Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8742 del 04/04/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 04/04/2017, (ud. 22/02/2017, dep.04/04/2017),  n. 8742

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18580-2015 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA, C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

EUROPA 190, presso l’AREA LEGALE TERRITORIALE DEL CENTRO POSTE

ITALIANE, rappresentata e difesa dagli avvocati ROBERTA AIAZZI e

LUIGI GIACOMO TOMMASO ZUCCARINO;

– ricorrente –

e da:

B.D., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE CLODIO,

56, presso lo studio dell’avvocato MARIA IMMACOLATA AMOROSO,

rappresentata e difesa dall’avvocato TIZIANA CAPRIGLIONE;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 2664/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 11/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 22/02/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso che il Collegio ha deliberato la redazione della motivazione dell’ordinanza in forma semplificata, ai sensi del decreto del primo Presidente in data 14/9/2016;

Rilevato:

1. che la Corte di appello di Roma, in riforma della decisione di primo grado, in parziale accoglimento dell’appello della lavoratrice, ha dichiarato la nullità del termine apposto al contratto inter partes e la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dal 22.1.2008, con inquadramento della lavoratrice nel livello D – addetta allo sportello; ha condannato Poste Italiane s.p.a. al pagamento di un’indennità commisurata a cinque mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali con decorrenza dalla data della decisione.; 1.1 che il decisum del giudice di appello è stato fondato sulle seguenti considerazioni: è da escludere la risoluzione per mutuo consenso del rapporto in assenza di elementi significativi di una volontà negoziale intesa alla risoluzione del rapporto ulteriori rispetto al lasso di tempo trascorso fra la cessazione del rapporto e l’iniziativa della lavoratrice intesa a far valere la nullità del termine; il contratto stipulato reca una causale per la quale risultano indicati l’ambito territoriale di riferimento, il luogo ed il tempo della prestazione lavorativa e le mansioni per le quali il lavoratore è stato assunto; mancano invece indicazioni relative al numero dei lavoratori assenti perchè interessati da processi di mobilità per i quali si sarebbe resa necessaria l’assunzione di personale a termine e specificamente di quella dell’appellante; la prova articolata a riguardo è inammissibile perchè generica, mancando ogni riferimento sia all’effettiva carenza presso l’ufficio di destinazione, di personale addetto alla specifica mansione, sia del nesso causale tra quella carenza e l’assunzione dell’appellante, sia infine, di dati numerici di riferimento atti a consentire il riscontro di “effettività” delle esigenze alla base della assunzione; tale carenza si riflette sull’impossibilità di dimostrare il rapporto di derivazione causale tra quella carenza e l’assunzione della lavoratrice; a tanto consegue la nullità del termine e l’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato; tenuto conto dei criteri di cui alla L. n. 183 del 2010. art. 32 l’indennità risarcitoria contemplata da detta previsione viene commisurata a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto; le difficoltà interpretative sottese alla normativa che regola la materia e l’esistenza di contrasti giurisprudenziali, rende equa la integrale compensazione delle spese del doppio grado;

2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Poste Italiane s.p.a. sulla base di due motivi;

3. che la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso con contestuale ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo;

Considerato:

4. che con il primo motivo del ricorso principale si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., comma 2, censurandosi la decisione per avere escluso la risoluzione, per mutuo consenso, del rapporto inter partes;

4.1 che con il secondo motivo del ricorso principale si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 e violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per omesso esame dei documenti e prove prodotti in primo grado e circa i fatti decisivi del giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5;

5. che il primo motivo di ricorso principale è manifestamente infondato alla luce della consolidata giurisprudenza di legittimità, la quale ha più volte affermato che “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v. Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-122004 n. 23554, nonchè da ultimo Cass. 18-11-2010 n. 23319, Cass. 113-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n. 16932). La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, quindi, “è di per sè insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso” (v. da ultimo Cass. n. 23057 del 2010, n. 5887 del 2011), mentre “grava sul datore di lavoro”, che eccepisca tale risoluzione, “l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v. n. 17070 del 2002 e fra le altre da ultimo Cass. n. 2279 del 2010., n. 23057 del 2010, n. 5887 del 2011); neppure possono essere considerati sintomatici della volontà risolutiva l’accettazione del tfr e la mancata offerta della prestazioni lavorativa; comportamenti entrambi non interpretabili, per assoluto difetto di concludenza, come tacita dichiarazione di rinunzia ai diritti derivanti dalla illegittima apposizione dei termine (cfr., Cass. n. 15628 del 2001, in motivazione). Lo stesso dicasi della condotta di chi sia stato costretto ad occuparsi o comunque cercare occupazione dopo aver perso il lavoro per cause diverse dalle dimissioni” (cfr. Cass. n. 839 del 2010, in motivazione, nonchè, in senso analogo, Cass., n. 15900 del 2005, in motivazione).

5.1 che tale principio, del tutto coerente con il dettato di cui agli art. 1372 e 1321 c.c., va ribadito anche in questa sede, così confermandosi l’indirizzo prevalente otinai consolidato, basato in sostanza sulla necessaria valutazione dei comportamenti e delle circostanze di fatto, idonei ad integrare una chiara manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del rapporto, non essendo all’uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo e neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto; dovendosi escludere che la percezione del c(Ndr: testo mancante da originale).

5.2 che la sentenza impugnata risulta conforme alla giurisprudenza richiamata laddove ha escluso che il mero decorso del tempo, l’accettazione del tfr e la breve durata del rapporto configurassero espressione di volontà negoziale intesa alla risoluzione dello stesso;

6. che il secondo motivo di ricorso non è articolato con modalità idonee alla valida censura della statuizione in tema di genericità della prova offerta da Poste sotto il profilo del nesso causale tra la singola assunzione e le esigenze rappresentate in contratto, nesso che rappresenta una delle due autonome rationes clecidendi alla base della conferma della statuizione di illegittimità del termine. Invero le deduzioni intese, in tesi, a contrastare tale affermazione risultano affidate a circostanze di fatto evocate mediante generico rinvio ai documenti di causa e senza che, in violazione dell’art. 366 bis c.p.c., venga trascritto il contenuto della documentazione ivi richiamata. In particolare con riferimento al piano di mobilità aziendale dell’ottobre 2007, alla base degli assunti difensivi della società, non è specificato se e dove lo stesso risultava depositato nella fasi di merito;

che a tanto consegue la declaratoria di inammissibilità del secondo motivo del ricorso principale.

7. che l’unico motivo di ricorso incidentale, con il quale si censura la decisione per avere disposto la integrale compensazione delle spese di lite, è manifestamente fondato;

7.1 che invero il presente giudizio è iniziato con ricorso depositato in data 20.12.2011 (v. ricorso principale pag. 2) di talchè risulta assoggettato alla modifica introdotta dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 11, che – per i giudizi instaurati successivamente alla sua entrata in vigore – il 4-7-2009 – ha previsto che “se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese fra le parti”;

7.2 che, con riguardo alla presente fattispecie non viene, pertanto, in rilievo, ratione temporis, la ulteriore modifica – dal D.L. 1 settembre 2014, n. 132, art. 13, comma 1 convertito, con modificazioni, in L. 10 novembre 2014, n. 162, applicabile ai procedimenti introdotti a decorrere dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione, nel senso che limita la compensazione alle ipotesi di soccombenza reciproca “ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti”.

7.3 che la locuzione “gravi ed eccezionali ragioni” è stata ricondotta nell’interpretazione offerta dalle Sezioni Unite di questa Corte nell’alveo delle “norme elastiche”, quale clausola generale che il legislatore ha previsto per adeguarla ad un dato contesto storico-sociale o a speciali situazioni, non esattamente ed efficacemente determinabili a priori, ma da specificare in via interpretativa da parte del giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche (Cass. Sez. Un., n. 2572 del 2012);

7.4 che le ragioni alla base della statuizione di integrale compensazione delle spese, ancorate dal giudice d’appello alla esistenza di contrasti giurisprudenziale, come già ritenuto da questa Corte non è conforme al parametro normativo (v. tra le altre, Cass. n. 1521 del 2016);

7.5 che, invero, premesso che l’accertamento della effettiva esistenza di tale contrasto giurisprudenziale è questione di fatto non rilevante nel giudizio che involge la denuncia di violazione di legge per errata interpretazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, (e dunque questione estranea al motivo di ricorso), deve escludersi che la situazione indicata, nei termini di cui alla sentenza impugnata, possa integrare i presupposti cui il nuovo art. 92 c.p.c., comma 2, condiziona la possibilità di disporre la compensazione delle spese di lite in quanto se il riferimento all’obiettiva controvertibilità della questione affrontata, in mancanza di precedenti giurisprudenziali di legittimità, poteva integrare, nel previgente regime delle spese e nel contesto della verifica del vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5), un’argomentazione non incongrua, nè illogica, il medesimo argomento non pare potere essere addotto come “grave ed eccezionale ragione” atta a giustificare la compensazione delle spese.

7.6. che difatti, non può attribuirsi alla semplice esistenza di un contrasto interpretativo su una determinata questione – soprattutto in presenza di soluzioni interpretative non ancora passate al vaglio del giudizio di legittimità, tanto più se riguardanti controversie di carattere seriale o comunque costituenti un contenzioso diffuso su tutto il territorio nazionale – il carattere dell” eceeionalità”, ossia di un evento che si presenta di rado rispetto alla normalità.

7.7. che neppure è ravvisabile il requisito della “gravità”, il quale va apprezzato – nella sua portata oggettiva – nella misura in cui l’evento o la situazione che ne è alla base abbiano prodotto effetti concreti sull’esito del processo o sul suo svolgimento, mentre, all’evidenza, l’esistenza di un contrasto nella giurisprudenza di merito, ossia la presenza di soluzioni interpretative di segno diverso da quello fatto proprio nella sentenza, resta estranea da tale novero di fatti o eventi, in mancanza di specificazioni ulteriori che consentano di meglio definire la rilevanza determinante, nel caso di specie, dell’esistenza dei precedenti giurisprudenziali (di merito) difformi dalla soluzione nella specie adottata (Cass. n. 1521 del 2016 cit.);

8. che a tutto quanto sopra, previa riunione dei ricorsi, principale ed incidentale, consegue il rigetto del ricorso principale, l’accoglimento di quello incidentale e la cassazione della decisione in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altro giudice dis econdo grado che si designa nella Corte di appello di Roma, in diversa composizione;

8.1 che al giudice del rinvio è demandato anche il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per il regolamento delle spese del giuidizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2017

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