Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8744 del 30/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 30/03/2021, (ud. 03/12/2020, dep. 30/03/2021), n.8744

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4769/2013 R.G. proposto da:

P.G., rappresentato e difeso dall’Avv. Giovanni Geremia,

per procura speciale in atti, presso il cui studio, sito in Venezia,

piazza San Marco, n. 2915 ha eletto domicilio; domiciliato in Roma,

p.zza Cavour, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,

presso i cui uffici è domiciliata in Roma alla Via dei Portoghesi

n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto

n. 104/14/12, depositata il 5 ottobre 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3 dicembre

2020 dal Consigliere Michele Cataldi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle Entrate ha emesso avviso di accertamento, relativo all’anno d’imposta 2005, con il quale, ai fini Irpef ed Irap, ha accertato a carico di P.G. (di seguito il contribuente), esercente l’attività di gondoliere, un maggior reddito d’impresa ed un maggior valore della produzione, con il metodo analitico-induttivo di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), sul rilievo dell’inattendibilità della dichiarazione, in ragione dell’esiguità dei redditi dichiarati e degli elementi indiziari della percezione di un maggior reddito.

2. Il contribuente ha impugnato l’avviso di accertamento dinnanzi alla Commissione tributaria provinciale di Venezia che ha accolto parzialmente il ricorso, rideterminando in misura ridotta il reddito imponibile accertato.

3. Il contribuente ha quindi proposto appello dinnanzi la Commissione tributaria regionale del Veneto che, con la sentenza n. 104/14/12, depositata il 5 ottobre 2012, lo ha rigettato.

4. Avverso la sentenza d’appello il contribuente ha infine proposto ricorso per cassazione, affidandolo a quindici motivi. L’Agenzia si è costituita con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il contribuente lamenta la violazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2729 c.c., comma 2, nonchè la “nullità della sentenza per motivazione insufficiente (violazione di legge: art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 161 c.p.c., art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 e art. 111 Cost., comma 6)”, in quanto in primo luogo la motivazione conterrebbe riferimenti a dati generali e astratti, indicati come fatti notori, ma non riguardanti lo specifico contribuente, ma esclusivamente l’intera categoria del turismo e l’organizzazione del lavoro del gondoliere, senza offrire alcun riscontro di come i dati del settore possano assumere rilevanza con riguardo alla fattispecie del singolo contribuente. In secondo luogo, la sentenza si fonderebbe su fatti che vengono qualificati come notori, la cui qualificazione viene denunziata in sede di legittimità sotto il profilo della violazione dell’art. 115 o comunque dell’art. 2729, comma 2, in quanto, secondo la prospettazione del contribuente, il processo tributario, non ammettendo la prova testimoniale, non ammetterebbe neppure la prova per presunzioni.

1.1. Il motivo è inammissibile e comunque infondato.

Infatti, il ricorrente contemporaneamente prospetta tre diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, ovvero quelle di cui ai nn. 3, 4 e 5 (attraverso il richiamo all’insufficienza della motivazione), e la lettura dell’intero corpo del relativo mezzo d’impugnazione evidenzia una sostanziale mescolanza e sovrapposizione di censure, che dà luogo all’inammissibile prospettazione della medesima questione sotto profili incompatibili (Cass. 23/10/2018, n. 26874; Cass. 23/09/2011, n. 19443; Cass. 11/04/2008, n. 9470), non risultando specificamente separati la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto sostanziale appropriate alla fattispecie, la denuncia di assunti vizi processuali ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass. 11/04/2018, n. 8915; Cass. 23/04/2013, n. 9793).

Pertanto, i distinti motivi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, cumulati formalmente nella rubrica del primo motivo di ricorso, risultano, nel contenuto di quest’ultimo, censure non ontologicamente distinte dallo stesso ricorrente e quindi non autonomamente individuabili, senza che possa ipotizzarsi un intervento inammissibile di selezione e ricostruzione del mezzo d’impugnazione da parte di questa Corte.

1.2. Tanto premesso, il motivo è ulteriormente inammissibile nella parte in cui lamenta l’irrilevanza, al fine di ipotizzare un maggior reddito per il contribuente, del fatto notorio dello sviluppo del settore turistico nella città di Venezia, anche in ragione della crisi economica che, secondo il contribuente, indurrebbe i turisti a non fruire dell’esperienza del viaggio in gondola.

Infatti questa Corte ha già avuto modo di rilevare che “con i motivi di ricorso per cassazione la parte non può limitarsi a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo, poichè in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata che si risolve, in sostanza, nella proposizione di un “non motivo”, come tale inammissibile ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4″ (Cassazione civile sez. I, 24/09/2018, n. 22478). Invero, dalla motivazione della sentenza impugnata si evince come il fatto notorio dello sviluppo del turismo nella città di Venezià non sia stato addotto, di per sè solo, quale elemento da cui sia possibile desumere un maggiore reddito del contribuente. Al contrario, esso ha assunto rilievo nell’ambito della valutazione dei mezzi istruttori dedotti dalle parti circa l’esistenza di un sistema turnario tra gli esercenti l’attività di gondolieri. In particolare il Giudice ha ritenuto che, laddove una città, come Venezia, si caratterizzi per un elevato flusso turistico, i servizi ad esso inerenti necessitino di un certo livello di organizzazione, il che lo ha condotto a dare prevalenza, nell’ambito di un giudizio di fatto insindacabile in questa sede, agli elementi di prova offerti dall’Ufficio circa l’esistenza del sistema turnario.

Pertanto, la censura, già comunque inammissibile, neppure coglie la specifica ratio decidendi esposta sul punto dalla CTR.

1.3. Quanto alla pretesa insufficienza della motivazione, la censura è inammissibile in quanto, in ragione della data di deposito della sentenza impugnata, ratione temporis si applica il testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che non contempla tale vizio.

1.4. E’ poi infondata la censura della motivazione proposta in termini di assunta nullità della sentenza, ai sensi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, sul presupposto della sua mera apparenza.

Va premesso che, già sul piano logico, è inammissibile sostenere contemporaneamente che la motivazione non sussista, in quanto apparente, e che essa sia insufficiente, poichè tale ultima qualificazione presuppone la piena esistenza della motivazione stessa.

Inoltre, La sentenza della CTR ha espresso le ragioni in base alle quali ha ritenuto maggiormente attendibili le prospettazioni dell’Ufficio rispetto a quelle del contribuente, offrendo una motivazione non meramente grafica e non inferiore al minimo costituzionale necessario, poichè consente di comprendere – e criticare, come ha fatto ampiamente il ricorrente- l’iter logico giuridico seguito per giungere alla decisione. Non ricorrono pertanto nel caso di specie quelle ipotesi di anomalia motivazionale che si tramutano in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinenti all’esistenza della motivazione in sè, che si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr., ex plurimis, Cass. 09/07/2020, n. 14633, in motivazione).

1.5. Fermo quanto sinora rilevato, va peraltro aggiunto che il motivo è ulteriormente inammissibile nella parte in cui si riferisce alle peculiari caratteristiche del contribuente, genericamente richiamando gli elementi di “devianza e del tutto eccezionali (età, pensione, malattia)” rispetto alla “figura generale e astratta del gondoliere”, di cui la CTR non avrebbe tenuto conto, senza tuttavia indicare quando e come la prova di tali elementi sia stata fornita nei giudizi di merito. Non risulta quindi adempiuto l’onere di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di specifica indicazione, a pena d’inammissibilità del ricorso, degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonchè dei dati necessari all’individuazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito. (Cass. 15/01/2019, n. 777; Cass. 18/11/2015, n. 23575; Cass. S.U., 03/11/2011, n. 22726).

Inoltre, “l’omesso esame di elementi istruttori non dà luogo al vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè in sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze.

E’, quindi, inammissibile la deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per sostenere semplicemente il mancato esame di deduzioni istruttorie ovvero di documenti, da parte del giudice del merito” (Cass. 08/08/2019, n. 21210). Nel caso di specie la CTR, nella motivazione, ha espressamente considerato le circostanze dell'”età avanzata”, della “malattia che… affligge” il contribuente, della “sua situazione familiare che gli riduce i tempi di lavoro”, ma ha ritenuto le stesse non dirimenti, in quanto l’Ufficio aveva tenuto conto “dell’esistenza di tempi non lavorativi nella determinazione dei ricavi”. La Corte di merito ha dunque espressamente preso in considerazione tali elementi, e la censura di omessa motivazione in merito agli stessi non coglie pertanto la ratio decidendi espressa sul punto dalla sentenza d’appello e si traduce, comunque, in un’inammissibile istanza di riesame del fatto, precluso alla Corte di legittimità.

1.6. E’ poi infondata la censura relativa alla pretesa violazione dell’art. 2729 c.c., comma 2.

Infatti, questa Corte ha già affermato il principio di diritto secondo cui “nel processo tributario, il ricorso alle presunzioni è ammissibile tanto in materia di tributi erariali che di tributi dell’ente locale, essendo positivamente esclusi dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, solo il giuramento e la prova testimoniale; il divieto di ammissione di quest’ultima, infatti, non comporta la conseguente inammissibilità della prova per presunzioni ai sensi dell’art. 2729 c.c., comma 2, in quanto detta norma, stante la natura della materia ed i mezzi di indagine a disposizione degli uffici e dei giudici tributari, non è applicabile nel contenzioso tributario” (Cass. 15/04/2016, n. 7509).

1.7. Infine, la censura di pretesa violazione dell’art. 115 c.p.c. è inammissibile in quanto, per gli elementi precedentemente esposti ai punti 1.2. ed 1.5., non coglie la ratio della sentenza impugnata.

2. Con il secondo motivo il contribuente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in particolare con riguardo alla documentazione attestante il mancato rispetto del sistema turnario da parte dei gondolieri; nonchè la violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 2729 c.c., comma 2, per aver la CTR ritenuto fondata la pretesa dell’Ufficio, nonostante quest’ultimo non avesse fornito la relativa prova, e per avere lo stesso giudice a quo posto alla base della propria decisione prove di natura presuntiva, non ammesse nel giudizio tributario e non integranti presunzioni gravi, precise e concordanti tali da legittimare l’accertamento ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39.

2.2. Il motivo è inammissibile perchè anche in questo caso il ricorrente ha dedotto contemporaneamente, in maniera concretamente inestricabile (come risulta dal corpo del mezzo), i diversi vizi contemplati nell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Si richiamano pertanto le argomentazioni ed i riferimenti giurisprudenziali di cui al precedente punto 1.1., a proposito del primo motivo, che ben si adeguano anche al motivo qui in trattazione.

Premessa pertanto la complessiva inammissibilità del’intero mezzo, esso si manifesta comunque anche infondato.

2.1. Quanto alla rinnovata lamentata violazione dell’art. 2729 c.c., la censura è comunque anche infondata, per le argomentazioni ed i riferimenti giurisprudenziali ante espressi al punto 1.6, a proposito del primo motivo.

Va peraltro aggiunto che, come questa Corte ha già evidenziato, “in tema di prova civile conseguente ad accertamento tributario, gli elementi assunti a fonte di presunzione non debbono essere necessariamente plurimi potendosi il convincimento del Giudice fondare anche su un elemento unico, preciso e grave, la valutazione della cui rilevanza, peraltro, nell’ambito del processo logico applicato in concreto, non è sindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione adeguata e logicamente non contraddittoria” (Cass. 16/03/2020, n. 7292).

2.2. Comunque infondata è anche la censura di violazione dell’art. 2697 c.c. e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39.

Infatti, “La violazione dello specifico precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura solo nella ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova a una parte diversa da quella che ne è gravata, secondo le regole dettate da quella norma, non quando – a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie – il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere” (Cass. 16/05/2007, n. 11216).

Tanto premesso, va rammentato che “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell’accertamento analitico induttivo del reddito d’impresa, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità del comportamento del contribuente. In tali casi è, pertanto, consentito all’ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici – purchè gravi, precise e concordanti – maggiori ricavi o minori costi, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente” (Cass. 03/05/2002, n. 6337; conformi, ex plurimis, Cass. 26/01/2007, n. 1711; Cass. 19/12/2008, n. 29859; Cass. 30/12/2015, n. 26036; Cass. 31/10/2018, n. 27804; del 31/10/2018).

Nel caso di specie l’Ufficio, sul rilievo dell’antieconomicità del comportamento del contribuente (dedotta dal raffronto tra la dichiarazione dei redditi presentata e quanto rilevato circa il valore delle licenze per l’esercizio della sua attività imprenditoriale, gli elementi indicativi di capacità contributiva ed i dati rilevati dal Consorzio per la Ricerca e la Formazione) ha ritenuto che il reddito dichiarato, pur in assenza di irregolarità formali, fosse da considerarsi complessivamente inattendibile, e dunque ha proceduto all’accertamento dei redditi con metodo analitico-induttivo in costanza dei relativi presupposti. Sul presupposto dell’argomentato rilievo dell’antieconomicità l’Ufficio era dunque legittimato a servirsi di elementi di prova presuntiva, tra i quali anche presunzioni semplici, con lo spostamento dell’onere della prova sul contribuente, nei termini di cui ai richiamati principi giurisprudenziali, dei quali la CTR ha fatto corretta applicazione.

2.3. Quanto alla censura relativa all’omesso esame di un fatto decisivo, essa è ulteriormente inammissibile ed infondata.

Invero il contribuente lamenta l’omesso esame, da parte della CTR, di documentazione prodotta nel giudizio di merito, volta a contestare l’effettiva sussistenza di un sistema turnario, rispettato, secondo le prospettazioni dell’Ufficio, dagli esercenti la professione di gondoliere nella laguna di Venezia. Il rispetto del sistema turnario è uno degli elementi che hanno consentito all’Ufficio di dedurre che i ricavi medi del settore potessero applicarsi anche al singolo contribuente.

Se dunque il fatto storico di cui si pretende omesso l’esame viene individuato nell’esistenza di un sistema turnario rispettato dai gondolieri, deve rilevarsi che la motivazione della sentenza impugnata lo ha invece espressamente considerato, ritenendolo sussistente.

Non vi è dunque un fatto storico che la Corte di merito abbia omesso di esaminare.

Piuttosto, il ricorrente sembra dolersi dell’omesso esame delle prove documentali al riguardo. Tuttavia va rammentato che “l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass. 02/11/2018, n. 28024).

Inoltre, “l’omesso esame di elementi istruttori non dà luogo al vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè in sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze. E’, quindi, inammissibile la deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per sostenere semplicemente il mancato esame di deduzioni istruttorie ovvero di documenti, da parte del giudice del merito” (Cassazione 08/08/2019, n. 21210).

Infine, si consideri che il testo del documento dal quale il ricorrente vorrebbe far derivare l’inesistenza del sistema turnario, così come riprodotto nel ricorso (pag. 8), neppure ne escluderebbe univocamente e necessariamente l’esistenza, quanto piuttosto la sua gestione non da parte dell’Ente Gondola, ma di fatto “in assoluta autonomia dai singoli traghetti d’appartenenza” (laddove il termine “traghetto” identifica il luogo ove il “traghettamento” ha inizio e fine su un percorso prefissato, anche se per traslato è esteso ad indicare il tipo di gondola utilizzata).

3. Con il terzo motivo il contribuente lamenta la violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 2 e dell’art. 23 Cost., per aver la CTR confermato la correttezza dell’operato dell’Ufficio sul rilievo che costituirebbe fatto notorio l’esistenza di un turismo di massa nella città di Venezia. Sostiene tuttavia il ricorrente che tale circostanza non potrebbe annoverarsi tra le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza, alle quali attribuisce rilevanza istruttoria l’art. 115 c.p.c., comma 2, al fine di accertare il reddito imponibile del contribuente, che richiede invece l’acquisizione di dati estimativi precisi, che richiedono specifiche informazioni tecniche, estranee al patrimonio culturale dell’uomo comune.

Il motivo è inammissibile, poichè non attinge la ratio decidendi della motivazione della sentenza impugnata, che dalla circostanza che Venezia è meta di un turismo di massa (dato fattuale ovvio che, si noti, lo stesso ricorrente non contesta sia di comune esperienza) non fa certo autonomamente e direttamente derivare l’an ed il quantum del maggior imponibile accertato.

Piuttosto, affermando la predetta circostanza, la CTR enuclea uno dei vari dati istruttori che, unitamente agli altri, contribuiscono alla libera valutazione di merito in ordine all’attendibilità delle contrapposte ricostruzioni delle parti circa le modalità di svolgimento organizzato, piuttosto che spontaneo ed occasionale, dell’attività dei gondolieri.

Tanto premesso, deve poi aggiungersi che il ricorrente, non mettendo sostanzialmente in dubbio che la vocazione turistica di massa di Venezia corrisponda allo stato di conoscenza collettiva operato dal giudice del merito ai sensi dell’art. 115 c.p.c., comma 2, pretende piuttosto la rivalutazione dell’accertamento di fatto espresso, nella sentenza impugnata, sulla base della libera valutazione di tale dato in combinazione con gli ulteriori elementi istruttori. Tuttavia tale pretesa contrasta con i caratteri morfologici ed i limiti funzionali del giudizio di cassazione ed è inammissibile (cfr., in motivazione, Cass. 31/08/2020, n. 18101).

4. Con il quarto motivo il contribuente lamenta la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 2 e 3, per avere la CTR dichiarato infondata l’eccezione di nullità dell’avviso per mancata allegazione della ricerca Coses sulla quale l’avviso di accertamento si fonda.

La censura investe il capo della sentenza ove la CTR ha dichiarato infondata tale eccezione, sul rilievo che detto documento, sebbene non conosciuto dal contribuente, fosse tuttavia conoscibile dallo stesso, in quanto riprodotto in articoli giornalistici pubblicati all’epoca dell’accertamento e comunque custodito presso l’Ente che lo aveva redatto, a disposizione di chi avesse interesse a conoscerlo.

Il motivo, nei termini nei quali è stato proposto, è infondato.

Infatti, la censura investe la questione relativa alla rilevanza della mera conoscibilità dell’atto richiamato da un avviso di accertamento, ma non allegato, al fine di escludere la nullità di quest’ultimo.

In materia di accertamenti in rettifica ed accertamenti d’ufficio, il D.P.R. n. 600 del 1973, all’art. 42, comma 2, ultimo periodo, come modificato dal D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, art. 1, comma 1, lett. c), nella versione vigente ratione temporis, prevede che “Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto nè ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale”.

Il successivo comma dispone infine che: “L’accertamento è nullo se l’avviso non reca la sottoscrizione, le indicazioni, la motivazione di cui al presente articolo e ad esso non è allegata la documentazione di cui al comma 2, ultimo periodo”.

Nella giurisprudenza di questa Corte, molteplici sono le pronunce che, al fine di soddisfare il requisito della motivazione dell’accertamento, hanno ritenuto sufficiente che l’atto esterno, richiamato da quello impositivo, fosse, se non effettivamente conosciuto, quanto meno conoscibile dal contribuente destinatario dell’avviso.

Non si intende, in questo senso, far riferimento alle affermazioni giurisprudenziali relative alla conoscibilità di atti richiamati, già oggetto di precedente notificazione al contribuente (Cass. 25/07/2012, n. 13110), o sottoposti a pubblicità legale (Cass. 19/12/2014, n. 27055, in motivazione), trattandosi di ipotesi accomunabili dall’operatività di presunzioni legali (per quanto diversificate) di conoscenza, e quindi di equiparazione ex lege della conoscibilità alla conoscenza.

Piuttosto, ci si riferisce a quelle pronunce che hanno ritenuto legittima anche la motivazione per relationem che richiami, senza allegarli, atti che si possano presumere, solo iuris tantum, conosciuti dal destinatario dell’accertamento (Cass. 17/12/2014, n. 26527; Cass. 27/11/2015, n. 24254; Cass. 30/10/2018, n. 27628). E, soprattutto, ci si richiama a quell’orientamento che, finanche nel caso di doppia motivazione per relationem, ovvero quando il documento menzionato nella motivazione dell’atto tributario faccia a sua volta riferimento ad ulteriori documenti, ritiene sufficiente che questi ultimi siano, se non in possesso o comunque conosciuti dal contribuente, quanto meno agevolmente conoscibili da quest’ultimo (Cass. 12/12/2018, n. 32127; Cass. 24/11/2017, n. 28060; Cass. 04/06/2018, n. 14275, ex plurimis, in tema di avviso di accertamento dei redditi del socio che rinvii a quello riguardante i redditi della società, ancorchè solo a quest’ultima notificato; Cass. 17/05/2017, n. 12312, ex plurimis, relativa all’accertamento del maggior valore dell’immobile sulla base dei prezzi medi evincibili dal listino della Borsa immobiliare dell’Umbria, pubblicato dalla locale camera di Commercio ed agevolmente reperibile dalla contribuente).

Questa Corte ha affermato il principio di diritto secondo cui “l’interpretazione giurisprudenziale… del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, ultimo periodo e comma 3, nel senso che non sia nullo l’accertamento la cui motivazione fa riferimento ad un altro atto ad esso non allegato, ma conoscibile agevolmente dal contribuente,” realizza “un adeguato bilanciamento tra le esigenze di economia dell’azione amministrativa (e quindi di buon andamento dell’amministrazione, ex art. 97 Cost.) – che giustificano l’ammissibilità, anche normativa, della motivazione per relationem (sul punto cfr. Cass. 29/01/2008, n. 1906, in motivazione) – ed il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente (rilevante ex artt. 24 e 111 Cost.) nel giudizio di impugnazione dell’atto impositivo, che sarebbe illegittimamente compresso se la conoscibilità dell’atto esterno richiamato dalla motivazione non fosse agevole, ma richiedesse un’attività di ricerca complessa” (Cass. 21/01/2020, n. 1252).

Deve, pertanto, ritenersi infondato il quarto motivo di ricorso, che imputa al giudice a quo il preteso errore, in diritto, di avere ritenuto sufficiente, al fine di integrare la motivazione per relationem dell’atto emesso nei confronti della società, la conoscibilità dei documenti richiamati nell’avviso di accertamento, in quanto pubblici e consultabili da chiunque.

Giova peraltro aggiungere che la valutazione espressa sul punto della sufficiente conoscibilità da parte del giudice a quo integra un giudizio di fatto non censurabile in questa sede, nel quale il ricorrente si è limitato all’allegazione esclusiva del vizio di violazione di legge (Cass. 21/01/2020, n. 1252, in motivazione).

Tutto ciò premesso, deve aggiungersi che è invece inammissibile la parte del quarto motivo nella quale il ricorrente sembra voler criticare il giudizio di fatto della CTR in ordine alla concreta conoscibilità del documento in questione, per la pretesa carenza della relativa pubblicazione su internet, in quanto “la valutazione espressa sul punto della sufficiente conoscibilità da parte del giudice a quo integra un giudizio di fatto non censurabile in questa sede, tanto più tramite l’allegazione esclusiva di vizi di violazione di legge” (Cass. 21/01/2020, n. 1252).

5. Con il quinto motivo il contribuente lamenta la violazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., per avere la CTR affermato una riduzione del solo 20% del reddito accertato, nonostante una riduzione del 20% fosse stata già operata dalla CTP e nonostante la CTR abbia affermato che la CTP, nel rideterminare l’importo, aveva errato a non considerare che lo stazio ove il contribuente operava aveva subito una riduzione della capacità lavorativa in ragione della presenza di lavori di rifacimento delle dighe.

Il motivo, come formulato, è inammissibile, in quanto ambiguo.

Esso infatti lamenta la violazione, da parte della CTR, di disposizioni tra loro eterogenee: da un lato l’art. 112 c.p.c., che sancisce il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, dall’altro gli artt. 115 e 116 c.p.c., relativi ai principi di disponibilità delle prove e di valutazione delle stesse secondo il prudente apprezzamento del giudice.

Il contribuente inoltre non indica in che modo la sentenza impugnata avrebbe violato ciascuna di tali specifiche disposizioni, rendendo una censura generica che impedisce a questa Corte di comprendere l’oggetto della dedotta violazione di legge.

Trova dunque applicazione il principio di diritto, già enunciato da questa Corte, secondo cui “L’esercizio del diritto di impugnazione, infatti, può considerarsi avvenuto in modo idoneo solo qualora i motivi con i quali è esplicato si traducano in una critica alla decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, da considerarsi in concreto e dalle quali non possano prescindere, dovendosi pertanto considerare nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo il motivo che difetti di tali requisiti” (Cass. 21/07/2020, n. 15517).

Tanto premesso, giova poi rilevare che, nella sostanza, la lettura della motivazione della sentenza impugnata, in combinazione con il dispositivo- che ha rigettato l’appello ed espressamente confermato la sentenza di primo grado- induce a ritenere che il giudice a quo abbia implicitamente valutato che, per quanto potesse ritenersi fondata la circostanza della riduzione delle attività del contribuente in ragione dei lavori in questione, essa non giustificasse una riduzione dell’imponibile accertato superiore a quella già effettuata in primo grado sulla scorta di altre circostanze.

6. Con il sesto motivo di ricorso il contribuente lamenta la “violazione di legge della sentenza che si basa su dati ricavati in anni diversi da quello d’imposta e in luoghi di lavoro diversi: D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39″ e l'”omessa pronuncia su fatto contestato”.

Deve escludersi che, nonostante la rubrica del motivo (nella quale non è dedotta la violazione dell’art. 112 c.p.c. e l’omessa pronuncia è riferita ad un “fatto”), si possa agevolmente procedere alla qualificazione giuridica del vizio denunciato – sulla base delle argomentazioni giuridiche ed in fatto svolte dal ricorrente a fondamento della censura (cfr. Cass. 03/08/2012, n. 14026) ed in mancanza di un univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione (cfr. Cass., S. Un., 24/07/2013, n. 17931) – in termini di censura del vizio processuale di omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, su un motivo d’appello del contribuente.

Peraltro, anche così in ipotesi riqualificato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il motivo sarebbe comunque infondato, atteso che l’integrale rigetto dell’appello del contribuente e l’esplicita conferma della sentenza appellata configurano comunque il rigetto, necessariamente implicito, dei motivi dell’appello, comprese le questioni relative alla riferibilità, cronologica e topografica, al caso di specie dei dati valutati dalla CTR.

Tanto premesso, il motivo così come proposto dal ricorrente, ovvero come violazione di legge ed omessa valutazione di un fatto (costituito dalla dedotta discrasia temporale e geografica), è inammissibile, in quanto, con riferimento alla medesima questione, evoca contemporaneamente ed in materia inestricabile tanto il vizio di cui al num. 3 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, quanto quello dettato nel num. 5 della stessa norma, con ciò generando la medesima causa d’inammissibilità ante trattata ai punti 1.1 e 2.2. di questa motivazione, da intendersi qui trascritti con i relativi rimandi giurisprudenziali.

7. Con il settimo motivo il ricorrente lamenta la “violazione di legge per inconferenza dei dati rilevati, relativi a luoghi di lavoro diversi da quelli del contribuente (onere probatorio)” e l'”omessa pronuncia su fatto contestato”.

In particolare, il contribuente, dopo aver svolto alcune generiche considerazioni sull’evoluzione del turismo, evidenzia che lo stazio (luogo di stazionamento della gondola) presso il quale il contribuente svolgeva la propria attività lavorativa presentava caratteristiche peculiari rispetto a quelli presso i quali erano state svolte le rilevazioni della Guardia di Finanza valutate dalla CTR.

Il motivo è inammissibile perchè evoca contemporaneamente ed in maniera indistinta tanto il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, quanto quello dettato nella stessa norma, n. 5, con ciò generando la medesima causa d’inammissibilità ante trattata ai punti 1.1, 2.2. di questa motivazione, da intendersi qui trascritti con i relativi rimandi giurisprudenziali.

Esso è poi ulteriormente inammissibile, sia perchè neppure individua la norma che sarebbe stata violata; sia perchè non coglie la ratio decidendi della sentenza d’appello, che ha invece espressamente preso in esame la questione relativa alle specificità che interessavano lo stazio presso il quale il contribuente svolgeva la propria attività, con riferimento alle opere di rifacimento degli argini da cui era interessato. Tanto meno, poi, il motivo evidenzia dove e come siano state eventualmente documentate, nei giudizi di merito, altre peculiarità dell’approdo in questione, così violando l’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6.

8. Con l’ottavo motivo il contribuente lamenta la violazione del D.P.R. n. 600 del 1972, art. 39, comma 1, lett. d), “per l’inutilizzabilità delle indagini della Guardia di Finanza del 23 luglio 2008”, nonchè “l’omesso esame di un punto contestato”, poichè l’Ufficio non poteva prendere in considerazione i dati relativi a tale unico giorno.

Giova precisare che anche in questo caso il motivo non si presta ad essere qualificato – nè per la rubrica, nè per il corpo – come denuncia di omessa pronuncia su un motivo d’appello, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Peraltro, anche in questo caso, così qualificato il motivo sarebbe infondato, configurandosi comunque un rigetto implicito, perchè integrale, di tutto l’appello.

Si richiamano pertanto i criteri e le argomentazioni di cui al precedente punto 6.

Tanto premesso, il motivo è inammissibile perchè evoca contemporaneamente ed in maniera indistinta tanto il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, quanto quello dettato nel num. 5 della stessa norma, con ciò generando la medesima causa d’inammissibilità ante trattata ai punti 1.1, 2.2. e 7 di questa motivazione, da intendersi qui trascritti con i relativi rimandi giurisprudenziali. Non è infatti univocamente ed inequivocabilmente evincibile dal mezzo dal mezzo se il contribuente intenda denunciare una pretesa violazione di legge, con riferimento alle norme che regolano l’accertamento induttivo; o se piuttosto lamenti l’omesso esame di elementi fattuali che avrebbero escluso la rilevanza indiziaria di dati valutati dall’Amministrazione, trasmodando peraltro anche in apprezzamenti fattuali (in ordine alla natura più o meno piovosa della giornata in questione) ovviamente estranea a questa sede di legittimità.

Per entrambe le ipotesi, inoltre, il motivo non si confronta con la motivazione in diritto ed in fatto della sentenza impugnata, che richiama ulteriori elementi indiziari e che evidenzia come l’ufficio abbia tenuto conto anche di periodi non lavorativi.

9. Con il nono motivo il contribuente lamenta l'”illegittimità dell”avviso di accertamento e della sentenza per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d)”, l'”assenza di presunzioni in genere”, la “differenza tra il giudizio sull’attendibilità delle scritture contabili e presunzioni gravi, precise e concordanti di maggior reddito” e l'”assenza di prova su quest’ultimo”.

La censura investe il ragionamento dell’Ufficio e della sentenza gravata, in ragione di una asserita tautologia dello stesso, relativa all’inattendibilità della contabilità del contribuente; successivamente deduce circostanze di fatto, relative all’avanzata età del contribuente e alla sua condizione di pensionato e malato, in presenza delle quali sarebbe ragionevole presumere che egli lavori per “arrotondare”; deduce poi che l’avviso di accertamento e la sentenza avrebbero omesso di considerare il reddito da pensione, che sommato a quello percepito dal contribuente, gli consentirebbe di vivere in modo dignitoso, contrariamente a quanto affermato dalla CTR; infine, conclude censurando la sentenza sotto i profili della violazione dell’art. 111 Cost., per essere la stessa priva di reale motivazione, nonchè per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, per non aver dichiarato la nullità dell’avviso di accertamento in quanto privo di motivazione, e per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, per aver identificato gli elementi volti ad affermare l’inattendibilità delle scritture contabili con quelli utilizzati per determinare il maggior reddito. Conclude evidenziando che due sono i profili di censura, da individuarsi nell’utilizzo, da parte della sentenza, di dati generalissimi, riferiti all’intera industria del turismo, e non solo dei gondolieri; dall’altro, nell’utilizzo degli stessi criteri impiegati per dichiarare inattendibile il reddito dichiarato al fine di accertarne uno maggiore.

Il motivo è inammissibile, sotto molteplici profili.

In primo luogo, in un unico motivo di ricorso, il contribuente ha articolato molteplici profili di doglianza, taluni relativi alla violazione di specifiche norme processuali e sostanziali, altri inerenti all’insufficienza della motivazione, financo prospettando questioni di fatto.

Trova quindi qui applicazione la medesima ragione d’inammissibilità ante trattata ai punti 1.1, 2.2. e 7 di questa motivazione (da intendersi qui trascritti con i relativi rimandi giurisprudenziali), qui aggravata dal maggior numero di assunti vizi eterogenei coacervati, senza gradazione, nell’unico mezzo, che non possono essere selezionati da questa Corte per individuare quale, tra quelli di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 o 5, il ricorrente abbia inteso effettivamente proporre.

Il motivo è inoltre inammissibile anche perchè si limita a riproporre, sotto la veste del motivo di ricorso per cassazione, tesi difensive svolte nei precedenti gradi di giudizio, senza considerare le ragioni per le quali la CTR le ha disattese.

Nel caso di specie la CTR, nella propria motivazione, ha espressamente considerato le circostanze dell'”età avanzata”, della “malattia che… affligge” il contribuente, della “sua situazione familiare che gli riduce i tempi di lavoro”, ma ha ritenuto le stesse non dirimenti, in quanto l’Ufficio aveva tenuto conto “dell’esistenza di tempi non lavorativi nella determinazione dei ricavi”. La Corte di merito ha dunque espressamente preso in considerazione tali elementi, e la censura in merito agli stessi si traduce in un’ulteriormente inammissibile istanza di riesame del fatto, precluso alla Corte di legittimità.

Per quanto concerne l’asserita violazione dell’art. 111 Cost. e del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 42, la censura è generica, e come tale inammissibile, risolvendosi in un’affermazione di principio.

Quanto al rilievo che la sentenza faccia riferimento a dati generalissimi relativi all’intera industria del turismo, il contribuente dimostra di non aver colto la ratio della decisione impugnata, nell’ambito della quale il riferimento allo sviluppo del settore del turismo a Venezia non fonda, sic et simpliciter la declaratoria di legittimità dell’avviso di accertamento, ma, piuttosto, costituisce elemento in presenza del quale la CTR reputa maggiormente attendibili gli elementi di prova offerti dell’Ufficio circa l’esistenza di un sistema turnario nella gestione degli stazi, che legittima l’imputazione, al contribuente, dei ricavi medi del settore.

Infine, per quanto concerne la censura secondo cui i i criteri addotti per ritenere non credibile il reddito dichiarato non potrebbero essere utilizzati per la rideterminazione del maggior reddito, va ricordato che questa Corte ha già chiarito che “L’accertamento del reddito mediante applicazione del metodo analitico-induttivo può avvenire sia in presenza degli elementi di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), sia in presenza di “gravi incongruenze” tra i ricavi dichiarati e quelli che è ragionevole attendersi alla luce delle caratteristiche e delle condizioni di esercizio dell’attività svolta, elevate dal legislatore ad elemento presuntivo del maggior reddito conseguito dal contribuente” (Cass. 04/03/2020, n. 6040).

10. Con il decimo motivo il contribuente lamenta la violazione dell’art. 53 Cost, in quanto, secondo la prospettazione del contribuente, la sentenza contrasterebbe con il principio di effettività della capacità contributiva, che esclude la mera operazione logica di supposizione di un reddito.

Il motivo è inammissibile.

Questa Corte ha infatti già enunciato il principio in forza del quale “La violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente col motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata” (Cass. 15/06/2018, n. 15879), che non si ravvisa nello stringato contenuto del mezzo in rassegna.

11. Con l’undicesimo motivo di ricorso il contribuente lamenta la violazione del D.P.R. n. 600 del 1972, art. 39, per essere “i dati generali utilizzati dalla sentenza e dall’avviso privi di rilevanza ai fini dell’accertamento del reddito”, in quanto, nell’anno d’imposta 2005, lo stazio presso il quale il contribuente svolgeva la propria attività era stato gravemente penalizzato da lavori di ristrutturazione, le condizioni metereologiche erano state avverse e nei mesi invernali le attività del gondoliere erano ridotte.

Il motivo è inammissibile.

Il contribuente, sotto l’etichetta della violazione di norme di legge, deduce mere questioni di fatto (prescindendo anche dall’esame della loro relazione con il tessuto motivazionale della sentenza d’appello), in merito alle quali il sindacato di legittimità può estendersi esclusivamente sotto il profilo e nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che non coincide con il motivo in esame.

12. Con il dodicesimo motivo il contribuente lamenta l’illegittimità dell’avviso, per l’assenza di presunzioni alla luce del principio di ragionevolezza e di buon senso nel caso concreto, non potendosi pretendere che il contribuente, anziano e malato, lavori come i colleghi sani,

Il motivo è inammissibile sotto plurimi profili. Innanzitutto esso ha ad oggetto l’avviso di accertamento e non la sentenza impugnata, e ripropone dunque questioni di merito senza investire specificamente le statuizioni della sentenza; in secondo luogo, esso viola il principio in ragione del quale il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, e il vizio lamentato non è inquadrato dal ricorrente tra quelli elencati all’art. 360 c.p.c., comma 1; infine, esso prescinde totalmente dall’impianto motivazionale della sentenza impugnata, la quale, come più ampiamente espresso supra, ha specificamente motivato in ordine all’irrilevanza delle peculiari condizioni di salute del contribuente al fine della rideterminazione del reddito accertato, in quanto l’Ufficio aveva determinato lo stesso considerando i giorni di effettivo lavoro del contribuente.

13. Con il tredicesimo motivo di ricorso il contribuente lamenta l’illegittimità dell’avviso di accertamento alla luce delle sentenze delle Sezioni Unite del 10 dicembre 2009 nn. 26635, 26636, 26637 26638, in quanto lo stesso sembrerebbe accomunabile agli studi di settore, che sono mezzi di accertamento del reddito, ma non di determinazione del reddito, e perchè lo stesso non è stato preceduto dal contraddittorio preventivo, necessario ogni qualvolta si proceda ad accertamenti standardizzati, anche in assenza di una esplicita previsione normativa.

14. Con il quattordicesimo motivo di ricorso il contribuente lamenta la nullità dell’avviso d’accertamento per omesso contraddittorio preventivo.

14.1. I due motivi, da trattarsi congiuntamente, sono inammissibili, sotto plurimi profili. Innanzitutto perchè le relative questioni risultano proposte per la prima volta in sede di giudizio di legittimità, considerato che il ricorrente non deduce di averle già introdotte nel ricorso introduttivo in secondo luogo e non le include nella sintesi del contenuto di tale atto proposta nell’antefatto del ricorso per cassazione; nè tali censure son incluse nel dettagliato riferimento della sentenza impugnata al ricorso introduttivo di primo grado.

Inoltre le stesse censure non investono direttamente la sentenza impugnata, ma l’avviso di accertamento, in tal modo fraintendendo la natura del giudizio di legittimità, che non costituisce un terzo grado di merito, ma un giudizio che investe la legittimità della sentenza sotto profili di critica vincolata.

Peraltro, la censura relativa all’omesso espletamento del contraddittorio preventivo è altresì infondata, trattandosi di accertamento analitico-induttivo (cfr. Cass. 23/01/2020, n. 1505, in motivazione, al punto 7.1).

15. Con il quindicesimo motivo il contribuente lamenta la violazione dell’art. 91 c.p.c., per aver la CTR condannato il contribuente alla refusione delle spese di giudizio nonostante il parziale accoglimento dell’appello.

Il motivo è infondato perchè la sentenza impugnata, come emerge dal dispositivo della stessa e come del resto deduce senza riserve lo stesso contribuente nel ricorso (cfr. pag. 3), ha rigettato l’appello ed espressamente confermato la sentenza di primo grado, collegando infatti, nella motivazione, la decisione sulle spese di lite alla soccombenza.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2021

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA