Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8743 del 15/04/2011

Cassazione civile sez. III, 15/04/2011, (ud. 09/03/2011, dep. 15/04/2011), n.8743

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. LEVI Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 7128/2009 proposto da:

C.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, PIAZZA CRATI 20, presso lo studio dell’avvocato SABATINI

LUIGI, rappresentato e difeso dall’avvocato MACERA Antonino giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.A. (OMISSIS);

– intimato –

nonchè da:

P.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA G. FERRARI 11, presso lo studio dell’avvocato VALENZA DINO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato DI TEODORO

FRANCO giusta procura a margine del controricorso e ricorso

incidentale condizionato;

– ricorrente incidentale –

e contro

C.C. (OMISSIS);

– intimate –

avverso la sentenza n. 695/2008 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

emessa il 15/10/2008, depositata il 27/11/2008; R.G.N. 45/2008.

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

09/03/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI GIACALONE;

udito l’Avvocato FERRARO GIORGIO (per delega Avvocato MACERA

ANTONINO);

udito l’Avvocato VALENZA DINO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale assorbito l’incidentale.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

C.C. ha impugnato per cassazione, sulla base di tre motivi, illustrati con memoria, la sentenza della Corte d’appello dell’Aquila, depositata il 27.11.2008, con la quale, in riforma della sentenza di primo grado, è stata accolta la domanda di risoluzione del contratto di locazione commerciale stipulata dal predetto con P.A. (e di condanna al pagamento di canoni arretrati).

Riteneva la Corte che con unico atto P.L. si obbligava a vendere l’azienda di panificazione e il padre P.A. a dare in locazione l’immobile ove l’azienda stessa avrebbe svolto la propria attività; i due distinti contratti conservavano la propria individualità, con la conseguenza che il C., per difetti relativi ai macchinari dell’azienda, non poteva invocare l’eccezione d’inadempimento, che, anche se esistente, non sarebbe stato riferibile al locatore.

Resiste con controricorso il P., proponendo anche ricorso incidentale condizionato – illustrato da memoria – rispetto alla questione sollevata con il secondo motivo del ricorso principale.

I ricorsi vanno riuniti, essendo stati proposti avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.).

Con il primo motivo, il ricorrente, deducendo omessa ed insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo, in relazione alla violazione dell’art. 112 c.p.c. e degli artt. 1346 e 1418 c.c., chiede alla Corte di verificare se, in tema di contratto di locazione commerciale per lo svolgimento dell’attività di panificazione specificamente pattuita in contratto, la mancanza del certificato prevenzione incendi, la revoca della licenza di panificazione, la mancanza dei requisiti dei bagni, l’inidoneità dell’impianto elettrico alle previsioni legislative integrano l’inidoneità dell’immobile all’uso convenuto e, quindi, l’impossibilità – illiceità dell’oggetto e, conseguentemente, la nullità del contratto ed il recesso del conduttore per l’impossibilità di perseguire lo scopo convenuto.

Con il secondo motivo, il ricorrente deduce insufficienza e contraddittorietà della motivazione per violazione delle norme sull’interpretazione degli atti negoziali (art. 1362 c.c., e segg.) e tale da non consentire la ricostruzione dell’iter logico per giungere alla decisione di ritenere il contratto di cessione di azienda ed il contratto di locazione dell’immobile come due distinti contratti invece che avvinti teleologicamente da un nesso di reciproca interdipendenza.

Con il terzo motivo, il ricorrente, deducendo violazione dell’art. 1455 c.c. in rel. alla L. n. 392 del 1978, art. 5, nella parte in cui la Corte d’appello ha ritenuto che il conduttore non può sospendere il pagamento del canone in caso di sopravvenuti constatati difetti della cosa locata, chiedendo ala Corte di verificare se, poichè la buona fede si pone come governo della discrezionalità delle parti nell’esecuzione del contratto, è ammissibile l’eccezione del conduttore di risoluzione del contratto di locazione commerciale per l’attività di panificazione nell’ipotesi di inesatto o totale inadempimento dell’obbligazione principale assunta dal locatore di consegnare l’immobile idoneo all’uso.

Tutte le censure si rivelano prive di pregio.

Il primo ed il terzo motivo si rivelano inammissibili. Il primo motivo contiene, oltre alla denuncia di vizi di motivazione, anche la deduzione di violazioni di specifiche norme di legge. Si tratta di censure inammissibili, perchè formulate contestualmente. Poichè l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (art. 366 bis c.p.c.), l’esposizione in unico contesto di censure aventi ad oggetto violazione di legge e vizi della motivazione costituisce negazione della regola di chiarezza posta dalla norma appena citata, perchè si affida alla Corte di cassazione il compito di enucleare dalla mescolanza dei motivi la parte concernente il vizio di motivazione, che invece deve avere un’autonoma collocazione (Cass. n. 9470/08; nonchè 20355/08 e 7394/10, in motivazione). Inoltre, la questione dell’omesso rilievo di asserite nullità del contratto di locazione si rivela anch’essa inammissibile, sia perchè non correttamente prospettata sotto il profilo della violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, sia perchè, in ogni caso, non essendo le circostanze riferite nel motivo rapportate a specifiche statuizioni della sentenza impugnata e non risultando, quindi, che la sentenza si sia occupata delle stesse, il ricorrente avrebbe dovuto specificare se ed in quali precisi termini le stesse fossero state sottoposte ai giudici di merito nelle pregresse fasi.

Si deve, infatti ribadire che, ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. n. 6656/04; 28480/05; 25546/06).

Privo di pregio è anche il secondo motivo. Si deve ribadire che l’individuazione della volontà negoziale – che si risolve in un accertamento di fatto, istituzionalmente riservato al giudice di merito – è censurabile non già quando le ragioni addotte a sostegno sono diverse da quelle della parte, bensì allorchè esse sono insufficienti o inficiate da contraddittorietà logica o giuridica (Cass. 28.8.2001 n. 11289; Cass. 12.3.1994 n. 2415; Cass. 2.2.1996 n. 914; Cass. 25.2.1998 n. 3142). Nella specie, il ricorrente non ha indicato quali criteri ermeneutici sarebbero stati violati nella ricostruzione della volontà negoziale, la quale si rivela immune da vizi logici o giuridici, sicchè le doglianze si risolvono in un’inammissibile richiesta di nuova qualificazione giuridica di fatti ormai definitivamente accertati in sede di merito, dato che la parte ricorrente, lungi dal prospettare alcun vizio rilevante della sentenza gravata sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, si limita ad invocare una diversa lettura del contenuto di atti negoziali come accertati, ricostruiti ed interpretati dalla corte di merito. Nelle parti in cui prospettano vizi di motivazione, le censure non tengono conto, quanto all’interpretazione adottata dai giudici di merito con riferimento al contenuto del complesso contesto negoziale sottoposto al loro vaglio, che in tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma esclusivamente il rispetto dei canoni legali di ermeneutica e la coerenza e logicità della motivazione addotta (Cass. n. 4178/07; 13579/04; 9091/04;

2074/2002): l’indagine ermeneutica, è, dunque, riservata esclusivamente al giudice di merito, e può essere censurata in sede di legittimità solo per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle relative regole di interpretazione, con la conseguenza che deve essere ritenuta inammissibile ogni critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca solo nella prospettazione di una diversa valutazione rispetto a quella in concreto adottata.

La censura, inoltre, non tiene conto che il collegamento negoziale non da luogo a un nuovo ed autonomo contratto, ma è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, che viene realizzato non per mezzo di un singolo contratto ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è finalizzato ad un unico regolamento dei reciproci interessi. Pertanto, in ipotesi siffatte, il collegamento, pur potendo determinare un vincolo di reciproca dipendenza tra i contratti, non esclude che ciascuno di essi si caratterizzi in funzione di una propria causa e conservi – come nella specie – una distinta individualità giuridica (Cass. n. 18884/08; 14611/05), come hanno puntualmente affermato i giudici di appello allorchè hanno rilevato la distinzione tra i pur contestuali contratti di cessione di azienda (intercorso tra la figlia del resistente e l’odierno ricorrente) e quello di locazione (concluso tra le parti del presente giudizio), tanto che l’azienda ceduta (panificio) ben avrebbe potuto svolgere la sua attività in un altro locale, così come nell’immobile locato ben avrebbe potuto essere svolta una diversa attività commerciale.

Del resto, accertare la natura, l’entità, le modalità e le conseguenze del collegamento negoziale realizzato dalle parti rientra nei compiti esclusivi del giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (Cass. n. 11974/10;

25274/08; 24792/08; 415/06; 11240/03).

Anche il terzo motivo non coglie nel segno. La Corte drappello – una volta verificata, con motivazione sufficiente ed immune da vizi logici e giuridici, l’impossibilità per il C. d’invocare l’eccezione d’inadempimento ex art 1460 c.c., per difetti relativi ai macchinari dell’azienda, non essendo il preteso inadempimento riferibile al locatore, stante l’individualità del rapporto di cessione d’azienda concluso con altro soggetto rispetto a quello di locazione dedotto in giudizio – aveva in realtà esaurito la delibazione delle ragioni delle parti. L’ulteriore sviluppo argomentativo della sentenza ha una funzione rafforzativa nel senso che la Corte territoriale ha ritenuto che, peraltro, anche in caso di difetti della cosa locata, il conduttore non avrebbe potuto sospendere il pagamento del canone, rimanendo nella detenzione della cosa e continuando a goderne, pena uno squilibrio nel sinallagma contrattuale. Sicchè, a prescindere dall’idoneità o meno del relativo “quesito”, la censura non ha carattere di decisività, fondandosi la sentenza impugnata già sulla sola verifica della non riferibilità al locatore dei “vizi” lamentati dal C.. Deve infatti ribadirsi che le affermazioni ad abundantiam contenute nella motivazione della sentenza, consistente in argomentazioni rafforzative di quella costituente la premessa logica della statuizione contenuta nel dispositivo, vanno considerate di regola superflue, essendo improduttive di effetti giuridici, e quindi irrilevanti ai fini della censurabilità qualora l’argomentazione rafforzata sia per sè sufficiente a giustificare la pronuncia adottata (Cass. n. 23635/10; 13668/07; 10420/05; 11160/04; 9963/02;

5778/88).

Il rigetto delle censure del ricorso principale, in particolare del secondo motivo, assorbe ogni decisione in ordine al motivo di ricorso incidentale, espressamente condizionato, relativo alla medesima questione del collegamento negoziale.

Ne deriva il rigetto del ricorso principale, assorbito l’incidentale.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi Rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.800,00, di cui Euro 2.600,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2011

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