Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8726 del 13/04/2010

Cassazione civile sez. III, 13/04/2010, (ud. 03/03/2010, dep. 13/04/2010), n.8726

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 2508/2006 proposto da:

INA VITA S.P.A. (di seguito, per brevità, anche “INA VITA”

(OMISSIS) in persona dell’Avv. M.M., Procuratore del

Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR 17, presso lo studio dell’avvocato ROMA Michele, che la

rappresenta e difende giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

K.L., GENERALI ASSICURAZIONI S.P.A. (OMISSIS);

– intimati –

sul ricorso 6162/2006 proposto da:

ASSICURAZIONI GENERALI S.P.A. in persona del Dott. F.D.

C.A. e dell’Avv. F.M., elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 17, presso lo studio dell’avvocato

ROMA MICHELE, che la rappresenta e difende giusta delega in calce al

ricorso incidentale;

– ricorrenti –

contro

K.L., INA VITA SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 139/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

Sezione Seconda Civile, emessa il 10/6/2004, depositata il

13/01/2005, R.G.N. 8004/2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

03/03/2010 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA AMBROSIO;

udito l’Avvocato ANTONIO DONATONE per delega dell’Avvocato MICHELE

ROMA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI Pietro, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.1. Con sentenza in data 1-10-2001, il Tribunale di Roma condannava l’I.N.A. s.p.a. al pagamento in favore di K.L. della somma di L. 200.000.000, oltre interessi legali e spese processuali, a titolo di indennizzo dovuto al coniuge beneficiario della polizza assicurativa vita, a seguito di morte della stipulante M.L..

1.2. Proposta impugnazione con atti in pari data sia da parte delle ASSICURAZIONI GENERALI s.p.a., succeduta all’I.N.A. s.p.a. in tutti i rapporti ad essa relativi ad eccezione di quelli concernenti il Ramo Vita, sia da parte dell’I.N.A. VITA s.p.a., subentrata nei rapporti concernenti detto ramo d’azienda, la Corte di appello di Roma, previa riunione delle impugnazioni avverso la stessa decisione, con sentenza in data 10 giugno 2004, dichiarava inammissibile l’appello proposto dalle ASSICURAZIONI GENERALI s.p.a. e rigettava quello dell’I.N.A. VITA s.p.a.; condannava le appellanti in solido al pagamento delle ulteriori spese processuali.

1.3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’I.N.A. VITA s.p.a., svolgendo quattro motivi.

Dal canto suo le ASSICURAZIONI GENERALI s.p.a. ha proposto ricorso incidentale, affidato agli stessi motivi svolti nel ricorso principale e ad un ulteriore autonomo motivo.

Sono state depositate memorie da entrambe le ricorrenti.

Nessuna attività difensiva è stata svolta dall’intimato K. L..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente occorre procedere ex art. 335 c.p.c., alla riunione dei ricorsi, principale e incidentale, avverso la medesima sentenza.

1.1. Con il primo motivo di ricorso, comune alla ricorrente principale e a quella incidentale, si denuncia la nullità della sentenza della Corte di appello, violazione dell’art. 301 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

1.2. Il motivo muove dal rilievo che, nelle more tra l’udienza di precisazione delle conclusioni e il deposito della sentenza, è intervenuto il decesso dell’avv. E.V., procuratore e difensore del K., con conseguente interruzione di diritto del processo.

Il motivo non merita accoglimento.

Al riguardo sì osserva che la violazione delle norme sull’interruzione del processo determina la nullità di tutti gli atti compiuti successivamente al verificarsi dell’evento interruttivo o alla dichiarazione o notificazione di esso; tuttavia, trattasi di nullità relativa eccepibile, ex art. 157 cod. proc. civ., soltanto dalla parte nel cui interesse sono poste le norme sull’interruzione e, cioè, dalla parte colpita dall’evento interruttivo (Cass. civ., Sez. 3^, 28/11/2007, n. 24762 Cass. 6.9.2002, n. 12980; Cass. 29.8.1998, n. 8641).

Nella specie la violazione dell’art. 300 c.p.c., è dedotta da soggetti diversi dagli interessati, per cui il motivo non è utilmente proposto.

2. Nell’ordine logico va esaminata, a questo punto, la questione dell’ammissibilità o meno dell’appello delle ASSICURAZIONI GENERALI s.p.a..

2.1. Con il secondo motivo di ricorso incidentale si denuncia, infatti, violazione e falsa applicazione degli artt. 100, 111 e 339 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La s.p.a. ASSICURAZIONI GENERALI si duole che sia stata dichiarata l’inammissibilità dell’appello da essa proposto sul presupposto del proprio difetto di legittimazione ad appellare, per avere la Corte di appello ritenuto a ciò legittimata l’altra appellante I.N.A. VITA s.p.a., in quanto succeduta per il Ramo Vita all’I.N.A. s.p.a.. In contrario senso deduce che la legittimazione ad appellare le derivava dalla qualità di successore a titolo universale dell’originaria convenuta, qual essa era a seguito di incorporazione per fusione della I.N.A. s.p.a.; precisa che, in tale qualità, essa appellante aveva chiesto, tra l’altro, di condannare il K. “alla restituzione in favore del soggetto che risulterà legittimato” delle somme dallo stesso percette durante il giudizio di primo grado, mentre l’altra appellante INA VITA s.p.a., conferitaria del Ramo Vita, aveva richiesto “in via preliminare dichiarare l’estromissione dal presente giudizio di ASSICURAZIONI GENERALI s.p.a. in quanto carente di legittimazione passiva”; rileva, dunque, che a norma dell’art. 111 c.p.c., avrebbe dovuto essere disposta l’estromissione di essa appellante e non già dichiarato il proprio difetto di legittimazione a impugnare, dal momento che, sino a quando non è estromesso, il successore a titolo universale e quello a titolo particolare sono litisconsorti necessari.

2.2. Il motivo non merita accoglimento.

Invero – considerato che la statuizione di inammissibilità segue sia al rilievo della genericità delle conclusioni rassegnate dalle ASSICURAZIONI GENERALI s.p.a. per avere essa chiesto la condanna del K. alla restituzione della somma portata della sentenza “in favore di chi di ragione”, sia alla considerazione della carenza di legittimazione ad appellare della stessa società – la decisione sul punto appare sorretta da due autonome rationes decidendi, ognuna sufficiente, ex se, a sorreggere il dictum.

Va qui ribadito – in conformità ad un insegnamento assolutamente pacifico presso la giurisprudenza di questa Corte regolatrice – che ove una sentenza (o un capo di questa) si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronunzia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinchè sì realizzi lo scopo stesso dell’impugnazione, la quale è intesa alla cassazione della sentenza in toto, o in un suo singolo capo (id est di tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano). E’ sufficiente, pertanto, che anche una sola delle dette ragioni non formi oggetto di censura, ovvero che sia respinta la censura relativa anche ad una sola delle dette ragioni, perchè il motivo di impugnazione debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni (ex multis Cass. 18 maggio 2005, n. 10420; Cass. 4 febbraio 2005, n. 2274; Cass. 26 maggio 2004, n. 10134).

Ciò posto, il motivo sopra riassunto, esclusivamente incentrato sulla rilevata carenza di legittimazione (e, peraltro, inadeguato, sotto il profilo dell’autosufficienza, per il rinvio a dati documentali concernenti le vicende societarie che neppure si allega essere stati forniti ai giudici a quibus), risulta inammissibile, per carenza di interesse, dal momento che censura solo una delle due rationes deciderteli, sopra individuate, senza impingere l’altra, concernente il difetto di specificità delle conclusioni, di per sè sufficiente a sorreggere la statuizione di inammissibilità dell’appello delle ASSICURAZIONI GENERALI. 2.3. Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso incidentale, risultando assorbite (come motivi di ricorso incidentale, essendo, comunque, materia del ricorso principale) le altre censure attinenti al merito della decisione impugnata.

3. Di seguito si esamineranno, dunque, gli altri motivi di ricorso principale.

3.1. Con il secondo motivo di ricorso principale si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 218 del 1995, artt. 64 e 72, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; violazione e falsa applicazione dell’art. 796 c.p.c., e segg., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

3.1.1. Il motivo si incentra sul punto della decisione che ha tratto riscontro del fondamento della pretesa di pagamento dell’indennizzo assicurativo, dovuto per la morte della stipulante M.L., dalla sentenza emessa dal tribunale di Duala (Camerun), dichiarativa dell’apertura della successione della M. a seguito di decesso della stessa per annegamento in mare. In particolare la Corte di appello ha ritenuto che non fosse necessario l’esperimento della procedura di delibazione della sentenza straniera, invocata dall’odierna ricorrente; e ciò sia perchè la procedura di delibazione avrebbe eventualmente dovuto riguardare le statuizioni successorie, costituenti il petitum e la causa petendi di quel giudizio, avendo la sentenza straniera dato atto del decesso solo in via pregiudiziale; sia perchè la presente causa era stata, comunque, instaurata in data successiva all’entrata in vigore della L. n. 218 del 1995 e le statuizioni ivi contenute non erano in contrasto con le norme dell’ordine pubblico e di buon costume, per cui correttamente il Tribunale ne aveva tenuto conto per stabilire se sussistessero le condizioni previste dalla polizza per la liquidazione dell’indennità al coniuge beneficiario.

3.1.2. In contrario senso parte ricorrente deduce che ai fini dell’applicabilità della procedura di delibazione occorreva considerare la data del passaggio in giudicato della sentenza straniera (che era quella del 26-2-1996, antecedente alla data del 31- 12-1996 di entrata in vigore della L. n. 218 del 1995) e non già quella della proposizione del presente giudizio, dovendosi far rientrare la fattispecie tra “le situazioni esaurite” per cui la disciplina transitoria contenuta nell’art. 72 stessa legge prevede l’applicazione della normativa previgente, con la conseguenza che la sentenza straniera non sarebbe automaticamente efficace nel nostro ordinamento. In ogni caso – a parere della ricorrente – la Corte di appello avrebbe irritualmente effettuato un giudizio di delibazione incidentale, senza osservare le norme di cui all’art. 796 c.p.c., e segg., come dimostrerebbe il richiamo all’ordine pubblico e al buon costume con una formula che rimanda all’art. 31 preleggi, senza, peraltro, motivare le ragioni per cui si escludeva un contrasto tra la sentenza camerunese e le disposizioni di cui agli artt. 48, 49 e 50 c.p.c., e sugli effetti di tali situazioni relativamente all’apertura della successione (trattandosi di disposizioni di ordine pubblico), nè precisare per quale motivo si assegnava valore all’accertamento del decesso della M. contenuto nella suddetta sentenza, sebbene questo non fosse stato ritenuto oggetto del giudicato.

3.2. Con il terzo motivo di ricorso principale si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

3.2.1. Il motivo riguarda il punto della decisione impugnata, in cui si ritiene soddisfatta la previsione della polizza che, ai fini della liquidazione dell’indennizzo, richiedeva la produzione del certificato di morte, oltre che di una relazione medica sulle cause del decesso e di eventuale altra documentazione richiesta dall’assicuratore. Al riguardo la Corte di appello ha rilevato che dalla documentazione prodotta dall’originaria parte attrice – e precisamente: il verbale della polizia locale, contenente le dichiarazioni delle persone che avevano assistito alla scomparsa in mare dell’assicurata, travolta da un’enorme onda, nonchè le successive indagini svolte sul posto, dove erano rinvenuti i vestiti della M.; la già richiamata sentenza del Tribunale di Duala, dichiarativa dell’apertura della successione della predetta; la relazione medica redatta per la morte della donna – si ricavava la prova sia del decesso della stipulante, sia delle circostanze in cui esso era avvenuto.

3.2.2. In contrario senso parte ricorrente deduce che, al pari della sentenza camerunese, che non era automaticamente riconoscibile nel nostro ordinamento, identico giudizio di “inutilizzabilità” dovrebbe coinvolgere anche gli altri documenti, che sarebbero privi del crisma di ufficialità e, comunque, non integranti il certificato di morte richiesto dalla polizza. A parere della ricorrente la Corte di appello non avrebbe chiarito le ragioni dell’utilizzazione di siffatta documentazione, nè della sua idoneità probatoria in difetto di riconoscibilità automatica; in ogni caso si tratterebbe di documentazione intrinsecamente contraddittoria, in quanto dava atto della morte di un soggetto, sulla base di un certificato medico, costituente “un esercizio di empirismo” per il mancato ritrovamento del cadavere.

3.3. I motivi che, per la stretta connessione, si esaminano congiuntamente non sono fondati.

3.3.1. Va innanzitutto osservato che l’argomento su cui si incentrano le censure di parte ricorrente – e, cioè, la necessità di un giudizio di delibazione della sentenza del Tribunale di Duala, dichiarativa dell’apertura della successione della stipulante la garanzia assicuratore – è, per un verso, erroneo e, per altro verso, comunque, non conferente alla fattispecie in esame .

Invero – precisato che la riserva di applicabilità delle previgenti norme di diritto internazionale privato (le c.d. preleggi), prevista dalla normativa transitoria richiamata dalla ricorrente, relativamente alle “situazioni esaurite” non riguarda le norme processuali – va innanzitutto ribadito che la nuova disciplina per il riconoscimento delle sentenze straniere, dettata dalla L. 31 maggio 1995, n. 218, si applica, ai sensi dell’art. 72, comma 1, della legge medesima, “in tutti i giudizi iniziati dopo la data della sua entrata in vigore”, intendendosi riferita l’espressione “giudizi iniziati” ai giudizi di riconoscimento della sentenza straniera, e non a quelli nel cui ambito detta sentenza sia stata emessa (Cass. civ., Sez. 1^, 25/06/2002, n. 9247).

3.3.2. Soprattutto occorre osservare che, nella specie, non si trattava di dare “ottemperanza” o di “portare ad esecuzione” la sentenza emessa tra le parti da un giudice straniero e neppure di dare riconoscimento in (OMISSIS) al relativo decisum, assegnando al detto provvedimento gli effetti che gli sono propri nell’ordinamento di provenienza, posto che – come accertato dai giudici del merito – l’oggetto di quel giudizio riguardava l’apertura della successione della M.. In altri termini ciò che era in discussione innanzi al Tribunale di Duala era il diritto alla successione della M., mentre il diritto del beneficiario della polizza prescinde dal diritto alla successione, trovando il suo fondamento nel contratto di assicurazione, ancorchè l’uno e l’altro diritto presuppongano il fatto storico della morte della stipulante la polizza assicurativa.

Vero è che la ricorrente sovrappone e confonde il piano della delibazione e quello della valutazione della rilevanza probatoria della sentenza straniera; laddove i giudici del merito hanno esaminato detta sentenza, nella sua autonoma potenzialità di “documento” e, cioè, quale atto (da ritenersi, in considerazione della sua provenienza, assistito da una presunzione di legalità e validità) idoneo a integrare – unitamente ad altri documenti ufficiali (in quanto tali, assistiti da analoga presunzione) quali il verbale di polizia e il certificato del medico ospedaliero – la prova della morte della stipulante e delle sue modalità, così soddisfacendo la clausola contrattuale richiamata da parte ricorrente.

Non a caso la ricorrente, nel tentativo di contraddire la valutazione espressa dai giudici del merito e di sminuire la valenza probatoria dei dati acquisiti in ordine alla morte della M., tenta di isolare e confondere i singoli elementi documentali indicati nella decisione impugnata, che, invece, proprio dal loro reciproco riscontrarsi trovano la loro valenza dimostrativa.

Quali che siano i limiti di ordine pubblico adombrati da parte ricorrente all’efficacia immediata e diretta della sentenza camerunese in (OMISSIS), ciò non vuoi dire che detto atto perda, per ciò solo, qualsiasi valenza probatoria relativamente a profili indipendenti dall’apertura della successione, fornendo conferma dell’evento, rappresentato dalla morte della M..

Si tratta di un accertamento di fatto, che seppure succintamente motivato dai giudici a quibus con il rilievo della convergenza dei dati documentali, a fronte della totale assenza di elementi in contrario, nonostante l’avvenuto decorso di oltre dieci anni dall’evento, non è suscettibile di sindacato in questa sede.

Si rammenta che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione, laddove censuri la ricostruzione e l’interpolazione del materiale istruttorio accolta dalla sentenza impugnata, deve evidenziare l’erroneità del risultato raggiunto dal giudice del merito attraverso l’allegazione e la dimostrazione dell’inesistenza o della assoluta inadeguatezza dei dati che egli ha tenuto presenti ai fini della decisione, o delle regole giustificative (anche implicite) che da quei dati hanno condotto alla conclusione accolta, non potendo limitarsi alla mera contrapposizione di un risultato diverso sulla base di dati asseritamente più significativi o di regole di giustificazione prospettate come più congrue (Cass. 25 febbraio 2005. n. 3994).

Nella specie la ricorrente si limita a insinuare meri elementi di dubbio sull’affidabilità della documentazione in parola, lasciando ipotizzare una valutazione meramente alternativa e non esclusiva; e ciò non è consentito in sede di legittimità.

In definitiva entrambi i motivi all’esame vanno rigettati.

4. Con il quarto motivo di ricorso principale si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

4.1. il motivo riguarda il punto della decisione che ha disatteso la censura relativa alla liquidazione degli interessi per la considerazione che “…sebbene si sia trattato di una fattispecie anomala, vi erano pur sempre dei documenti ufficiali a fronte dei quali l’assicuratore avrebbe dovuto adempiere all’obbligazione..”.

4.1.1. Al riguardo parte ricorrente deduce che, a fronte di una situazione anomala l’assicuratore ha agito nell’ottica del diligente assicuratore, per cui non sussisterebbe il requisito della colpa riconosciuto dalla Corte di appello.

4.2. Il motivo è infondato.

Valga considerare che il superamento del limite del massimale non si colloca nell’ambito della disciplina della responsabilità contrattuale (comunemente definita da mala gestio c.d. propria), trovando fondamento non già nella violazione dell’obbligo dell’assicuratore di comportarsi secondo buona fede o correttezza nell’esecuzione del contratto ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c., bensì nel disposto dell’art. 1224 c.c., in quanto debito da ritardo nell’adempimento di un’obbligazione pecuniaria nei confronti del beneficiario, che è terzo estraneo al contratto di assicurazione.

Sotto questo profilo la Corte di appello ha correttamente posto in evidenza che, al di là dell’anomalia della situazione (mancato rinvenimento del cadavere), il credito del beneficiario della polizza era liquido ed esigibile, stante la presenza di documentazione ufficiale attestante la morte della stipulante.

In conclusione anche il ricorso principale va rigettato.

Nulla deve disporsi in ordine alle spese del giudizio di legittimità non avendo parte intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta.

Così deciso in Roma, il 3 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2010

 

 

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