Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8724 del 13/04/2010

Cassazione civile sez. III, 13/04/2010, (ud. 03/03/2010, dep. 13/04/2010), n.8724

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 563/2006 proposto da:

CONSIGLI DI VIAGGI SNC (OMISSIS) Agenzia di Viaggi in

persona del suo legale rappresentante P.D.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CORSICA 6, presso lo studio

dell’avvocato BADOLATO DOMENICO, rappresentata e difesa dall’avvocato

SIGILLO’ Fabrizio giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

L.M.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA FEDERICO CESI 21, presso lo studio dell’avvocato TALLARICO

ALESSANDRA, rappresentata e difesa dall’avvocato VISCOMI Rosalba

giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1569/2005 del GIUDICE DI PACE di

CATANZARO,emessa il 22/9/05, depositata il 11/10/2005, R.G.N. 327/05;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

03/03/2010 dal Consigliere Dott. MARIO FINOCCHIARO;

udito l’Avvocato FABRIZIO SIGILLO’;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto 26 gennaio 2005 L.M.A. ha convenuto in giudizio, innanzi al giudice di pace di Catanzaro, la agenzia di viaggi Consigli di viaggi s.n.c., in persona del suo legale rappresentante, P.D..

Ha esposto l’attrice che il 5 ottobre 2004 aveva acquistato presso l’agenzia di Viaggi “Consigli di viaggi” due biglietti aerei per i voli (OMISSIS), che sui biglietti era stato indicato l’orario dei voli, il primo ((OMISSIS)) alle ore 19,30 ed il secondo ((OMISSIS)) alle ore 21,45, che il (OMISSIS), recatasi all’aeroporto di (OMISSIS), aveva constatato che l’orario dei voli, come indicato sui biglietti, era errato (il volo (OMISSIS), indicato per le ore 19,30 veniva effettuato alle 18,55, mentre l’orario del volo (OMISSIS), indicato sul biglietto per le ore 21,45, era per le ore 20,30).

Riferito quanto sopra l’attrice ha fatto presente che pur riuscendo ad imbarcarsi sul volo (OMISSIS), raggiungendo (OMISSIS), essa attrice aveva perso la coincidenza per (OMISSIS) ed era stata costretta a soggiornare a (OMISSIS), con gravi disagi, ivi compresa la ricerca di un albergo.

Stante la evidente responsabilità per inadempimento dell’agenzia di viaggi, la quale aveva venduto biglietti contenenti indicazioni errate in merito all’orario, la attrice ha chiesto che accertata la responsabilità della società convenuta quest’ultima fosse condannata al risarcimento del danno, da liquidare in Euro 1100,00 per spese di soggiorno e indennizzo di tutti gli altri disagi.

Costituitasi in giudizio la convenuta Agenzia di Viaggi ha resistito alla avversa pretesa facendo presente che l’attrice aveva appreso, prima di partire da (OMISSIS), della variazione di ambedue i voli, imbarcandosi per tempo sul primo volo e perdendo poi, inspiegabilmente, la coincidenza del volo delle ore 20,30 (OMISSIS), che gli orari indicati sui biglietti, al momento del loro acquisto, erano corretti, mentre la variazione era avvenuta qualche giorno dopo l’acquisto (il (OMISSIS) per la (OMISSIS) e il (OMISSIS), per l'(OMISSIS)), che faceva difetto la causalità tra fatto e danno, essendo l’attrice riuscita a decollare da (OMISSIS) con il volo anticipato dalle 19,30 alle 18,55, atterrando a (OMISSIS) alle 19,52, e non riuscendo ad imbarcarsi sul volo delle ore 20,30 non potendo così sostenere di avere perso la coincidenza a causa della mancata conoscenza dell’orario esatto indotta dall’errore riportato sul biglietto, atteso che in una tale evenienza avrebbe dovuto perdere il primo volo.

In ogni modo la convenuta ha eccepito, altresì, la propria carenza di legittimazione passiva poichè l’eventuale errore era imputabile al sistema informatico e quindi al vettore, mentre ove il risarcimento si fondasse sulla variazione dell’orario, sul ritardo del volo o sulla mancata coincidenza, il soggetto passivo sarebbe comunque il vettore, esponendo, comunque, che a norma dell’art. 9 delle condizioni generali, gli orari potevano essere cambiati senza preavviso e che il vettore non assume responsabilità per le coincidenze; deducendosi da ciò che il contratto di viaggio intercorre tra vettore e passeggero, mentre l’agenzia era estranea.

In ogni caso – ha fatto presente la convenuta – da un lato, l’Agenzia si era adoperata per rintracciare la L. per informarla del cambio di orario dei voli avendo predisposto per lei il modulo di prenotazione con i nuovi orari, ma il modulo, tuttavia, non era mai stato ritirato per esclusiva negligenza dell’attrice, dall’altro, la richiesta risarcitoria era decisamente spropositata ed ha concluso chiedendo, in via principale il rigetto della domanda, in via riconvenzionale la condanna dell’attrice, oltre alle spese di giudizio, anche di tutti i danni da essa convenuta patiti, nella misura di Euro 500,00 o in quella maggiore o minore ritenuta di giustizia, chiedendo una pronuncia secondo diritto anzichè secondo equità per il mutato valore della causa in conseguenza della domanda riconvenzionale.

Svoltasi la istruttoria del caso l’adito giudice di pace, con sentenza 22 settembre – 11 ottobre 2005, pronunziando secondo equità, ha condannata la convenuta al pagamento in favore dell’attrice della somma di Euro 800,00, oltre interessi dalla domanda al saldo, rigettata la domanda riconvenzionale.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, notificata il 3 novembre 2005 ha proposto ricorso, affidato a cinque motivi.

Resiste, con controricorso L.M.A..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Nel regime anteriore all’attuale art. 339 c.p.c. (come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 1, comma 1), questa Corte regolatrice ha ripetutamente affermato con una giurisprudenza che al momento può dirsi consolidata che la individuazione del mezzo di impugnazione esperibile avverso le sentenze del giudice di pace avviene in funzione della domanda, con riguardo al suo valore (ai sensi dell’art. 10 c.p.c., e segg.) ed all’eventuale rapporto contrattuale dedotto (“contratto di massa” o meno), e non del contenuto concreto della decisione e del criterio decisionale adottato (equitativo o di diritto), operando invece il principio dell’apparenza nelle sole residuali ipotesi in cui il giudice di pace si sia espressamente pronunziato su tale valore della domanda o sull’essere la stessa fondata su un contratto concluso con le modalità di cui all’art. 1342 c.c. (In termini, ad esempio, Cass., sez. un., 16 giugno 2006, n. 13917; Cass. 3 marzo 2009, n. 7676; Cass. 7 febbraio 2008, n. 2999).

Pacifico quanto sopra si osserva che nella specie la odierna ricorrente per cassazione aveva proposto domanda, rigettata dal giudice di pace, eccedente il valore di Euro millecento (avendo chiesto il ristori dei danni patiti da essa convenuta per fatto della attrice e da liquidare nella misura di Euro 500,00 o in quella maggiore o minore ritenuta di giustizia), sì che la causa doveva – in tesi – essere decisa secondo diritto.

Il presente giudizio – ha precisato, peraltro, la sentenza impugnata – rientra nei limiti di competenza di cui all’art. 113 c.p.c., comma 2, come sostituito dal D.L. 8 febbraio 2003, n. 18, art. 1, convertito con modificazioni dalla L. 7 aprile 2003, n. 63.

La pronunzia, pertanto, alla stregua della domanda attorea – ha affermato il giudice a quo – viene resa secondo equità facendo applicazione dei principi informatori della materia.

Va rilevato sul punto – infatti – che ai fini della determinazione della competenza per valore nelle cause aventi a oggetto un somma di danaro, si deve avere solo riguardo alla somma complessivamente richiesta dall’attore, mentre il cumulo delle domande non opera nella ipotesi di riconvenzionale.

Essendosi il giudice di pace espressamente pronunciato sul valore della causa sottoposta al suo esame, affermando che detto valore era inferiore a Euro 1100,00 è evidente, concludendo sul punto, che il proposto ricorso per cassazione è ammissibile.

2. Come evidenziato in parte espositiva nella citazione introduttiva in primo grado l’attrice L. ha chiesto la condanna della Consigli di Viaggio s.n.c., per avere venduto biglietti contenenti indicazioni errate in merito all’orario.

Nel corso della seconda udienza l’attrice, nel depositare controdeduzioni alla difese dell’avversaria ha rettificato il momento di conoscenza del nuovo orario di partenza del volo da (OMISSIS), mutando altresì il tipo di inadempimento contrattuale, chiedendo che la convenuta fosse condannata non più per gli orari errati ma per non aver mai comunicato all’attrice il mutamento degli orari prima della partenza.

Avendo la convenuta eccepito la “novità” e, quindi, la inammissibilità di una tale domanda il giudice di pace ha disatteso una tale eccezione osservando che tale rilievo appare del tutto infondato.

L’introduzione nel processo, da parte dell’attrice, di circostanze diverse rispetto a quelle prospettate in domanda non ha comportato una mutatio libelli, essendo rimasto identico il tema di indagine e, in particolare, non essendo stata sostituita alla domanda di “inadempimento del mandato” una causa petendi diversa.

La modificazione della domanda attraverso la indicazione di “circostanze diverse” non ha, cioè, comportato l’ingresso nel processo di elementi costitutivi di una “nuova” situazione giuridica, ma solo una diversa articolazione della medesima situazione giuridica.

Occorre, in ogni caso, osservare, alla stregua di consolidato orientamento giurisprudenziale, che nel processo dinanzi al Giudice di pace, non essendo configurabile una distinzione tra udienza di prima comparizione e prima udienza di trattazione, le parti, all’udienza di cui all’art. 320 c.p.c. (come effettivamente svolta in esito al preliminare tentativo di conciliazione), possono ancora allegare fatti nuovi e proporre nuove domande od eccezioni, in considerazione del fatto che esse sono ammesse a costituirsi fino a detta udienza.

3. Con i primi due motivi la ricorrente denunzia, nella parte de qua la sentenza impugnata, lamentando:

– da un lato, “la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto, nonchè la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia con riferimento agli artt. 320, 311, 180, 183 e 184 c.p.c., ed in relazione al punto della controversia impugnata nel quale il giudice di pace di Catanzaro ritiene ammissibile la domanda nuova introdotta dall’attrice alla udienza del 12 aprile 2005 e respinger l’eccezione di parte convenuta”, atteso che al termine della prima udienza erroneamente il giudice aveva rinviato la causa ad altra udienza per il tentativo di conciliazione atteso che non vi era stata alcuna istanza per un rinnovo di quell’incombente fallito per assenza della parti nè di alcun altro tra quelli previsti dai primi 3 commi dell’art. 320 c.p.c., (primo motivo);

– dall’altro “la violazione e falsa applicazione di norme di diritto nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia con riferimento agli artt. 320, 311, 180 e 183 e 184 c.p.c.”, in relazione al punto in cui non ha ritenuto la nuova domanda introdotta nel corso dell’udienza del 12 aprile 2005 (secondo motivo).

4. Entrambi tali motivi sono infondati.

Come pacifico presso una più che consolidata giurisprudenza di questa Corte regolatrice, si ha mutatio libelli quando si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un petitum diverso e più ampio oppure una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima e particolarmente su un fatto costitutivo radicalmente differente, di modo che si ponga al giudice un nuovo tema d’indagine e si spostino i termini della controversia, con l’effetto di disorientare la difesa della controparte ed alterare il regolare svolgimento del processo.

Si ha, invece, semplice emendatici quando si incida sulla causa petendi, in modo che risulti modificata soltanto l’interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto, oppure sul petitum, nel senso di ampliarlo o limitarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere (in termini, ad esempio, Cass. 27 luglio 2009, n. 17457; Cass. 8 ottobre 2007, n. 21017).

Applicando il riferito principio al caso di specie è palese che si è a fronte a una semplice emendatio libelli essendo rimasti immutati sia il petitum la domanda di danni sia la causa petendi l’inadempimento contrattuale per essere stati consegnati biglietti contenenti indicazioni erronee in merito all’orario e riguardando la precisazione sviluppata successivamente quanto alla omessa comunicazione del mutamento degli orari di effettuazione dei voli, prima della partenza – una mera precisazione della fattispecie costitutiva della pretesa risarcitoria, resa necessaria dalle stesse difese della controparte (allorchè ha escluso ogni propria responsabilità atteso gli orari indicati sui biglietti erano stati variati dalle compagnie aeree successivamente all’emissione dei biglietti stessi).

5. Con il terzo e il quarto motivo la ricorrente denunzia, nell’ordine:

– da un lato “violazione dell’art. 22, comma 3, Convenzione di Bruxelles 23 aprile 1970, ratificata con L. n. 1084 del 1977 e dell’art. 1742 c.c., e segg., e violazione e falsa applicazione dell’art. 1759 c.c. e art. 1710 c.c., nonchè la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in relazione alla parte dell’impugnata sentenza nella quale viene riconosciuto in capo all’agenzia un dovere contrattuale consistente nel doversi attivare per raggiungere ed informare il passeggero della modifica da parte dei vettori dell’orario di viaggio intervenuta dopo la vendita del biglietto” (terzo motivo);

– dall’altro “violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia anche in relazione all’art. 2697 c.c., con riferimento ai punti della motivazione della sentenza nei quali il giudice di pace di Catanzaro ammette senza essere provate tutte le circostanze di fatto relative al viaggio intrapreso dall’attrice, talune delle quali non dedotte dalle parti e tuttavia assunte, pur non avendone la qualità, a fatti di comune esperienza, non inesatta nozione del notorio” (quarto motivo).

6. Entrambi tali motivi sono inammissibili.

Come assolutamente pacifico presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, le sentenze pronunziate dal giudice di pace ai sensi dell’art. 113 c.p.c., sono impugnabili con ricorso per cassazione, oltre che per le violazioni e i motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1 e 2, solo – con riferimento al n. 3 dello stesso articolo – per violazioni della Costituzione, delle norme di diritto comunitario sovranazionali, della legge processuale, nonchè, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 206 del 2004, dei principi informatori della materia, restando pertanto escluse, anche dopo tale pronuncia, le altre violazioni di legge, mentre sono soggette a ricorso per cassazione – in relazione al n. 4 dello stesso art. 360 c.p.c. – per nullità attinente alla motivazione, solo ove questa sia assolutamente mancante o apparente, ovvero fondata su affermazioni contrastanti o perplesse o, comunque, inidonee ad evidenziare la ratio deciderteli (tra le tantissime, ad esempio, Cass. 19 marzo 2007, n. 6382; Cass. 18 aprile 2008, n. 10213. Ma cfr., altresì, Cass. 18 giugno 2008, n. 16545; Cass. 3 novembre 2008, n. 26422).

Certo quanto sopra, pacifico che nella specie la sentenza ora oggetto di ricorso per cassazione è stata pronunziata secondo equità e che la ricorrente non denunzia la violazione dei principi informatori della materia, nè della Costituzione o di altre norme di diritto comunitario sovranazionali, nè la assoluta carenza di motivazione ma unicamente vizi di questa rilevanti (eventualmente) sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è evidente la inammissibilità di entrambi i motivi in esame.

7. Come anticipato, accertato l’inadempimento contrattuale della odierna ricorrente, il giudice a quo ha condannato la stessa al risarcimento (oltre che del danno patrimoniale, liquidato in Euro 100,00) del danno “morale” (liquidato in Euro 100,00) e di quello “esistenziale” (liquidato in Euro 600,00) “così determinati facendo ricorso, per quanto attiene alle esigenze probatorie, a criteri presuntivi, attesa la difficoltà di misurare tali danni in base a parametri certi e predeterminati”.

8. Con il quinto, e ultimo, motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte de qua per avere questa riconosciuto la risarcibilità di danni morali e esistenziali in favore della controricorrente, “violando ogni criterio di legge e di equità in merito sia all’accertamento che alla liquidazione del danno”, cioè denunziando la violazione da parte del giudice a quo dei principi informatori della materia.

9. Il motivo è fondato e meritevole di accoglimento.

Al riguardo, deve ribadirsi, infatti, ulteriormente, che costituisce, al momento, principio informatore della materia l’affermazione secondo cui non è ammissibile – nel nostro ordinamento – l’autonoma categoria di “danno esistenziale”, inteso quale pregiudizio alle attività non remunerative della persona.

Infatti:

– ove in essa si ricomprendano i pregiudizi scaturenti dalla lesione di interessi della persona di rango costituzionale, ovvero derivanti da fatti-reato, essi sono già risarcibili ai sensi dell’art. 2059 c.c., interpretato in modo conforme a Costituzione, con la conseguenza che la liquidazione di una ulteriore posta di danno comporterebbe una duplicazione risarcitoria;

– ove nel “danno esistenziale” si intendesse includere pregiudizi non lesivi di diritti inviolabili della persona, tale categoria sarebbe del tutto illegittima, posto che simili pregiudizi sono irrisarcibili, in virtù del divieto di cui all’art. 2059 c.c.” (In termini, Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972. Sempre nello stesso senso, Cass. 25 settembre 2009, n. 20684, nonchè Cass. 30 novembre 2009, n. 25236).

Certo, che il danno c.d. esistenziale non costituisce una categoria autonoma di pregiudizio, ma rientra nel danno non patrimoniale è palese che lo stesso non può essere liquidato separatamente solo perchè diversamente denominato, richiedendosi, nei casi in cui sia risarcibile come danno non patrimoniale, che sussista da parte del richiedente la allegazione degli elementi di fatto dai quali desumere l’esistenza e l’entità del pregiudizio (Cass., sez. un., 16 febbraio 2009, n. 3677).

Contemporaneamente, si osserva – ancora una volta alla luce dei principi informatori della materia della responsabilità civile – che il danno non patrimoniale, alla stregua di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., costituisce una categoria ampia, comprensiva non solo del cosiddetto danno morale, ovverosia della sofferenza contingente e del turbamento d’animo transeunte, determinati da un fatto illecito integrante un reato, ma anche di ogni ipotesi in cui si verifichi un’ingiusta lesione di un valore inerente alla persona, costituzionalmente garantito, alla quale consegua un pregiudizio non suscettibile di valutazione economica, senza soggezione al limite derivante dalla riserva di legge correlata all’art. 185 c.p. (Cass. 22 giugno 2009, n. 14551, nonchè Cass. 13 novembre 2009, n. 24044; Cass. 19 febbraio 2009, n. 4053).

Il danno non patrimoniale morale, inoltre, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento contrattuale e la sua attribuzione non può prescindere da una specifica allegazione, nell’atto introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo (Cass. 19 dicembre 2008, n. 29832).

Non controversi i principi di diritto che precedono, non essendosi il giudice a quo attenuto agli stessi, certo essendo che l’attrice in primo grado non solo non ha denunziato la lesione di ingiusta lesione di un valore inerente alla persona, costituzionalmente garantito, ma ha invocato l’attribuzione di un danno esistenziale come categoria autonoma di pregiudizio, è palese che la sentenza impugnata deve essere cassata.

Non essendo, peraltro, necessari ulteriori accertamenti di fatto la causa può essere decisa nel merito, con rigetto della domanda di risarcimento quanto ai danni morali e esistenziali e conferma della statuizione unicamente relativamente all’accoglimento del danno patrimoniale.

Stante l’esito finale del giudizio, l’accoglimento solo in minima parte della domanda proposta dalla L. ritiene la Corte esistano giusti motivi onde disporre, tra le parti, la totale compensazione sia delle spese del giudizio innanzi al giudice di pace, che quelle di questo giudizio di legittimità.

PQM

LA CORTE accoglie il quinto motivo di ricorso;

rigetta gli altri;

cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di risarcimento quanto ai danni morali e esistenziali, confermando la statuizione relativamente al danno patrimoniale;

compensa, tra le spese, sia le spese del giudizio innanzi al giudice di pace che quelle di questo giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 3 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2010

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