Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 874 del 17/01/2020

Cassazione civile sez. I, 17/01/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 17/01/2020), n.874

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 20538-2018 proposto da:

A.M., domiciliato in ROMA, presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato VITTORIA

LUPI giusta procura speciale estesa in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA n. 6302/2018, depositato

il 18.5.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28.11.2019 dal Consigliere Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

A.M., cittadina nigeriana, propone ricorso, affidato a sei motivi, per la cassazione del provvedimento indicato in epigrafe, con cui il Tribunale di Ancona ha respinto il ricorso da lei presentato contro il provvedimento della Commissione territoriale, di diniego della sua richiesta di protezione internazionale, sub specie di riconoscimento dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria, o, in subordine, di protezione umanitaria;

il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1.la ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la violazione del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., in quanto il provvedimento della Commissione territoriale notificatole, fatta eccezione per il dispositivo, non è stato tradotto in una lingua a lei nota (pidgin o inglese); b) con il secondo, il quarto e il quinto motivo la carenza assoluta (di) o l’omessa (o insufficiente o contraddittoria) motivazione in ordine alle ragioni di rigetto di tutte le domande, rilevando che il tribunale ha ritenuto i fatti da lei narrati confinati ad una vicenda di vita privata e di giustizia comune, ancorchè ella avesse riferito, con dovizia di particolari, di essere espatriata per sfuggire alle minacce subite a seguito del rifiuto di convertirsi all’islam, di aver sporto denuncia dopo aver subito violenza sessuale senza ottenere alcuna protezione ed avesse prodotto anche certificazione medica a riguardo; con il terzo motivo la violazione dell’art. 738 c.p.c., comma 3 e artt. 359 e 184 c.p.c. per non avere il tribunale proceduto alla sua audizione, omettendo di utilizzare tutti i mezzi a disposizione per raccogliere le prove necessarie a sorreggere la domanda; con il sesto motivo, la violazione dell’art. 10 Cost., stante il mancato riconoscimento del diritto di asilo nonostante la sua provenienza da un Paese ove è impedito l’esercizio delle libertà democratiche;

1.2. il primo motivo è inammissibile;

secondo l’orientamento consolidato di questa Corte (cfr. Cass. nn. 11295/2019;. 7385/2017, 11871/2014;. 24453/2011), la nullità del provvedimento amministrativo emesso dalla Commissione territoriale, per omessa traduzione in una lingua conosciuta dall’interessato o in una delle lingue veicolari, non esonera il giudice adito dall’obbligo di esaminare il merito della domanda, poichè oggetto della controversia non è il provvedimento negativo ma il diritto soggettivo alla protezione internazionale invocata, sulla quale comunque il giudice deve statuire; l’eventuale nullità del provvedimento della Commissione non rileva dunque in sè, ma solo se abbia determinato un pregiudizio del diritto di difesa del richiedente, che nella specie non è stato neppure prospettato e che, deve, comunque, ritenersi insussistente, atteso che, nonostante la mancata traduzione, la ricorrente ha proposto il ricorso nel termine di 30 giorni dalla sua notificazione;

1.5. le censure inerenti la carenza di motivazione (fattispecie in cui va ricompresa anche l’ipotesi di motivazione meramente apparente) sono invece fondate;

1.6. il tribunale ha respinto le domande di A.M. rilevando che “le dichiarazioni “del ricorrente” in merito alle motivazioni che “lo” avrebbero costretto a lasciare il proprio Paese, anche laddove credibili, restano confinate nei limiti di una vicenda di vita privata e di giustizia comune, atteso che gli aspetti evidenziati in ricorso integrano personali timori… e non sussiste una condizione oggettiva di pericolo direttamente riferibile “al ricorrente” in relazione alla situazione della zona geografica di provenienza…”.

1.4. sennonchè, poichè il decreto difetta della, quantomeno, concisa esposizione dei fatti allegati a fondamento del diritto preteso (non avendo il giudice minimamente accennato alla vicenda narrata dalla richiedente asilo), detta motivazione si risolve in una formula astratta e stereotipata, valevole per un numero indefinito di casi, presumibilmente adottata con la tecnica del “copia e incolla” (come si desume anche dal fatto che il tribunale parla di A. sempre al maschile), che non consente di verificare la correttezza del ragionamento logico-giuridico posto a base della decisione;

1.5. il tribunale, in buona sostanza, pur non escludendo (ed anzi esplicitamente accertando, alla pag. 10 del decreto) la credibilità del racconto della ricorrente, ha apoditticamente ritenuto insussistente il pericolo di danno grave dalla stessa concretamente allegato, omettendo di valutarne l’effettiva ricorrenza alla luce dei consolidati e condivisi indirizzi di questa Corte secondo cui: a) quando il richiedente alleghi il timore di essere soggetto nel suo paese di origine ad una persecuzione a sfondo religioso o comunque ad un trattamento inumano o degradante fondato su motivazioni a sfondo religioso, il giudice deve effettuare una valutazione sulla situazione interna del Paese di origine del richiedente, indagando espressamente l’esistenza di fenomeni di tensione a contenuto religioso, senza che in direzione contraria assuma decisiva rilevanza il fatto che il richiedente non si sia rivolto alle autorità locali o statuali per invocare tutela, potendo tale scelta derivare, in concreto, proprio dal timore di essere assoggettato ad ulteriori trattamenti persecutori o umanamente degradanti (cfr. Cass. n. 28974/2019); b) deve ritenersi necessario l’approfondimento istruttorio officioso allorquando il richiedente descriva una situazione di rischio per la vita o l’incolumità fisica che derivi da sistemi di regole non scritte sub statuali, imposte con la violenza e la sopraffazione verso un genere, un gruppo sociale o religioso o semplicemente verso un soggetto o un gruppo familiare nemico, in presenza di tolleranza, tacita approvazione o incapacità a contenere o fronteggiare il fenomeno da parte delle autorità statuali, e ciò proprio al fine di verificare il grado di diffusione ed impunità dei comportamenti violenti descritti e la risposta delle autorità statuali (cfr. Cass. n. 7333/2015); c) costituiscono atti di persecuzione basati sul genere, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 7 rientranti nel concetto di violenza domestica di cui all’art. 3 della Convenzione di Istanbul dell’11.5.2011, le limitazioni al godimento dei propri diritti umani fondamentali attuate ai danni di una donna, di religione cristiana, a causa del suo rifiuto di attenersi alla consuetudine religiosa locale, anche se posti in essere da autorità non statali, se le autorità statali non le contrastano o non forniscono protezione, in quanto frutto di regole consuetudinarie locali (cfr. Cass. nn. 28152/2017, 12333/2017);

1.7. l’affermazione secondo cui “”il ricorrente” avrebbe dovuto richiedere la protezione del suo Paese e attenderne l’esito”, resa in difetto di un’indagine specifica in ordine all’effettivo contrasto alla violenza privata determinata da ragioni religiose offerto dalle autorità federali e statali in Nigeria, risulta in conseguenza altrettanto immotivata;

1.8. si è, in conclusione, in presenza di una tipica fattispecie di motivazione apparente, ovvero di motivazione che, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, anzi, sovrabbondante, laddove il tribunale si dilunga nella descrizione della normativa che disciplina le varie forme di protezione internazionale o umanitaria – risulta tuttavia costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio (cfr., per tutte, Cass. n. 9105/2017);

2. l’accoglimento dei motivi comporta la cassazione del decreto impugnato, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, al Tribunale di Ancona in diversa composizione, che, attenendosi ai principi enunciati, procederà ad un nuovo esame del merito della controversia;

3 resta assorbito ogni altro profilo di censura.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso, dichiara inammissibile il primo ed assorbiti gli altri; cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, al Tribunale di Ancona, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, Prima Sezione Civile, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020

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