidentale, in quanto proposti avverso la stessa sentenza.

2. Con l’unico motivo del ricorso principale è dedotto il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 487 e 632 c.p.c., poichè il primo attribuirebbe al giudice dell’esecuzione il potere di modificare in qualsiasi momento i suoi provvedimenti anche per mera opportunità finchè non abbiano avuto esecuzione e, rispetto all’ordinanza di aggiudicazione, l’esecuzione si avrebbe soltanto con la pubblicazione del decreto di trasferimento; poichè tale interpretazione troverebbe conforto nella norma dell’art. 586 c.p.c., che non costituirebbe un’eccezione all’art. 487 c.p.c., ma ne sarebbe un’applicazione, confermando che il momento di demarcazione per l’irrevocabilità dell’assegnazione sarebbe l’emissione del decreto di trasferimento; poichè la giurisprudenza di legittimità non ha registrato nel corso degli anni un orientamento uniforme in punto di revocabilità dell’ordinanza di aggiudicazione, ma il contrasto sarebbe stato risolto con la sentenza del 10 febbraio 2003, n. 1936 nel senso della revocabilità dell’ordinanza di aggiudicazione fino all’emissione del decreto di trasferimento.

2.1 Il ricorso va rigettato in quanto non censura la ratio decidendi della sentenza impugnata che ha come norma di riferimento l’art. 632 c.p.c., la quale è l’unica che regola la fattispecie in esame.

Il tenore della norma è assolutamente chiaro laddove, nel regolare gli effetti dell’estinzione del processo, al comma 2, fa salva l’aggiudicazione se l’estinzione si verifica dopo l’aggiudicazione ed, in tal caso, dispone che la somma ricavata sìa consegnata al debitore.

Nel caso di specie, il giudice dell’esecuzione, che ha emesso l’ordinanza opposta, ha violato la norma poichè, nel dichiarare l’estinzione del processo esecutivo per l’intervenuta rinuncia del creditore procedente (mancando creditori intervenuti) in data successiva, non solo al provvedimento di aggiudicazione, ma addirittura al versamento del saldo prezzo da parte dell’aggiudicatario, ha revocato l’aggiudicazione piuttosto che tenerne fermi gli effetti come disposto dall’art. 632 c.p.c..

2.2 La disciplina dettata da tale ultima norma prevale su quella dettata dall’art. 487 c.p.c., invocato dai ricorrenti a sostegno dell’impugnazione.

Nell’ipotesi di estinzione del processo esecutivo, la sorte degli atti compiuti, quindi anche dei provvedimenti del giudice dell’esecuzione, è disciplinata dall’art. 632 c.p.c., comma 2, che pone un principio di “irrevocabilità” degli atti compiuti quando il fatto estintivo del processo esecutivo si sia verificato in data successiva al provvedimento di aggiudicazione; più in particolare, rende irrevocabile proprio tale provvedimento di aggiudicazione, qualora la ragione della dedotta revocabilità sia soltanto quella dell’intervenuta estinzione del processo esecutivo. Ne segue l’irrilevanza delle argomentazioni svolte dai ricorrenti nell’illustrazione dei motivi di ricorso, poichè riguardano i criteri interpretativi di una norma, quale è quella dell’art. 487 c.p.c., che non può trovare applicazione nel caso di specie:

infatti, i ricorrenti pongono a fondamento dell’ invocata revoca dell’aggiudicazione esclusivamente e soltanto l’intervenuta rinuncia del creditore procedente, che, invece, l’art. 632 c.p.c., comma 2, considera – quale causa estintiva del processo esecutivo – proprio al fine di impedirne la revocabilità.

2.3 Analogamente, è a dirsi per quanto riguarda la norma dell’art. 586 c.p.c.. Trattasi, infatti, di norma del tutto estranea alla fattispecie in esame, poichè presuppone la sospensione della vendita nel caso in cui “il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto”, sicchè in difetto di tale presupposto non vi è spazio per procedere alla sua applicazione. Come rileva la sentenza impugnata, l’art. 586 c.p.c., conferma che il diritto dell’aggiudicatario ad ottenere il trasferimento del bene è previsto in linea generale dall’ordinamento e, quindi, la previsione di un limite, quale è quello fissato dall’art. 586 c.p.c., necessita di un’apposita norma che ne circoscriva l’ambito di applicazione.

La norma, letta nella sua interezza, è del tutto coerente con la previsione dell’art. 632 c.p.c., comma 2, poichè, in caso di estinzione del processo esecutivo dopo l’aggiudicazione, se non ricorre il presupposto dell’inadeguatezza del prezzo, il giudice dell’esecuzione non ha altra alternativa che quella di “pronunciare il decreto col quale trasferisce all’aggiudicatario il bene espropriato”, secondo quanto disposto dallo stesso art. 586, comma 10, seconda parte; e, quindi, consegnare al debitore “la somma ricavata”, secondo quanto disposto dal più volte richiamato art. 632 c.p.c., comma 2. Più specificamente, l’art. 632 c.p.c., comma 2, stabilizza in capo all’aggiudicatario il diritto ad ottenere il trasferimento del bene, che, se, quando il processo si estingue, ancora non è stato versato il saldo prezzo, è condizionato comunque a tale versamento (arg. ex artt. 585 e 587 c.p.c.); se, invece, il prezzo è stato interamente depositato, è un diritto incondizionato alla pronuncia del decreto di trasferimento.

2.4. Giova aggiungere che quanto detto sull’art. 632 c.p.c., prescinde dalla novità dell’introduzione dell’art. 187 bis disp. att. c.p.c., di cui al D.L. n. 35 del 2005, art. 2, comma 4 novies, lett. b), convertito nella L. n. 80 del 2005, poichè, per la parte relativa agli effetti dell’estinzione sull’aggiudicazione, la nuova norma si è limitata a precisare che essi, così come previsti dall’art. 632 c.p.c., comma 2, si producono dopo l’aggiudicazione “anche provvisoria”. Tuttavia, nel caso di specie, non vi è alcuna necessità di disquisire in merito al contrastato orientamento giurisprudenziale sulla differenza tra aggiudicazione provvisoria e aggiudicazione definitiva, anche ai fini dell’applicazione dell’art. 632 c.p.c. (contrasto, cui la nuova norma ha inteso porre rimedio, optando per la soluzione comunque più favorevole all’aggiudicatario anzichè al debitore esecutato) poichè è indiscusso che l’aggiudicazione di B.A. fosse oramai definitiva quando vi fu la rinuncia del creditore procedente che determinò l’estinzione del processo esecutivo, tanto è vero che l’aggiudicatario aveva già versato il saldo prezzo. In presenza di aggiudicazione definitiva, nessun contrasto interpretativo vi è mai stato sulla norma dell’art. 632 c.p.c., comma 2, nel testo del codice, mai modificato dalle successive riforme, per il quale, con riferimento all’aggiudicazione definitiva, non può che valere il principio “in claris non fit interpretatio”.

3. Col primo motivo del ricorso incidentale è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 617, 102 e 485 c.p.c., nonchè artt. 392 e 394 c.p.c. perchè la Finpalace S.p.A., creditrice procedente nella procedura esecutiva in questione, sarebbe litisconsorte necessaria nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi, in quanto questo darebbe vita ad un rapporto processuale plurisoggettivo a contenuto necessario; pertanto, tutti i soggetti del processo esecutivo indicati dall’art. 485 c.p.c., sarebbero passivamente legittimati e litisconsorti necessari, sia nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi che nel giudizio di rinvio conseguito alla cassazione della prima sentenza del giudice dell’opposizione da parte del giudice di legittimità.

Quindi, il Tribunale di Firenze, nel dichiarare il difetto di legittimazione passiva della Finpalace S.p.A. avrebbe violato, secondo i ricorrenti, in primo luogo, gli artt. 617, 102 e 485 c.p.c.; avrebbe, inoltre, violato le norme che regolano il giudizio di rinvio.

3.1. Il motivo è infondato sotto entrambi i profili. Quanto al primo, la sentenza impugnata ha fatto applicazione, giuridicamente corretta, delle norme in tema di litisconsorzio necessario, nonchè coerente con le applicazioni di tali norme fatte dalla giurisprudenza richiamata in motivazione. Si tratta di applicazioni fondate sul principio che il litisconsorzio presuppone che la sentenza debba essere emessa nei confronti di più parti poichè altrimenti sarebbe inutiliter data. Nel caso in esame, essendo il processo esecutivo estinto e non avendo l’opponente inteso contestare il provvedimento di estinzione (tanto è vero che la sentenza della Cassazione che ha cassato con rinvio si fonda proprio sul presupposto che il rimedio non fosse stato invocato dall’opponente contro l’estinzione – poichè altrimenti si sarebbe dovuto esperire il reclamo ex art. 630 c.p.c. – bensì contro i provvedimenti del giudice dell’esecuzione conseguiti all’estinzione), la sentenza è destinata a regolare esclusivamente i rapporti tra l’aggiudicatario ed, oggi, gli eredi del debitore esecutato, senza coinvolgere in alcun modo posizioni soggettive facenti capo al creditore procedente, già rinunciante.

In conclusione va affermato il seguente principio di diritto: “In tema di opposizione agli atti esecutivi, nel giudizio di opposizione, proposto quando il processo esecutivo sia oramai estinto per rinuncia, ed avente ad oggetto i provvedimenti del giudice dell’esecuzione conseguenti all’estinzione, volti a regolare esclusivamente i rapporti tra il debitore esecutato e l’aggiudicatario, non sono passivamente legittimati nè litisconsorti necessari i creditori, procedente ed intervenuti, che abbiano rinunciato agli atti”.

3.2. Inoltre, è da escludere che, come lamentato dal ricorrente incidentale, il Tribunale di Firenze abbia violato le norme che regolano il giudizio di rinvio: è vero che nel giudizio di rinvio la controversia da luogo a litisconsorzio necessario processuale fra gli stessi soggetti che furono parti nel processo in cassazione (cfr., da ultimo, Cass. 28 maggio 2004 n. 10322), sicchè è vero che l’opponente non avrebbe potuto non citare in riassunzione anche il creditore procedente che era stato parte già nel giudizio in cui era stata pronunciata la sentenza cassata. Infatti, la norma di riferimento è proprio quella fissata all’art. 394 c.p.c., comma 2, della quale il Tribunale di Firenze ha fatto corretta applicazione.

Tuttavia, essendo regredito il processo nello stato del primo grado dinanzi al giudice dell’opposizione agli atti esecutivi, questi ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva della parte originariamente chiamata come litisconsorte necessario in tale giudizio e che, per la norma anzidetta, aveva conservato tale sua posizione anche nel giudizio di rinvio.

3.3. Segue a quanto detto su entrambi i profili del primo motivo di ricorso incidentale, che ha errato la parte opponente quando ha citato nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi il creditore rinunciante; che, comunque, non avrebbe potuto non riassumere il giudizio di rinvio anche nei confronti di quest’ultimo; che, una volta tornate tutte le parti dinanzi al giudice del merito, questi ne ha riesaminato la posizione che non avrebbe potuto essere altra che quella medesima “che avevano nel procedimento in cui fu pronunciata la sentenza cassata” (arg. ex art. 394 c.p.c., comma 2). Pertanto, è corretta la statuizione della sentenza impugnata che ha concluso nel senso del difetto di legittimazione passiva del creditore rinunciante Finpalace S.p.A..

4. Col secondo motivo del ricorso incidentale il ricorrente lamenta il vizio di motivazione per illogicità e contraddittorietà in punto di condanna del B. al pagamento delle spese del giudizio di rinvio in favore della Finpalace s.p.a..

4.1. Il motivo è infondato.

E’ esatto che il giudizio di invio non ha carattere impugnatorio, ma costituisce la prosecuzione del processo, che si è concluso con la precedente sentenza cassata ed è esatto altresì, come sostenuto dal ricorrente incidentale, che la liquidazione delle spese processuali si debba ispirare ad un criterio unitario.

La liquidazione delle spese, anche in questo caso, va effettuata, quindi, sulla base di un criterio unitario e globale tra il giudizio che ha dato luogo alla sentenza cassata ed il successivo giudizio di rinvio.

Sennonchè costituisce una petizione di principio l’assunto del ricorrente incidentale secondo cui, essendo stata disposta la compensazione delle spese per il primo giudizio, eguale statuizione doveva essere emessa anche per il giudizio di rinvio, poichè in questa seconda sede necessariamente si era formato un litisconsorzio necessario nei confronti di Finpalace spa.

Infatti va osservato che il criterio di individuazione della soccombenza, sulla base del quale va effettuata la statuizione delle spese, deve essere unitario e globale anche qualora il giudice ritenga di giungere alla compensazione parziale delle spese di lite per reciproca parziale soccombenza, condannando poi per il residuo una delle due parti; in tal caso, l’unitarietà e la globalità del suddetto criterio comporta che, in relazione all’esito finale della lite, il giudice deve individuare quale sia la parte parzialmente soccombente e quella, per converso, parzialmente vincitrice, in favore della quale il giudice del rinvio è tenuto a provvedere sulle spese secondo il principio della soccombenza applicato all’esito globale del giudizio, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato (Cass. civ., Sez. 3^29/03/2006, n. 7243) .

Ne consegue che nella fattispecie, poichè l’esito finale della lite tra il B. e la Finpalace S.p.A. è quello del riconoscimento del difetto di legittimazione passiva di quest’ultima (ovviamente per l’intero giudizio e non solo per quello di rinvio, indipendentemente dalla difesa spiegata), non presenta i lamentati vizi motivaziona1i la statuizione di condanna del B. al pagamento le spese processuali della Finapalace S.p.A. per il giudizio di rinvio, mentre non può essere oggetto di esame da parte di questa Corte la disposta compensazione delle spese del giudizio conclusosi con la sentenza cassata, poichè non è stata oggetto di impugnazione da parte di Finpalace S.p.A..

5. Le spese del giudizio di Cassazione vanno regolate secondo il principio della soccombenza e quindi i ricorrenti, totalmente soccombenti, vanno condannati al pagamento delle spese in favore del resistente, liquidate come da dispositivo.

Non vi è invece luogo a provvedere al regolamento delle spese tra il ricorrente incidentale e l’intimata incidentale Finapalace S.p.A., poichè questa non si è difesa nel presente giudizio.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi. Condanna i ricorrenti M.A., M.L. e M.R. al pagamento delle spese del giudizio di cassazione sostenute dal resistente B. A. e liquidate in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Così deciso in Roma, il 14 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2011

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