Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8726 del 30/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 30/03/2021, (ud. 02/10/2020, dep. 30/03/2021), n.8726

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – est. Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 1474/2014 proposto da:

M.L., (CF (OMISSIS)), rapp.ta e difesa per procura in

calce al ricorso, dall’avv. Gabriele Rapali, con il quale

elettivamente domicilia in Roma alla via delle Milizie n. 38 presso

lo studio dell’avv. Barbara Aquilani;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (CF (OMISSIS)), in persona del Direttore p.t.,

rapp.ta e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,

elettivamente domiciliata in Roma alla v. dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 95/2/13 depositata in data 13 maggio 2013

della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 2 ottobre 2020 dal relatore Dott. Aldo Ceniccola.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 95/2/13 del 15 maggio 2013 la Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, rigettava l’appello proposto da M.L. averso la sentenza con la quale la Commissione provinciale di Teramo ne aveva in gran parte rigettato il ricorso avverso l’avviso di accertamento ai fini Irpef, emesso dall’Agenzia delle entrate per l’anno di imposta 2007, con cui, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4 e 5, era stato determinato il reddito in via sintetica.

Osservava la CTR, per quanto ancora rileva, che, a parte la novità di alcuni argomenti nuovi introdotti dal ricorrente (quanto all’asserita disponibilità di somme, frutto di risparmi propri e del coniuge, depositate presso la Banca dell’Adriatico e considerate giustificative della legittimità delle spese contestate), gli elementi e gli indici utilizzati dall’Ufficio, per procedere alla ricostruzione del reddito imponibile, corrispondevano pienamente a quelli previsti dalla vigente normativa e che le accertate disponibilità (in particolare il veicolo acquistato e gli altri beni, mobili ed immobili, ancorchè cointestati con alcuni parenti) avevano spiegato esaustivamente la grave presunzione di incongruità del reddito dichiarato e dunque l’effettività del reddito accertato.

Quanto – poi – agli apporti finanziari derivanti dalle risorse del coniuge e della parente convivente, era risolutivo quanto già osservato dalla CTP, secondo la quale mancava una prova rigorosa circa l’effettività del contributo di altri parenti o affini sia alle spese di gestione, sia, più in particolare, alle spese per l’acquisto e la gestione di un veicolo ulteriore rispetto a quello già posseduto.

Infine, al di là del minimale ridimensionamento del reddito accordato dalla CTP e ricavato dalla considerazione del presumibile contributo della convivente alla gestione dell’abitazione principale, non poteva essere trascurato, in relazione al profilo del concorso del coniuge agli oneri connessi, che, da un lato, i coniugi avevano scelto di disciplinare il proprio regime con la separazione dei beni, e dall’altro mancava un’adeguata dimostrazione di quanto dedotto a proposito della complessiva situazione patrimoniale e reddituale propria del coniuge.

Avverso tale sentenza il contribuente propone ricorso per cassazione, affidato a due mezzi. Resiste l’agenzia delle Entrate mediante

controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. A sostegno del primo motivo, che lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 143 e ss., 159 e 173 c.c. (anche in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost.), ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente osserva che l’assunto del giudice di appello sarebbe illegittimo, avendo discriminato il contribuente in funzione del regime patrimoniale prescelto dai coniugi ed avendo omesso di verificare, in concreto, la complessiva posizione reddituale dei componenti del nucleo familiare, trascurando – altresì – di verificare l’incidenza dei redditi posseduti da questi ultimi.

1.1. Il motivo è infondato.

1.2. Il contribuente si limita a sottoporre ad una puntuale critica solamente quella parte della pronuncia nella quale la CTR pare effettivamente assegnare, sul piano logico, un peso rilevante al regime patrimoniale prescelto dai coniugi, omettendo però di censurare in modo specifico e diretto l’ulteriore ed autonoma ratio decidendi utilizzata dalla CTR e fondata sul difetto di un’adeguata dimostrazione di quanto dedotto a proposito della complessiva situazione patrimoniale e reddituale propria del coniuge.

1.3. La CTR, infatti, dopo aver evidenziato che la ricorrente aveva scelto di disciplinare il rapporto con il coniuge con la previsione del regime di separazione dei beni, ha avuto modo di porre in luce “il difetto di un’adeguata dimostrazione di quanto dedotto a proposito della complessiva situazione patrimoniale-reddituale propria del coniuge”, non discostandosi così, nemmeno quanto al riparto dell’onere della prova, ai criteri costantemente affermati dalla giurisprudenza di legittimità.

1.4. Secondo questa Corte, infatti, “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, con riferimento alla determinazione sintetica del reddito complessivo netto in base ai coefficienti presuntivi individuati dai decreti ministeriali previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 (cd. redditometri), la prova contraria ivi ammessa, richiedendo la dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso, da parte del contribuente, di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, implica un riferimento alla complessiva posizione reddituale dell’intero suo nucleo familiare, costituito dai coniugi conviventi e dai figli, soprattutto minori, atteso che la presunzione del loro concorso alla produzione del reddito trova fondamento, ai fini dell’accertamento suddetto, nel vincolo che li lega” (cfr. da ultimo Cass. 21/11/2019, n. 30335).

1.5. Come pure, secondo Cass. 26/1/2016, n. 1332, “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali ed il contribuente deduca che tale spesa sia il frutto di liberalità, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, (applicabile “ratione temporis”), la relativa prova deve essere fornita dal contribuente con la produzione di documenti, dai quali emerga non solo la disponibilità all’interno del nucleo familiare di tali redditi (nella specie, da parte della madre, titolare di maggiore capacità economica), ma anche l’entità degli stessi e la durata del possesso in capo al contribuente (nella specie, il figlio) interessato dall’accertamento”.

2. Il secondo motivo lamenta la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 58 (in riferimento agli artt. 53 e 111 Cost.), la falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 e la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4, avendo la CTR erroneamente considerato nuovo l’argomento riguardante la prova delle disponibilità finanziarie del ricorrente, laddove, nel caso in esame, veniva in rilievo solo la produzione, consentita dall’art. 58, di un nuovo documento volto a giustificare la disponibilità di somme di denaro.

2.1. Il motivo è infondato.

2.2. Anche se del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, il comma 2 consente alle parti di produrre innanzi al giudice d’appello nuovi documenti, tale possibilità deve ritenersi pur sempre limitata ai casi nei quali il documento serva per corroborare un assunto difensivo già svolto nel corso del giudizio di primo grado, non potendo invece tale facoltà essere utilizzata allo scopo di sorreggere nuove domande od eccezioni, il cui divieto deriva dal disposto di cui all’art. 57 D.Lgs. cit..

2.3. Nel caso in esame, stando all’esame della sentenza impugnata, è evidente che il fatto nuovo, censurato dalla CTR, non è costituito dal deposito del documento attestante la disponibilità di risorse finanziarie ulteriori, ma dal tentativo del ricorrente di introdurre un argomento non trattato nel precedente grado di giudizio (ossia il possesso di somme idonee a giustificare le spese contestate), come del resto si ricava dal tenore letterale della sentenza impugnata che qualifica assolutamente nuovo e inammissibile “l’argomento difensivo in uno con la documentazione di riferimento”.

2.4. D’altronde, quando la giurisprudenza di questa Corte afferma che “In tema di contenzioso tributario, ai sensi del D.Lgs. n. 542 del 1996, art. 57, comma 2, sono precluse in appello esclusivamente le nuove eccezioni in senso tecnico, dalle quali deriva un mutamento degli elementi materiali del fatto costitutivo della pretesa ed il conseguente ampliamento del tema della decisione” (cfr. ad es. Cass. n. 23587 del 2016), enuncia un principio applicabile al caso in esame, nel quale la prospettazione da parte del contribuente, per la prima volta in sede di appello, di disponibilità finanziarie tali da giustificare le spese contestate dall’Amministrazione finanziaria, introduce un fatto estintivo-impeditivo della pretesa fiscale e dunque un ampliamento del tema del giudizio.

3. Le ragioni che precedono impongono il rigetto del ricorso. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso. Pone le spese del giudizio di legittimità a carico della ricorrente, liquidandole in Euro 2300,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 2 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2021

 

 

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