Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8729 del 15/04/2011

Cassazione civile sez. III, 15/04/2011, (ud. 11/02/2011, dep. 15/04/2011), n.8729

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.B. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ALESSANDRO SERPIERI 11, presso lo studio dell’avvocato METE

ALESSANDRO, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

O.A. (OMISSIS), O.L. (OMISSIS),

O.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA DEGLI SCIALOJA 6, presso lo studio dell’avvocato OTTAVI

LUIGI, che li rappresenta e difende giusta delega in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2821/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA, 3^

SEZIONE CIVILE, emessa il 22/6/2007, depositata il 22/01/2008, R.G.N.

764/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/02/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato LUIGI OTTAVI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per l’accoglimento del 1

motivo e l’assorbimento del 2 motivo di ricorso; cassazione con

rinvio.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L., F. e O.A. proposero impugnazione dinanzi alla Corte d’Appello di Roma avverso la sentenza del Tribunale di Roma, con la quale era stata dichiarata inammissibile per carenza di legittimazione attiva la domanda avanzata dai germani O., quali eredi del padre O.A., nei confronti di B. B., per ottenerne la condanna al rilascio dell’immobile di proprietà degli attori e condotto in locazione dal convenuto, previa declaratoria di cessazione della locazione alla data del 31 ottobre 1995.

La Corte d’Appello di Roma ha accolto l’appello ed ha condannato il B. al rilascio dell’immobile, fissando per l’esecuzione la data del 31 ottobre 2007; ha, altresì, condannato l’appellato al pagamento delle spese del secondo grado di giudizio, compensando tra le parti le spese del primo grado.

Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma propone ricorso per cassazione B.B., a mezzo di due motivi. Resistono con controricorso gli intimati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Col primo motivo del ricorso è dedotto il difetto di motivazione sul punto decisivo della controversia concernente la titolarità in capo ai germani O. del rapporto oggetto di causa; secondo il ricorrente, la Corte d’Appello non avrebbe tenuto conto della prova fornita dallo stesso ricorrente in primo grado, quando aveva eccepito la terzietà delle controparti rispetto alla locazione dedotta in giudizio, che risultava, invece, stipulata il 1 novembre 1979 tra il sig. O.A. ed il sig. B. B.; poichè, sempre secondo il ricorrente, gli attori non avrebbero contestato il contenuto di tale eccezione, si sarebbe dovuto ritenere invertito l’onere della prova e la Corte d’Appello avrebbe dovuto accertare il titolo che legittimava i signori O. a far valere in proprio il rapporto dedotto in giudizio, incombendo a questi ultimi l’onere di dimostrare la loro successione ex latere locatoris nell’originario contratto di locazione, mediante la prova della loro qualità di chiamati all’eredità e di eredi di O. A..

Il motivo è infondato.

1.2. La Corte d’Appello di Roma ha ritenuto che la questione sollevata dal convenuto non investiva la legittimazione alla causa bensì la titolarità da parte degli attori del rapporto controverso e che il difetto della relativa titolarità avrebbe dovuto essere provato dal convenuto che lo aveva eccepito.

La censura del ricorrente non riguarda tale parte della motivazione del giudice di secondo grado, che anzi condivide e che, peraltro, è da reputarsi corretta, poichè conforme a copiosa giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le tante, da ultimo, per la differenza tra legitimatio ad causam e titolarità del rapporto controverso, Cass. n. 355/08, n. 6132/08, n. 14468/08; nonchè, per l’onere della prova incombente a chi eccepisca il relativo difetto, Cass. n. 23670/08 e Cass. n. 12832/09, che motivano in termini di eccezione di parte, soggetta alle relative preclusioni; ma, più di recente, Cass. n. 18207/10, secondo cui, pur non trattandosi di eccezione in senso stretto, l’onere della relativa prova incombe a colui che deduca il difetto di titolarità della controparte, quale proprio argomento difensivo).

Piuttosto, il ricorrente censura l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui egli, quale convenuto in primo grado, dopo aver formulato l’eccezione di difetto di titolarità del rapporto controverso in capo agli attori, non avrebbe fornito alcun supporto probatorio a tale eccezione, essendo stati invece gli attori a produrre documentazione da cui risultava la loro qualità di eredi di O.A. e l’avvenuto pagamento di alcuni canoni di locazione mediante accredito in conto corrente intestato a L., F. ed O.A..

1.3. L’affermazione del ricorrente secondo la quale la sua eccezione si sarebbe dovuta ritenere provata per non contestazione è smentita dalla motivazione della sentenza impugnata, che sul punto è congrua e completa. Infatti, risulta da essa che, contrariamente a quanto sostenuto dall’odierno ricorrente, le controparti contestarono la sua eccezione, riguardante la loro asserita terzietà rispetto al contratto di locazione stipulato tra lo stesso B. ed il loro padre, O.A., tanto è vero che la motivazione da atto che “nella memoria depositata a norma dell’art. 426 c.p.c., avevano puntualmente replicato … omissis … all’eccezione sollevata dal B.” ed aggiunge che, a fondamento di tale contestazione, ma anche ad integrazione della originaria domanda introduttiva del giudizio, avevano dedotto di essere eredi di O.A. e di essere anche succeduti nel rapporto controverso, supportando tale loro deduzione con prova documentale. Al riguardo, la sentenza impugnata rileva che, a fronte di tale documentazione, che gli attori avevano prodotto con la memoria ex art. 426 c.p.c., il convenuto non aveva depositato memoria integrativa ed all’udienza del 20 gennaio 2004 si era limitato ad insistere nella propria eccezione, senza peraltro formulare specifici rilievi in ordine alle deduzioni dei ricorrenti.

1.4. Date le premesse in diritto, correttamente espresse nella sentenza impugnata, e non censurate dal ricorrente, la valutazione della prova documentale fornita dagli attori appellanti non era affatto necessaria ai fini della decisione sulla questione concernente la titolarità attiva del rapporto controverso.

Giova premettere che il presente giudizio, nei gradi di merito, è stato regolato dalle norme degli artt. 657 e seg. c.p.c. e che, in primo grado, dopo la fase a cognizione sommaria, il giudizio è proseguito, ai sensi dell’art. 667 c.p.c., nelle forme del rito speciale, previa ordinanza di mutamento di rito ai sensi dell’art. 426 c.p.c..

Orbene, a seguito della trasformazione del rito, le parti hanno facoltà di depositare memorie, che, secondo quanto disposto dalla norma da ultimo citata, sono destinate ad integrare gli atti introduttivi. Non merita soffermarsi sulla giurisprudenza relativa alle facoltà delle parti nel passaggio di rito, se non per evidenziare che non vi è dubbio alcuno sul fatto che le memorie integrative possano contenere precisazioni o modificazioni della domanda originaria (cfr., a proposito dell’emendatio libelli, da ultimo Cass. n. 16635/08). Siffatte precisazioni ben possono riguardare gli elementi di diritto su cui è fondata e ribadita l’originaria domanda, quindi – per quel che rileva nel caso in esame – gli elementi relativi alla titolarità del rapporto controverso, così come già dedotto in giudizio con l’intimazione introduttiva della fase sommaria. Appunto, nel caso di specie, è accaduto che gli attori, con la memoria integrativa ai sensi dell’art. 426 c.p.c., non solo abbiano contestato l’eccezione di controparte concernente il difetto della titolarità del contratto di locazione, ma abbiano anche precisato gli elementi in ragione dei quali tale titolarità si sarebbe dovuta ritenere sussistente.

Bene ha motivato la Corte d’Appello di Roma nell’affermare che, tenendo la condotta processuale di cui sopra, espressamente riportata in sentenza, gli attori avevano validamente dedotto di essere succeduti nel rapporto di locazione oggetto di lite; congruamente, quindi, la stessa motivazione conclude per la soccombenza del convenuto eccipiente che “si limitava ad insistere nell’eccezione proposta senza formulare specifici rilievi in ordine alle deduzioni dei ricorrenti”, vale a dire appunto in ordine alla deduzione della successione nel rapporto controverso.

1.5. Risulta pertanto infondato il motivo di ricorso concernente il difetto di motivazione sulla prova di tale successione, poichè risulta smentito l’assunto del ricorrente secondo cui la Corte d’Appello avrebbe dovuto tenere conto della non contestazione della sua eccezione, atteso che la Corte ha, invece, ritenuto sussistente tale contestazione, ha motivato sul punto ed ha corroborato la propria motivazione con le considerazioni di cui sopra.

Essendo fondata la sentenza impugnata sulla mancanza della prova dell’eccezione sollevata dal convenuto, le censure mosse dal ricorrente in merito all’idoneità della documentazione prodotta dagli attori a sostegno della dedotta titolarità del rapporto controverso vanno disattese. Infatti, la Corte d’Appello non ha affermato la titolarità da parte degli O. del rapporto dedotto in giudizio tenendo conto della documentazione da questi prodotta, ma, come si è detto, si è avvalsa di tale produzione per corroborare la motivazione in punto di contestazione dell’eccezione, di sussistenza dell’onere della prova in capo all’eccipiente, quindi di mancato assolvimento di tale onere, certamente non perchè si fosse avuta un’originaria inversione ma perchè la contestazione degli attori imponeva al convenuto di fornire un sostegno probatorio alla propria eccezione.

2.1. Col secondo motivo il ricorrente denuncia il vizio di motivazione per non avere la sentenza impugnata considerato la circostanza, risultante dagli atti, relativa all’iniziativa del defunto O.A. di non iscrivere a ruolo l’originaria intimazione di sfratto per finita locazione, fondata sulla disdetta del 20 luglio 1991 e notificata il 24 maggio 1993, che, secondo il ricorrente, avrebbe integrato una rinunzia per facta concludentia sia alla disdetta del 20 luglio 1991 che a qualsiasi altra causa di risoluzione della locazione alla data del 31 ottobre 1995; di modo che, tenuto conto di questa rinunzia e della riscossione dei canoni di locazione dal mese di giugno 1993 all’attualità, la Corte d’Appello avrebbe dovuto ritenere sussistente il comportamento positivo del locatore idoneo a determinare la rinnovazione tacita del rapporto locatizio alla data del 31 ottobre 1995; quindi, pervenire ad una decisione di segno contrario, con accertamento della successiva scadenza contrattuale al 31 ottobre 2011 o, in subordine, almeno al 31 ottobre 2007.

Il motivo è infondato.

2.2. La Corte d’Appello di Roma ha ritenuto fondata la domanda degli appellati in quanto il B. aveva ricevuto disdetta del contratto in data 25 luglio 1991 e questa, pur essendo tardiva per la scadenza del 31 ottobre 1991 (erroneamente indicata nel 31 ottobre 1992), era tuttavia tempestiva in relazione alla scadenza del 31 ottobre 1995; in particolare, il giudice di secondo grado ha confutato quanto sostenuto dall’appellato (per il quale, a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 431 del 1998, per effetto del comportamento della controparte, il contratto si sarebbe rinnovato tacitamente per quattro anni fino alla scadenza del 2003 e quindi per ulteriori quattro anni) , negando che una rinunzia all’intimata disdetta potesse essere rinvenuta nel protrarsi della detenzione dell’immobile da parte del conduttore per circa dieci anni ed affermando che dopo la manifestazione espressa del locatore di porre termine alla permanenza del conduttore nella detenzione dell’immobile, perchè si determinasse la rinnovazione del contratto sarebbe stato necessario un nuovo comportamento positivo in senso contrario da parte del locatore”; e, coerentemente, ha concluso che, in difetto di esplicita manifestazione di rinnovazione da parte del locatore, il contratto non era più in essere alla data di entrata in vigore della L. n. 431 del 1998, per essere cessato alla data del 31 ottobre 1995.

2.3. La Corte d’appello ha applicato al caso di specie un principio di diritto assolutamente consolidato nella giurisprudenza della Cassazione, e peraltro non censurato dal ricorrente, vale a dire quello per il quale qualora il locatore abbia manifestato con la disdetta la sua volontà di porre termine al rapporto, la rinnovazione tacita non può desumersi da un manifestazione tacita di consenso alla permanenza del locatario nell’immobile locato, occorrendo invece un suo comportamento positivo idoneo ad evidenziare una nuova volontà, contraria a quella precedentemente manifestata per la cessazione del rapporto (cfr., tra le più recenti, Cass. n. 10946/03, n. 14810/04, n. 257/06, n. 5464/06).

Come detto, il giudice di merito ha escluso che vi fosse stata un’esplicita manifestazione di rinnovazione da parte del locatore ed è giunto a tale conclusione previo esame degli elementi di prova addotti dalle parti, senza peraltro escludere espressamente che la mancata iscrizione a ruolo dell’intimazione di sfratto per finita locazione (notificata il 24 maggio 2003) potesse essere interpretata nel senso di una manifestazione di rinuncia del locatore all’intimata precedente disdetta; anzi, la sentenza impugnata nemmeno accenna alla circostanza in parola.

2.4. Dato ciò e non potendosi affatto evincere dalla sentenza impugnata che il B. avesse sollevato un’ espressa eccezione di tacito rinnovo per effetto della omessa iscrizione a ruolo dell’intimazione, sarebbe stato onere del ricorrente dedurre con quali atti ed in quale momento del processo avesse sottoposto all’attenzione dei giudici di merito siffatta circostanza. Nel ricorso nulla si dice in proposito, ma si assume che la mancata iscrizione a ruolo della prima intimazione di sfratto per finita locazione risulterebbe dagli scritti dei signori O., riportati testualmente nel ricorso stesso, senza che risulti che il B., quale convenuto, abbia dedotto la stessa circostanza a fondamento della difesa fondata sulla tacita rinnovazione del contratto di locazione.

2.5. Peraltro, anche a voler superare i profili di dubbia ammissibilità appena evidenziati, occorre rilevare che, ai fini della configurabilità del vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario che “il mancato esame di elementi probatori contrastanti con quelli posti a fondamento della pronuncia sia tale da invalidare, con giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle risultanze sulle quali il convincimento del giudice è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base, ovvero che si tratti di un documento idoneo a fornire la prova di un fatto costitutivo, modificativo o estintivo del rapporto giuridico in contestazione, e perciò tale che, se tenuto presente dal giudice, avrebbe potuto determinare una decisione diversa da quella adottata” (cfr. così Cass. n. 14304/2005, ma nello stesso senso, tra molte, anche Cass. n. 10156/2004, n. 5473/2006, n. 21249/2006, n. 9245/2007). Ribaditi tali principi, e dato il tenore della motivazione riassunto al precedente punto 2.3, si osserva quanto segue.

Non rileva che il giudice di merito non abbia espressamente confutato l’argomentazione o l’elemento acquisito al processo che la parte ritiene rilevante per l’accoglimento della propria linea difensiva, ma è necessario che si dimostri che la circostanza, in sè considerata, qualora fosse stata presa in considerazione, avrebbe con certezza condotto ad una soluzione diversa.

Nel caso di specie, la circostanza della mancata iscrizione a ruolo di un’intimazione per finita locazione già notificata non è dotata di un’intrinseca valenza processuale, tale da risultare logicamente incompatibile con la conclusione raggiunta nella sentenza impugnata.

La permanenza del conduttore nel bene locato ha valenza differente a seconda che sia stata data o meno la disdetta alla scadenza contrattuale; in tale seconda ipotesi, essendovi già una manifestazione di volontà del locatore volta alla risoluzione contrattuale, la volontà di rinnovare il contratto deve essere manifestata, se non espressamente, con comportamenti di segno univoco (cfr. Cass. n. 8159/95), quali certamente non sono nè la percezione dei canoni per i periodi di occupazione dopo la scadenza contrattuale nè il mancato esercizio dell’azione di rilascio, anche per un periodo di tempo considerevole dopo detta scadenza (cfr., oltre la giurisprudenza citata, anche Cass. n. 8825/95, n. 269/98, n. 9698/98). Ad analoga conclusione deve pervenirsi nell’ipotesi verificatasi nel caso di specie: il locatore aveva intimato la licenza per finita locazione calcolando ed indicando erroneamente la data di scadenza al 31 ottobre 1992 (piuttosto che al 31 ottobre 1991) , sicchè era scontato un esito processuale negativo; malgrado ciò la disdetta, comunicata il 25 luglio 1991, pur non essendo utile per la scadenza del 31 ottobre 1991, continuava a spiegare i propri effetti sul piano sostanziale, essendo comunque utile alla risoluzione del contratto alla successiva scadenza. Essendo distinti gli effetti dell’intimazione e della disdetta – processuale della prima, in quanto volto alla convalida, e sostanziale della seconda, in quanto volto alla cessazione del contratto alla scadenza – la rinuncia all’una non può certo essere intesa univocamente come rinuncia all’altra, e men che meno come manifestazione positiva della volontà del locatore di non avvalersene onde consentire la rinnovazione tacita del contratto; piuttosto, sarebbe stato all’uopo necessaria la rinuncia esplicita alla disdetta ovvero un comportamento positivo del locatore volto a dimostrare che non intendeva più avvalersi della disdetta in quanto tale. In mancanza, le deduzioni del ricorrente si rivelano infondate.

3. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente B.B. al pagamento delle spese processuali che liquida in favore dei resistenti nella somma di Euro 4.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2011

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA