Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8732 del 30/03/2021
Cassazione civile sez. trib., 30/03/2021, (ud. 21/10/2020, dep. 30/03/2021), n.8732
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. CATALDI Michele – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. CENICCOLA Aldo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 13024/2013 proposto da:
D.B., (C.F. (OMISSIS)), rapp.ta e difesa per procura a
margine del ricorso dagli avv. Victor Uckmar, Giuseppe Corasaniti e
Francesco D’Ayala Valva, presso quest’ultimo elettivamente
domiciliati in Roma, al Viale dei Parioli n. 43;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore
p.t., rapp.ta e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,
elettivamente domiciliata in Roma alla v. dei Portoghesi n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 65/8/12 depositata in data 20 novembre 2012
della Commissione Tributaria Regionale della Sardegna, sezione
staccata di Sassari;
letta la requisitoria depositata in data 21 settembre 2020 dal P.G.
de Augustinis che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso o,
in subordine, il suo rigetto;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
giorno 21 ottobre 2020 dal relatore Dott. Aldo Ceniccola.
Fatto
RILEVATO
che:
Con sentenza n. 65/8/12 depositata il 20 novembre 2012 la Commissione tributaria regionale della Sardegna, sezione staccata di Sassari, rigettava l’appello proposto da D.B. avverso la sentenza con la quale la Commissione tributaria provinciale di Sassari ne aveva rigettato il ricorso avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio aveva accertato ai fini Irpef ed addizionale regionale per il 2005 un maggior reddito imponibile di Euro 320.000, pari al 40% della maggior plusvalenza accertata di Euro 800.000, pretendendo la somma complessiva di Euro 292.999,02 per maggiori imposte, sanzioni ed interessi.
Osservava la CTR che la ricorrente aveva detenuto una partecipazione pari al 100% in una società unipersonale, Lo Spazio s.r.l., e che tale partecipazione era stata successivamente ceduta in favore della Genius s.r.l. in data (OMISSIS). Anteriormente alla cessione, in data (OMISSIS), la s.r.l. Lo Spazio aveva acquistato da altra società, la Del Co Costruzioni s.r.l. alcune unità immobiliari ed a fronte di tale operazione l’acquirente aveva iscritto in bilancio, tra le passività, un debito nei confronti della D., in quanto la stessa aveva dichiarato di essere creditrice nei confronti della Del Co Costruzioni e di aver compensato il proprio credito personale con il controcredito vantato dalla venditrice e dunque di essere divenuta creditrice della s.r.l. Lo Spazio per il corrispondente importo.
Non rilevava in questa prospettiva, secondo la CTR, la dichiarazione resa dalla D., in sede di accertamento con adesione, di aver rinunciato al credito vantato nei confronti della s.r.l. Lo Spazio, tanto è vero che dal libro giornale dell’anno 2005, dalla scheda di conto, dal bilancio e dalla nota integrativa, emergeva ancora il debito della società nei confronti della ricorrente.
Inoltre l’Ufficio, richiamando la circolare n. 52/E del 2004 dell’Agenzia delle entrate, osservava che seppure il costo deducibile della partecipazione al fine del calcolo della plusvalenza può essere incrementato dalla rinuncia ai crediti vantati dal cedente verso la società, nella specie la rinuncia non risultava nè dalla scrittura privata del (OMISSIS), prodotta dalla contribuente, nè da altra scrittura privata autenticata dell'(OMISSIS), riguardante l’operazione di cessione di quote sociali (e nella quale solo genericamente la venditrice aveva dichiarato di trasferire tutti i diritti collegati alla qualità di socio, ivi compresi i crediti maturati per versamenti eseguiti in conto capitale o ad altro titolo nelle casse sociali). Il finanziamento concesso dalla ricorrente, infatti, non poteva in alcun modo essere classificato come costo della partecipazione da portare in deduzione dal valore di realizzo, in quanto, a fronte delle circostanze rappresentate dalla contribuente, esisteva il fatto certo dell’iscrizione del finanziamento tra le passività della società, laddove la rinuncia al credito avrebbe dovuto – invece comportare l’annullamento della passività costituita dal finanziamento e l’iscrizione, tra le voci del patrimonio netto, di un pari importo costituente un versamento in conto capitale.
Conseguentemente, poichè il finanziamento era ancora iscritto come tale nella contabilità della società, l’importo di esso non poteva in alcun modo essere classificato come costo della partecipazione da portare in detrazione dal valore di realizzo della stessa.
Avverso tale sentenza D.B. propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. Resiste l’Agenzia mediante controricorso. Il PG ha depositato la requisitoria concludendo per l’inammissibilità o in subordine per il rigetto del ricorso. La ricorrente ha depositato memoria.
Diritto
CONSIDERATO
che:
1. Per un migliore inquadramento della fattispecie, giova precisare che l’avviso di accertamento impugnato dal contribuente trae origine dall’applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 68, che, in tema di plusvalenze, prevede che le stesse sono costituite dalla differenza tra il corrispettivo percepito dal venditore (nel caso di specie, il corrispettivo percepito dalla D. al momento della vendita delle quote in favore della Genius s.r.l.), ed il costo (cioè il valore di acquisto) delle partecipazioni cedute; avendo originariamente la D. aggiunto al costo di partecipazione l’importo di Euro 800 mila, l’Ufficio rettificava l’ammontare dei costi, rilevando che la somma di Euro 800 mila (corrispondente al controvalore degli immobili acquistati da Lo Spazio s.r.l.) era stata pagata appunto da quest’ultima società e non dalla socia.
1.2. Successivamente in sede di accertamento con adesione, la contribuente chiariva che la somma di Euro 800 mila era stata da lei stessa pagata (mediante compensazione di un proprio controcredito) alla società venditrice e dunque, essendo subentrata nel credito vantato nei confronti della s.r.l. Lo Spazio, aveva formalizzato una successiva rinuncia al credito e dunque correttamente la somma era stata riportata ad incremento del costo della partecipazione sociale.
1.3. La CTR, dopo aver escluso che dagli atti allegati emergesse l’esistenza di una rinuncia valida ed opponibile al fisco, osservava che l’operazione posta in essere dal contribuente null’altro disvelava che l’esistenza di un finanziamento concesso alla società partecipata, finanziamento che in alcun modo poteva essere qualificato come costo della partecipazione ed essere portato in detrazione dal corrispettivo ricevuto (al fine di ridurre la plusvalenza realizzata).
2. Con il primo motivo (nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, in combinato disposto con l’art. 115 c.p.c., comma 1, nonchè violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4), la ricorrente deduce che l’unica ragione sulla quale si fondava l’avviso di accertamento era l’erroneo convincimento che il costo per l’acquisto dell’immobile fosse stato sostenuto dalla società, e per questo solo fatto, smentito dalla stessa ricostruzione operata dal giudice di merito, l’avviso andava annullato (essendo pacifico che, in realtà, il credito della società venditrice degli immobili era stato sostenuto dalla ricorrente). Pertanto ogni ulteriore considerazione svolta dall’Ufficio e riproposta dai giudici di merito, riguardante l’invalidità della rinuncia della ricorrente a rivalersi nei confronti della società partecipata, dovrebbe considerarsi ultronea e non consentita, non costituendo la ragione effettiva posta a fondamento dell’avviso di accertamento.
2.1. Il motivo è infondato.
2.2. Innanzitutto la ricorrente incorre in un chiaro difetto di autosufficienza, in quanto non esclude in modo chiaro ed univoco che la questione della rinuncia fosse estranea (oltre che all’avviso di accertamento) anche ai fatti inizialmente esposti nel ricorso introduttivo: in tal caso, infatti, tutta la ricostruzione operata dai giudici di merito circa la validità o meno della rinuncia sarebbe pienamente giustificata in quanto vertente su un argomento introdotto dalla ricorrente, tanto più che la questione della rinuncia era stata spontaneamente prospettata da quest’ultima proprio in sede di accertamento con adesione e che in sede di giudizio di primo grado il presunto atto di rinuncia venne dalla stessa prodotto in giudizio (cfr. pag. 28 del ricorso).
2.3. In ogni caso, anche a voler prescindere dalla questione della rinuncia (come vorrebbe la ricorrente), resterebbe pur sempre fermo quanto osservato dalla CTR e cioè che nel caso di specie viene in rilievo un finanziamento fatto dalla socia alla società che comunque non può essere qualificato come costo della partecipazione (del resto la stessa cosa, in termini di indeducibilità dei costi, sarebbe avvenuta se il corrispettivo fosse stato pagato direttamente dalla società).
2.4. Insomma, anche se, contrariamente a quanto accertato con l’avviso, il pagamento non venne sostenuto dalla società acquirente, la soluzione comunque non cambierebbe, venendo in rilievo, come accertato dalla CTR, un finanziamento che in ogni caso non potrebbe essere considerato come un costo di partecipazione (tanto più che tale credito, come accertato dalla CTR, non venne trasferito all’acquirente delle quote e dunque rimase nella titolarità della ricorrente).
3. Con il secondo motivo (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo, nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 115 c.p.c., nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5), la ricorrente si duole per non avere la CTR considerato che il credito in oggetto si era estinto nel 2010 per intervenuta prescrizione e per non aver correttamente considerato l’atto di rinuncia al credito, confuso invece con altre due scritture che avevano un oggetto differente.
3.1. Il motivo è infondato.
3.2. Innanzitutto le considerazioni sull’intervenuta prescrizione del diritto di credito sono irrilevanti perchè, a tutto voler concedere, il credito si sarebbe prescritto solo nel 2010, mentre l’avviso di accertamento è del 2009 e la dichiarazione Mod. Unico Persone Fisiche che registra l’operazione è del 2006.
3.3. Quanto al mancato esame della scrittura privata contenente la rinuncia al credito, va osservato che, al di là del fatto che la contribuente avrebbe dovuto riferire e dimostrare di aver esposto chiaramente e compiutamente la problematica alla CTR (e dunque la chiara diversità della scrittura che adesso intende valorizzare con quelle specificamente prese in esame dalla CTR), è assorbente la circostanza che quest’ultima abbia assegnato efficacia alle risultanze delle scritture contabili (che escludevano l’esistenza di una rinuncia). E’ principio ampiamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che la valutazione delle risultanze delle prove, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (v. da ultimo Cass. n. 16467 del 4/07/2017).
4. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2709 e 2729 c.c., e la nullità del procedimento per violazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, avendo la CTR assegnato valore probatorio alle risultanze delle scritture contabili in relazione ad un rapporto intercorrente tra soggetti terzi rispetto alla società, ossia l’ex socio e l’amministrazione finanziaria, potendo le scritture contabili essere fornite di valore probatorio solo contro l’imprenditore e nei rapporti tra questo ed i terzi.
4.1. Il motivo è infondato.
4.2. In realtà la CTR non ha violato i limiti imposti dagli artt. 2709 e 2710 c.c., non avendo affatto ricavato dalle scritture contabili una prova contro il terzo, ma essendosi semmai limitata ad esaminare gli elementi a sua disposizione (scritture private e scritture contabili) ed a concludere che da tali elementi non si ricavava in alcun modo l’esistenza di una valida rinuncia. Altro è dire, infatti, che le scritture contabili formano prova solo contro l’imprenditore o fra imprenditori, altro è dire, invece, che dalle scritture contabili (e dal restante materiale probatorio) non emerge l’esistenza di ciò che il ricorrente intenderebbe dimostrare.
5. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nella parte in cui la CTR ha ritenuto che il credito derivante dal finanziamento concesso alla società non poteva ricondursi alla nozione di “diritti ricollegabili alla qualità di socio” (oggetto della successiva cessione in favore della Genius), dovendo piuttosto ritenersi che il finanziamento fatto dal socio non poteva che ricollegarsi alla posizione di quest’ultimo e dunque essere ricompreso nell’oggetto della cessione. Evidenzia, inoltre, come la CTR abbia illogicamente tratto da tale considerazione un ulteriore argomento per escludere l’esistenza della rinuncia.
5.1. Il motivo è infondato.
5.2. In realtà il canone ermeneutico denunciato (art. 1362 c.c.), non esclude il significato che la CTR ha desunto dalla lettura della clausola del contratto di cessione, in quanto, a parte l’omessa trascrizione dell’intero testo del negozio di cessione, il significato testuale della clausola, così come riportata, non esclude il significato desunto dalla CTR: come correttamente osservato da quest’ultima, infatti, la cessione aveva ad oggetto solo i diritti collegati alla qualità di socio e tale nozione, si osserva, non deve necessariamente ricomprendere anche il diritto di credito nascente dal finanziamento, non essendo quest’ultimo una prerogativa esclusiva del socio in quanto tale.
6. Con il quinto motivo la ricorrente lamenta la nullità della sentenza o del procedimento per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, e dell’art. 156 c.p.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360, nn. 4 e 5, avendo la CTR acriticamente aderito alle difese dell’Ufficio senza sottoporle al dovuto vaglio critico.
6.1. Il motivo è infondato in quanto, anche se vi è qualche passaggio nel quale in effetti la CTR riproduce una parte del testo della richiamata circolare dell’Agenzia delle entrate, è evidente che il richiamo è stato fatto per affermarne una convinta condivisione, senza trascurare che il tessuto motivazionale della sentenza è palesemente il frutto di un’autonoma elaborazione da parte della CTR.
7. Le ragioni che precedono impongono, dunque, il rigetto del ricorso. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
PQM
rigetta il ricorso. Pone le spese del giudizio di legittimità a carico del ricorrente, liquidandole in Euro 5.600, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2021