Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8743 del 30/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 30/03/2021, (ud. 03/12/2020, dep. 30/03/2021), n.8743

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

Dott. VECCHIO Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11904-2017 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio

dell’Avvocato GUGLIELMO FRANSONI, che lo rappresenta e difende

giusta procura speciale estesa in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI SALERNO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’Avvocato ALFREDO PLACIDI,

rappresentato e difeso dagli Avvocati ANNA ATTANASIO e ROSA RUSSO

giusta procura speciale estesa in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9579/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 4/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 3/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott.ssa

ANTONELLA DELL’ORFANO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

M.M. propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Campania aveva accolto parzialmente l’appello del Comune di Salerno avverso la sentenza n. 1879/2015 della Commissione Tributaria Provinciale di Salerno, che aveva accolto il ricorso proposto avverso avviso di accertamento per omesso e infedele versamento ICI 2008 relativamente ad alcuni fabbricati ed aree edificabili del contribuente;

il Comune resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. con il primo mezzo si denuncia violazione di norme di diritto (art. 2697 c.c.), in quanto la sentenza di secondo grado avrebbe erroneamente respinto le doglianze del contribuente circa l’ammontare dell’imposta applicata in relazione ad errato calcolo del valore venale dei beni risultante da delibera comunale, basata su perizia di stima, deducendo che fosse posto a carico dell’Amministrazione la prova circa il maggior valore accertato;

1.2. le censure vanno disattese;

1.3. occorre premettere che in tema di ICI le delibere con le quali la giunta municipale provvede ai sensi della L. n. 446 del 1997, art. 52, ad indicare i valori di riferimento delle aree fabbricabili costituiscono esercizio del potere riconosciuto al Consiglio Comunale dalla citata L. n. 446, art. 59, lett. G., e riassegnato alla Giunta dal D.Lgs n. 267 del 2000, di determinare periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili, al fine della delimitazione del potere di accertamento del Comune qualora la imposta sia versata in misura non inferiore a quella predeterminata, e rappresentano fonti di presunzioni utilizzabili dal Giudice, al pari del c.d. “redditometro” (Cass. n. 16702 del 2007; Cass. n. 15552 del 2010; Cass. n. 17248/2019) ma non hanno valore imperativo ed ammettono prova contraria;

1.4. i Giudici di appello, pertanto, hanno correttamente applicato il suddetto principio, ritenendo accertata l’esistenza di specifici elementi di fatto dai quali ha desunto legittimamente il valore venale dei beni tassati sulla base della perizia di stima operata dall’Amministrazione finanziaria, dei “criteri di stima colà trasfusi”, ritenendo insufficienti a dimostrare un diverso valore gli elementi addotti dal contribuente, quali “la determinazione giudiziale di un valore risalente ad una previa determinazione dell’Agenzia dei Territorio di Salerno”;

2.1. con il secondo motivo il ricorrente denuncia omessa pronuncia sulla doglianza, ritualmente riproposta nelle controdeduzioni depositate in grado di appello (e trascritta in parte qua nei ricorso per cassazione), circa l’illegittimità dell’atto impugnato per mancata instaurazione del contraddittorio preventivo;

2.2. al riguardo va ribadito che in tema di processo tributario, a carico della parte appellata vittoriosa in primo grado, non sussiste alcun onere di specifica contestazione dei motivi d’appello, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 57 e 58, essendo il theme probandum già fissato in primo grado, in quanto unico suo onere è quello di riproporre le questioni e le eccezioni non accolte in primo grado, intendendosi altrimenti rinunciate, citato D.Lgs. n. 546, ex art. 56, che ricalca l’art. 346 c.p.c. (cfr. Cass. n. 29368 del 2017);

2.3. la doglianza è quindi fondata atteso che nella sentenza impugnata risulta del tutto omesso l’esame della dedotta questione;

2.4. ciò posto, va tuttavia richiamato l’insegnamento di questa Corte secondo cui, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111 Cost., comma 2, nonchè di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (cfr. Cass. n. 16171 del 2017, e Cass. n. 2313 del 2010);

2.5. la questione posta con il secondo motivo dell’odierno ricorso va quindi esaminata per verificare se possa essere decisa in astratto, prescindendo da riscontri fattuali, in quanto ove la risposta alla questione, posta nei motivi non esaminati dal Giudice d’appello, sia negativa, si potrebbe pervenire senz’altro alla definizione del giudizio in sede di legittimità, mentre la risposta positiva dovrebbe invece portare alla cassazione con rinvio, affinchè il Giudice di merito verifichi in primo luogo la sussistenza o meno delle indicazioni necessarie a pena di nullità;

2.6. nella specie, la questione va risolta nel primo dei due sensi sulla base delle considerazioni che seguono;

2.7. premesso che l’atto impositivo tributario presenta una sua specificità nell’ambito degli atti amministrativi, donde ad essi non consegue un’automatica applicabilità delle norme in tema di procedimento amministrativo (cfr. Cass. sez. 5, 18 settembre 2015, n. 18488), va ribadito anche in tale sede il principio, affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. n. 24823 del 2015), secondo cui, limitato l’ambito di applicabilità della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, ai soli casi di accessi, ispezioni o verifiche presso il locali del contribuente, “in tema di tributi c.d. non armonizzati, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi cd. armonizzati, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purchè, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto” (tra la successiva giurisprudenza conforme si vedano, tra le altre, Cass. 2017, n. 2875; Cass. 2017, n. 10030; Cass. 2017, n. 20799; Cass. 2017, n. 21071; Cass. 2017, n. 26943; Cass. 2018, n. 2873; Cass. 2018, n. 26579);

2.8. ne consegue, ad ogni evidenza, che, vertendosi in tema di accertamento riguardante l’ICI, tributo locale, in relazione al quale va esclusa la sussistenza di un obbligo generalizzato di contraddittorio, la censura del ricorrente va respinta;

3. per quanto fin qui osservato il ricorso va integralmente rigettato;

4. le spese della presente fase di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio in favore del controricorrente, liquidandole in Euro 1.400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, se dovuti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, in collegamento da remoto, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, il 3 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2021

 

 

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