Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8731 del 15/04/2011

Cassazione civile sez. III, 15/04/2011, (ud. 18/02/2011, dep. 15/04/2011), n.8731

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.P.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CRESCENZIO 82, presso lo studio dell’avvocato BASSI

STEFANO, rappresentato e difeso dall’avvocato TUCCI MASSIMO giusta

delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

T.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DI TRASONE 8/12, presso lo studio dell’avvocato FORGIONE

ERCOLE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CAPUTO

NICOLA giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 13161/2008 del TRIBUNALE di MILANO, Terza

Sezione Civile, emessa il 6/10/2008, depositata il 10/11/2008 (R.G.

27133/06);

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/02/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato MASSIMO TUCCI;

udito l’Avvocato E’RCOLE FORGIONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- L.P.F., debitore esecutato in una procedura esecutiva immobiliare, propose opposizione agli atti esecutivi avverso il provvedimento col quale il giudice dell’esecuzione aveva assegnato alla creditrice procedente, T.R., il bene pignorato, ai sensi degli artt. 588 – 589 c.p.c., nel testo vigente prima delle modifiche apportate dal D.L. n. 35 del 2005, convertito nella L. n. 80 del 2005. L’opponente sostenne che la somma offerta ai sensi dell’art. 589 c.p.c. non fosse rispondente ai requisiti previsti da tale ultima norma poichè inferiore al prezzo base fissato per l’incanto andato deserto (pari ad Euro 215.000,00), anche se corrispondente a quello che era stato stimato dall’esperto ai sensi dell’art. 568 c.p.c. (pari ad Euro 128.780,00).

2.- Il Tribunale di Milano ha rigettato l’opposizione, condannando l’opponente al pagamento delle spese processuali.

3.- Avverso la sentenza del Tribunale di Milano propone ricorso per cassazione L.P.F., a mezzo di tre motivi. Resiste l’intimata con controricorso, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Preliminarmente, va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla resistente per avere il ricorrente intitolato il proprio ricorso come proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c. piuttosto che ai sensi dell’art. 111 Cost., e per avere denunciato, con i motivi di ricorso, anche il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione.

Al presente ricorso si applica, ratione temporis, la norma dell’art. 360 c.p.c., come riformata dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2, dal momento che la sentenza impugnata è stata pubblicata il 10 novembre 2008 e l’art. 27, comma 2, del citato decreto prevede che la disposizione riformata si applica ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto.

L’ultimo comma dell’art. 360 c.p.c., nel testo attualmente vigente, contempla il ricorso cd. straordinario per cassazione per violazione di legge, stabilendo che ad esso si applichino anche le norme previste dai primo e dal terzo comma della stessa disposizione.

Pertanto, per un verso, risulta corretto il riferimento all’art. 360 c.p.c., anche quando si tratti di ricorso per violazione di legge ex art. 111 Cost.; per altro verso, viene superata anche l’altra censura mossa dalla resistente, secondo cui non sarebbe denunciabile con tale ricorso il vizio di motivazione, se non negli stretti limiti in cui la censura era ammessa prima della citata riforma, vale a dire sotto il profilo della mancanza assoluta di motivazione, dal momento che l’art. 360 c.p.c., u.c., nel testo attuale, fa un rinvio integrale al primo comma della stessa disposizione.

2.- Va, invece, accolta l’eccezione di inammissibilità del primo motivo di ricorso, così come formulata dalla resistente.

Con tale motivo di ricorso, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 591 bis c.p.c., comma 2, n. 1 e n. 7, per essere stato emesso il provvedimento oggetto di opposizione agli atti esecutivi, non dal notaio delegato, come, secondo il ricorrente sarebbe stato corretto, bensì dal giudice dell’esecuzione, investito della relativa istanza da parte della creditrice procedente.

Come rilevato dalla resistente, la censura in esame non risulta essere stata proposta con il ricorso in opposizione agli atti esecutivi, poichè non è in alcun modo desumibile dalla sentenza impugnata che il ricorrente, con l’atto di opposizione, avesse inteso lamentare anche tale preteso vizio del provvedimento di assegnazione.

Nè il ricorrente deduce di avere, nel giudizio di merito, sollevato la contestazione oggetto del primo motivo di ricorso per cassazione.

Trattasi, quindi, di questione nuova, il cui esame è precluso a questa Corte (cfr., tra le più recenti, Cass. n. 18440/07, n. 20518/08), essendo inammissibile la relativa censura.

3. – Col secondo motivo di ricorso il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 589 e 506 c.p.c., in relazione all’art. 591 bis c.p.c., comma 2, n. 1 e art. 4 (tutti nel testo in vigore prima delle modifiche ad essi apportate dal D.L. n. 35 del 2005, convertito dalla L. n. 80 del 2005), ponendo la questione se la somma da offrire in pagamento con l’istanza di assegnazione, ai sensi degli artt. 588 e 589 c.p.c., debba essere corrispondente al prezzo dell’immobile pignorato come determinato dall’esperto ai sensi dell’art. 568 c.p.c. ovvero al prezzo base dell’incanto andato deserto, dopo il quale l’istanza di assegnazione è stata presentata, qualora tale prezzo base sia superiore al valore determinato dall’esperto.

Contrariamente a quanto eccepito dalla resistente, il quesito di diritto corrisponde alla censura così come illustrata dal ricorrente e, con riguardo alla denuncia del vizio di violazione di legge, che si sta esaminando, è idoneo all’enunciazione di una regola iuris sulla questione come sopra posta che, rilevante nel caso concreto, è suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori, in cui si verifichi la medesima situazione processuale, adeguatamente sintetizzata nel quesito stesso.

3.1.- Il motivo è fondato.

I fatti e le vicende processuali non sono in contestazione e, per quel che rileva ai fini della presente decisione, è sufficiente evidenziare che, determinato dall’esperto il valore dell’immobile pignorato in Euro 128.780,00, si svolgevano, davanti al notaio delegato, un primo esperimento d’asta, andato deserto, e poi un secondo a prezzo ribassato, che, tenutasi la gara tra diversi l offerenti, determinava l’incremento del prezzo base fino al prezzo di aggiudicazione di Euro 135.200,00; quindi, veniva presentata offerta in aumento di sesto (per Euro 157.733,33) e, dopo una nuova gara, il bene veniva aggiudicato al prezzo di Euro 215.000,00;

l’aggiudicatario tuttavia decadeva ed il notaio delegato fissava il nuovo incanto, determinando il prezzo base in misura corrispondente al prezzo dell’ultima aggiudicazione; quest’ultimo incanto andava, deserto. Non avendo avuto luogo tale incanto al prezzo base di Euro 215.000,00 per mancanza di offerte, la creditrice T. presentava istanza di assegnazione offrendo di pagare il prezzo di Euro 128.780,00, non inferiore alla somma prevista dall’art. 506 c.p.c. e corrispondente al valore dell’immobile così come, ab origine, determinato dall’esperto nominato dal giudice. Il giudice dell’esecuzione, in accoglimento dell’istanza, assegnava il bene a T.R.; avverso questo provvedimento di assegnazione il debitore esecutato ha, quindi, proposto l’opposizione agli atti esecutivi.

Giova premettere che al caso di specie si applicano le norme vigenti prima delle modifiche apportate con il D.L. n. 35 del 2005, convertito nella L. n. 80 del 2005, sicchè ogni riferimento della presente motivazione alle norme del codice di rito dovrà intendersi fatto al testo di tali norme quale era prima di dette modifiche (salvo apposita precisazione in senso diverso).

3.2. – Il Tribunale di Milano, dopo avere correttamente premesso che la decisione della controversia dipende dall’interpretazione del richiamo fatto dall’art. 589 c.p.c. alla norma dell’art. 568 c.p.c., ha ritenuto che, a seguito dell’istanza di assegnazione, il giudice dell’esecuzione dovesse applicare l’ultimo comma di tale norma, e quindi, in conformità a quanto da esso previsto, dovesse valutare, ed avesse di fatto valutato, che il prezzo base fissato dal notaio per l’incanto andato deserto fosse un “prezzo non conforme alle condizioni di mercato, tanto da provocare appunto la completa diserzione dell’incanto da ultimo constatata”; ha quindi reputato corretta la decisione del giudice dell’esecuzione che, disattendendo tale prezzo (per di più raggiunto, “all’esito di un precedente tentativo di vendita culminato, dopo la gara tra i diversi offerenti, in un’assegnazione non seguita dal versamento del saldo prezzo”, circostanza questa che il Tribunale di Milano ha considerato “chiaramente sintomatica” della misura eccessiva del prezzo fissato dal notaio), lo aveva rideterminato tenendo conto appunto della stima fatta dall’esperto prima della delega al notaio.

3.3.- Ritiene questa Corte che il richiamo alla norma dell’art. 568 c.p.c. fatto dall’art. 589 c.p.c. debba essere inteso in senso diverso da quanto risultante invece dalla sentenza impugnata ed, inoltre, imponga un’interpretazione sistematica e non solo letterale della previsione dell’art. 589 c.p.c., poichè l’istituto dell’assegnazione dell’immobile pignorato al creditore che ne abbia fatto istanza non può essere considerato come a sè stante. Esso va collocato nel contesto del processo esecutivo, tenendo conto, per un verso, delle regole di svolgimento di questo dettate dal legislatore;

per altro verso, della funzione che l’ordinamento assegna alla vendita coattiva, come strumentale al soddisfacimento delle ragioni dei creditori ma con la garanzia della tutela dei diritti del debitore esecutato, che non possono essere sacrificati se non nei limiti in cui tale sacrificio sia reso necessario al conseguimento di quanto dovuto ai creditori.

3.4.- In primo luogo, è da escludere che l’art. 568 c.p.c., u.c., nella parte in cui disciplina le modalità di determinazione del valore dell’immobile pignorato, possa trovare applicazione, come ritenuto dal Tribunale di Milano, in seguito alla presentazione di un’istanza di assegnazione da parte del creditore. In particolare, è da escludere che il rinvio che l’art. 589 c.p.c. fa all’art. 568 c.p.c. possa essere inteso come rinvio all’attività di determinazione del prezzo da parte del giudice dell’esecuzione (o del suo delegato), ma per come risulta chiaramente dalla lettera della legge il rinvio è fatto “al prezzo determinato a norma dell’art. 568”, vale a dire al risultato di quella determinazione. Orbene, nella sequenza procedimentale che caratterizza la fase liquidativa del processo esecutivo, la determinazione del valore dell’immobile, seguendo i criteri dettati dall’art. 568 c.p.c., è funzionale all’indicazione del prezzo base nell’ordinanza di vendita.

Nel sistema vigente prima della riforma di cui al D.L. n. 35 del 2005, convertito nella L. n. 80 del 2005, dopo l’incanto, che è fatto al prezzo base determinato ai sensi dell’art. 568 c.p.c., e che è alternativo alla modalità di vendita senza incanto, ogni creditore può presentare l’istanza di assegnazione. La collocazione di tale istanza in un momento successivo alla determinazione del prezzo, all’emissione dell’ordinanza di vendita ed allo svolgimento di uno (o più di un) incanto andato deserto fa sì che da tali precedenti momenti non si possa affatto prescindere, come accadrebbe invece se si seguisse l’interpretazione data all’art. 589 c.p.c. dalla sentenza impugnata. Più specificamente, seguendo tale interpretazione, sarebbe possibile per il giudice dell’esecuzione (ri)determinare il prezzo da offrire con l’ordinanza di assegnazione tenendo conto dei criteri dettati dall’art. 568 c.p.c., u.c., al momento in cui l’istanza di assegnazione viene presentata: ciò, che urta con la lettera della legge ma anche con un’interpretazione sistematica che tenga conto del momento del processo nel quale viene a collocarsi l’istanza di assegnazione.

Piuttosto, giova aggiungere – anche al fine di meglio comprendere la vicenda processuale oggetto della presente decisione – che la determinazione del valore dell’immobile ai sensi dell’art. 568 c.p.c., pur essendo di norma collocata, nel sistema vigente prima della riforma del 2005, prima o comunque in coincidenza con l’emissione della prima ordinanza di vendita (ovvero, in caso di vendita delegata, prima dell’emissione dell’avviso di vendita da parte del notaio delegato, che può provvedere anche alla determinazione del valore dell’immobile), ben può essere ripetuta nel corso della medesima procedura, per le più varie ragioni, quali per esempio, andamenti del mercato eccezionalmente incostanti (con prezzi eccezionalmente in salita ovvero in discesa, in periodi caratterizzati da particolari contingenze economiche o di altra natura), modificazioni del valore del bene pignorato intervenute nelle more del processo esecutivo per eventi diversi dall’andamento del mercato (come potrebbe accadere nel caso in cui un terreno non edificabile lo diventi, vedendo così incrementato il proprio valore, o, al contrario, vengano imposti dei vincoli o si verifichino degli eventi naturali che diminuiscano il valore del bene) od, ancora, contestazioni del prezzo di stima sopravvenute all’ordinanza di vendita (e ritenute meritevoli di rivisitazione di detto prezzo da parte del giudice dell’esecuzione). In tutti tali casi, il giudice dell’esecuzione potrà fare applicazione dell’art. 568 c.p.c., u.c., rideterminando il valore del bene pignorato “sulla base degli elementi forniti dalle parti” e, nella maggioranza dei casi, avvalendosi “di quelli che gli può fornire un esperto da lui nominato”. Ciò potrà fare, tuttavia, sempre al fine di emettere una (nuova) ordinanza di vendita. In conclusione, si ritiene che il giudice dell’esecuzione possa fare ricorso alla norma dell’art. 568 c.p.c., comma 3, ogniqualvolta, nell’ambito di una stessa procedura esecutiva, si renda necessaria la determinazione del valore dell’immobile, quindi anche ove intenda revisionare una precedente determinazione ex art. 568 c.p.c., anche al fine di revocare una precedente ordinanza di vendita (cui non sia seguita un’aggiudicazione) ed emetterne una nuova, contenente l’indicazione del prezzo revisionato ex art. 568 c.p.c.. Pertanto, il prezzo “determinato a norma dell’art. 568 c.p.c.”, secondo quanto disposto dall’art. 589 c.p.c., non va inteso come il prezzo determinato una volta per tutte nelle fasi iniziali della procedura e posto a base della prima ordinanza di vendita, ma come il prezzo, che il giudice dell’esecuzione ha indicato nell’ordinanza di vendita che ha regolato quello specifico incanto, cui è seguita, nell’ipotesi di mancanza di offerte, l’istanza di assegnazione di che trattasi.

La ricostruzione sistematica che precede conserva validità anche dopo la riforma del 2005, con la precisazione tuttavia, che, a seguito della modifica del testo dell’art. 569 c.p.c. (e dell’art. 591 bis c.p.c. per la vendita delegata), dell’introduzione dell’art. 173 bis disp. att. c.p.c. e della sostituzione degli artt. 588 e 590 c.p.c., l’ipotesi normale è data dalla redazione di una relazione di stima da parte dell’esperto, che precede l’emissione dell’ordinanza di vendita; quest’ultima, a sua volta, contempla un identico prezzo, determinato a norma dell’art. 568 c.p.c. (richiamato sia dall’art. 571 c.p.c. che dall’art. 576 c.p.c.), sulla base del quale va esperita la vendita senza incanto ed anche la vendita con incanto;

tra tali due momenti della fase liquidativa del processo, il secondo dei quali indefettibile in caso di esito negativo della vendita senza incanto, si colloca attualmente l’istanza di assegnazione ex art. 588 c.p.c., anche se essa è destinata ad essere delibata, ai sensi dell’art. 590 c.p.c, solo nell’eventualità dell’incanto andato deserto. Peraltro, anche nell’attuale sistema, il prezzo da offrire in pagamento unitamente all’istanza di assegnazione è quello “determinato a norma dell’art. 568 c.p.c.” (essendo il primo comma dell’attuale art. 589 c.p.c. riproduttivo del vecchio testo di tale norma): si tratta, quindi, del prezzo base determinato al fine della sua indicazione nell’ordinanza di vendita che disciplina l’intera fase destinata alla liquidazione del bene.

3.5.- Superata come sopra l’interpretazione data dal Tribunale di Milano, ed escluso che il giudice dell’esecuzione possa tornare a determinare il valore del bene pignorato al momento della presentazione dell’istanza di assegnazione, risulta altresì confermata la coerenza tra l’interpretazione strettamente letterale dell’art. 589 c.p.c. e quella sistematica della norma, tale cioè che l’assegnazione debba essere fatta al prezzo come determinato, ai sensi dell’art. 568 c.p.c., al fine dell’emissione dell’ordinanza di vendita e quindi indicato nell’ordinanza di vendita, senza che rilevino non solo le stime pregresse ma nemmeno i ribassi effettuati ai sensi dell’art. 591 c.p.c.3.6.- Questa Corte ha avuto modo di occuparsi della questione posta da tali ribassi nel precedente costituito dalla sentenza n. 4650/2006, utile ai fini della presente motivazione anche se relativo a fattispecie soltanto analoga (in quel caso, infatti, l’istanza di assegnazione non era stata fatta ai sensi degli artt. 588-589 c.p.c., bensì ai sensi dell’art. 595 c.p.c., durante l’amministrazione giudiziaria disposta dopo due incanti andati deserti e quindi dopo due ribassi del prezzo base determinato ai sensi dell’art. 568 c.p.c.). Si legge nella motivazione della sentenza che “il prezzo di riferimento per presentare l’offerta è sempre quello determinato ai sensi dell’art. 568 c.p.c., anche nell’ipotesi di precedente esperimento infruttuoso di due incanti”.

Si legge ancora nella stessa sentenza che l’argomento logico- giuridico che induce a preferire l’interpretazione ivi sostenuta si rinviene nella considerazione che “la ratio della procedura esecutiva è quella di garantire sia la posizione dei creditori, sia quella dei debitori nel senso che essa è finalizzata ad ottenere il maggior prezzo possibile dalla vendita dei beni colpiti in modo di garantire il soddisfacimento dei primi e 1 ‘eliminazione della posizione di sofferenza dei secondi”.

Si tratta della ratio che si è inteso enunciare sopra e che non può non sorreggere anche la presente decisione. Il richiamo che l’art. 589 c.p.c. fa all’art. 568 c.p.c. non consente, secondo il precedente citato, di scendere al di sotto del prezzo fissato ai sensi di tale ultima norma, anche quando il prezzo ribassato sia stato così determinato in applicazione dell’art. 591 c.p.c., comma 2. Giova precisare che tale conclusione è del tutto coerente con l’interpretazione sistematica che si preferisce, perchè il ribasso non è conseguenza di una nuova determinazione del prezzo base ai sensi dell’art. 568 c.p.c., che tenga conto del valore effettivo dell’immobile, più specificamente del valore di mercato di esso, bensì è conseguenza predeterminata dal legislatore, anche e soprattutto quanto alla misura del ribasso (un quinto nel sistema originario del codice, un quarto dopo la modifica dell’art. 591 c.p.c., di cui al D.L. n. 35 del 2005, convertito nella L. n. 80 del 2005). In tale ipotesi, quindi, il prezzo quale fissato nell’ultimo incanto andato deserto non è determinato ai sensi dell’art. 568 c.p.c., come richiede l’art. 589 c.p.c., bensì ai sensi dell’art. 591 c.p.c. e, per tale motivo, come precisato dal precedente su menzionato, ad esso non può essere parametrato il prezzo da offrire con l’istanza di assegnazione. L’interpretazione letterale dell’art. 589 c.p.c., nel suo richiamo all’art. 568 c.p.c., impedisce di assegnare il bene al creditore ad un prezzo ribassato (anche se il ribasso sia stato fatto ai sensi di legge), vale a dire ad un prezzo inferiore a quello indicato nell’ordinanza di vendita ed è coerente con la ratio legis, sopra richiamata.

3.7.- Nel caso oggetto della presente decisione, il prezzo posto a base dell’incanto andato deserto era stato così determinato da parte del notaio delegato, in applicazione dell’art. 591 bis c.p.c., comma 2, n. 4 (nel testo ante riforma), a seguito di decadenza dall’aggiudicazione. Nel fissare tale ulteriore incanto il notaio delegato ha ritenuto di fissare il prezzo dell’immobile commisurandolo all’importo raggiunto all’esito dell’ultimo esperimento d’asta. Così facendo, non ha fatto altro che (ri)determinare il valore dell’immobile ai sensi dell’art. 591 bis c.p.c., comma 1, n. 1 (che nel teste ante riforma consentiva al delegato di determinare il valore dell’immobile ex art. 568, comma 3, “anche”, ma non necessariamente, “tramite l’ausilio di un esperto nominato dal giudice”) ed ha finito per vincolare a tale valore tutta la fase aperta con la fissazione del nuovo incanto dopo la decadenza dall’aggiudicazione. A fronte di tale atto del notaio delegato, se si fosse ritenuto il prezzo così fissato esorbitante rispetto all’effettivo valore di mercato del bene pignorato, le parti avrebbero potuto far ricorso al rimedio dell’art. 591 ter c.p.c. o il giudice dell’esecuzione sarebbe potuto intervenire,, anche d’ufficio, per revocare o modificare il provvedimento di fissazione dell’incanto a quel prezzo. Però, una volta effettuato l’incanto al prezzo come determinato dal delegato in vista di esso, non contestato da alcuno nè modificato dal G.E., l’istanza di assegnazione non avrebbe potuto che essere presentata offrendo il medesimo prezzo. In ragione di quanto detto sopra, infatti, il prezzo di assegnazione non può mai scendere al di sotto di quello indicato nell’ordinanza di vendita (or nel caso di vendita delegata, dell’avviso di vendita) che ha indetto l’incanto.

Una rideterminazione del prezzo base dell’incanto è, si, possibile per il giudice dell’esecuzione, ai sensi del più volte citato art. 568 c.p.c., in ogni momento del processo, come detto sopra, ma non certo all’esclusivo fine dell’assegnazione, poichè un provvedimento siffatto finirebbe per avvantaggiare indebitamente il creditore istante, esonerandolo dalla gara sulla base del prezzo ribassato. Ben diversa è invece la situazione se il giudice dell’esecuzione emette una nuova ordinanza di vendita, a prezzo rideterminato ed eventualmente ribassato, ma idonea a ricollocare il bene sul mercato.

Tale situazione, infatti, consente di perseguire, mediante un nuovo incanto (o, secondo il sistema post riforma, una vendita senza incanto seguita eventualmente da un nuovo incanto), il raggiungimento di quel “maggior prezzo possibile dalla vendita dei beni colpiti” che possa garantire il soddisfacimento dei creditori e l’eliminazione della posizione di sofferenza del debitore, che, come già ritenuto da questa Corte, costituisce il fine ultimo di ogni esecuzione forzata immobiliare, nel sistema di vendita delineato dal codice di rito ed in quello risultante dalle riforma del D.L. n. 35 del 2005, come convertito nella L. n. 80 del 2005.

3.8.- Può quindi essere enunciato il seguente principio di diritto:

“In tema di espropriazione immobiliare, l’art. 589 c.p.c. (nel testo vigente prima della modifica apportata dal D.L. n. 35 del 2005, convertito nella L. n. 80 del 2005; testo al quale corrisponde l’art. 589 c.p.c., comma 1, riformato), laddove prescrive che l’istanza di assegnazione deve contenere l’offerta di pagamento di una somma non inferiore “al prezzo determinato a norma dell’art. 568″, va interpretato nel senso che non possa essere offerta una somma inferiore al prezzo base, così come stabilito nel provvedimento che ha disposto quella vendita, alla quale fa seguito l’assegnazione di che trattasi, nel caso in cui l’incanto non abbia avuto luogo per mancanza di offerte”.

4.- Va quindi accolto il secondo motivo del ricorso, con riferimento alla denuncia di violazione di legge; la sentenza impugnata va cassata e, potendo questa Corte decidere nel merito senza necessità di ulteriori accertamenti di fatto, va accolta l’opposizione agli atti esecutivi proposta da L.P.F. e va annullata l’ordinanza di assegnazione emessa dal giudice dell’esecuzione il 3 gennaio 2006.

5.- L’accoglimento del secondo motivo di ricorso, sotto il profilo appena detto, comporta l’assorbimento dello stesso motivo quanto alla deduzione di vizio di motivazione, nonchè del terzo motivo del ricorso, relativo alla pretesa illegittimità dell’istanza di assegnazione per la mancanza dell’offerta di pagamento effettivo del prezzo, avendo l’istante richiesto di effettuare un conguaglio tra i propri crediti e il prezzo offerto.

6.- La peculiarità e la novità della questione trattata rendono di giustizia la compensazione delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo motivo di ricorso, secondo quanto specificato in motivazione, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’opposizione agli atti esecutivi proposta da L.P. F. e, per l’effetto, annulla l’ordinanza di assegnazione emessa dal giudice dell’esecuzione del Tribunale di Milano in data 3 gennaio 2006; dichiara assorbiti i restanti motivi di ricorso.

Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2011

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