Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8721 del 30/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 30/03/2021, (ud. 01/12/2020, dep. 30/03/2021), n.8721

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 13049/2014 R.G. proposto da:

B.M., rappresentato e difeso, per procura speciale in

atti, dall’avv. Claudio Virgilio e dall’avv. Domenico Cavaliere, con

domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Domenico Cavaliere in

Roma, via Corvisieri, n. 46;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Toscana, n. 113/35/13, depositata il 26 novembre 2013.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza dell’1 dicembre 2020

dal Consigliere Dott. Michele Cataldi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. De Matteis Stanislao, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del primo motivo ed il rigetto degli altri;

uditi gli Avv.ti dello Stato Pasquale Pucciariello ed Angelo De

Curtis per la controricorrente.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. B.M. ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana, n. 113/35/13, depositata il 26 novembre 2013, che ha rigettato il suo appello principale ed ha accolto l’appello incidentale dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Firenze, che aveva parzialmente accolto i ricorsi riuniti dello stesso contribuente contro gli avvisi di accertamento sintetici, relativi agli anni d’imposta 2007 e 2008, che, in materia di Irpef, avevano rideterminato il suo reddito per effetto dell’applicazione del “redditometro” di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4 e ss., in relazione all’acquisto di un’autovettura e della comproprietà con la moglie dell’abitazione principale, acquistata con un mutuo pluriennale.

Si è costituita la controricorrente Agenzia delle Entrate, al solo fine di partecipare all’udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente censura la sentenza impugnata per la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, per avere la CTR affermato che l’unico reddito da prendere in considerazione fosse quello del contribuente e non anche quelli dei componenti del suo nucleo familiare.

Il motivo è inammissibile, giacchè non coglie criticamente la ratio decidendi effettiva rassegnata sul punto dal giudice dell’appello.

Va premesso che al caso di specie si applica, ratione temporis, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 nella versione antecedente le modifiche introdotte dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 22 convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, poichè tale novella si applica solo a far data dall’anno d’imposta 2009.

Infatti, del D.L. n. 78 del 2010, predetto art. 22, il comma 1 espressamente prevede che le modifiche che esso reca al testo del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 abbiano “effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto”, vale a dire per gli accertamenti del reddito relativi ai periodi d’imposta successivi al 2009, tra i quali non sono compresi quelli sub iudice.

A sua volta, il D.M. 24 dicembre 2012, art. 5 conformemente alla citata disposizione di legge, statuisce che le ” disposizioni contenute nel presente decreto si rendono applicabili alla determinazione dei redditi e dei maggiori redditi relativi agli anni d’imposta a decorrere dal 2009″. Al riguardo questa Corte (Cass., 06/10/2014, n. 21041; Cass., 6/11/2015, n. 22744; Cass., 29.01.2016, n. 1772; Cass. 21.11.2019, n. 30355), nell’escludere l’applicazione retroattiva della novella in questione, ha già avuto modo di chiarire che:

a) non sono in questione i principi sulla retroattività, atteso che la giurisprudenza che afferma l’applicabilità degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e del 19 novembre 1992 ai periodi d’imposta precedenti alla loro adozione (da ultimo,ex plurimis, Cass., 26/02/2019, n. 556) si fonda piuttosto sulla natura procedimentale delle norme dei decreti, dalla quale soltanto (e non dalla retroattività) consegue la loro applicazione con riferimento al momento dell’accertamento;

b) neppure è in questione il principio del favor rei, la cui applicazione è predicabile unicamente rispetto a norme sanzionatorie, non invece in materia di poteri di accertamento o di formazione della prova, rilevanti in materia di redditometro;

c) comunque, l’individuazione della norma applicabile è questione di diritto intertemporale ed a fronte alla esplicita previsione di diritto transitorio, già richiamata, che inequivocabilmente identifica la norma applicabile, è recessivo anche il principio tempus regit actum, altrimenti applicabile alle norme che dovessero qualificarsi come procedimentali.

Tanto precisato, deve darsi atto che, come questa Corte ha già chiarito, anche con riferimento al testo qui rilevante ratione temporis del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, con riferimento alla determinazione sintetica del reddito complessivo netto in base ai coefficienti presuntivi individuati dai decreti ministeriali previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 (cd. redditometri), la prova contraria ivi ammessa, richiedendo la dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso, da parte del contribuente, di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, implica un riferimento alla complessiva posizione reddituale dell’intero suo nucleo familiare, costituito dai coniugi conviventi e dai figli, soprattutto minori, atteso che la presunzione del loro concorso alla produzione del reddito trova fondamento, ai fini dell’accertamento suddetto, nel vincolo che li lega” (Cass. 21/11/2019, n. 30355, conforme Cass. 07/03/2014, n. 5365).

Il contrasto della sentenza impugnata con tale interpretazione della norma è tuttavia solo astratto, giacchè nella motivazione, ad una prima affermazione generica di apparente irrilevanza dei redditi dei componenti il nucleo familiare, segue invece quella che gli stessi sono “da prendere in considerazione per determinare la capacità di spesa del singolo”, conclusione che, come si ricava dal ricorso, corrisponde a quello che il contribuente aveva prospettato nei ricorsi di merito.

Ed infatti, nel prosieguo della motivazione, la CTR ha valutato (nel merito, e quindi con apprezzamento non sindacabile, e comunque non sindacato, in questa sede) la potenziale incidenza della disponibilità degli altri due componenti del nucleo familiare, escludendola tuttavia, in fatto, sulla base di considerazioni relative all’entità dei redditi di questi ultimi; alla circostanza che lo stesso contribuente ha dichiarato che le spese di mantenimento dell’auto sono a suo carico per l’intero; ed al fatto che le spese relative all’abitazione erano state già considerate dall’Ufficio solo per la metà, atteso che l’altra metà era da imputarsi alla moglie comproprietaria.

Pertanto, la ratio decidendi ricavabile dalla sentenza impugnata non è quella, censurata dal motivo, dell’assunta astratta irrilevanza dei redditi dei componenti il nucleo familiare del contribuente; ma è quella dell’esclusione in concreto, ovvero in fatto, della loro incidenza rispetto agli elementi sui quali si fondano gli accertamenti sub iudice (sulla circostanza che la “famiglia fiscale” rilevi, ai fini dell’accertamento effettuato con “redditometro”, non in astratto, ma nei limiti nei quali il contribuente fornisca la prova di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, cfr. Cass. 05/12/2019, n. 31782, in motivazione).

2.Con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente censura la sentenza impugnata per la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4 e 7, per avere la CTR ritenuto corretto l’accertamento, che avrebbe posto “a confronto dati omogeni, ossia il reddito complessivo netto risultante dalle dichiarazioni del B.M. e quello – complessivo netto – accertabile sulla base degli indici di capacità contributiva”, con ciò violando, secondo il ricorrente, del ridetto art. 38, il comma 4 laddove si riferisce al “reddito complessivo netto accertabile” che si discosti per almeno un quarto da quello “dichiarato”. Inoltre, secondo il ricorrente, la CTR avrebbe anche erroneamente sostenuto che, dovendosi apprezzare con il redditometro la capacità di spesa del contribuente, sarebbe stata coerente la considerazione, da parte dell’Ufficio, “non del reddito imponibile, ma di quello risultante dalle deduzioni e detrazioni, che costituisce appunto il reddito netto”, con ciò violando del ridetto art. 38, il comma 7 laddove stabilisce che ” Dal reddito complessivo determinato sinteticamente non sono deducibili gli oneri di cui all’art. 10 del decreto indicato nel comma 2″, ovvero gli oneri deducibili ai fini Irpef.

Nella sostanza, il ricorrente lamenta che il “reddito complessivo netto dichiarato” sia stato identificato dalla CTR con quello “risultante dalle deduzioni e detrazioni”, ovvero di fatto con quello “imponibile” di cui al quadro RN, rigo RN4, del Modello Unico, derivante dalla differenza tra il “reddito complessivo” di cui al quadro RN, rigo RN1 (dato dalla somma dei redditi di ogni categoria, determinati sulla base di specifici criteri, afferenti alla persona fisica contribuente, al netto delle detrazioni e ad esclusione delle entrate per legge non assoggettate all’Irpef) e gli oneri deducibili e le deduzioni.

Riferendo il reddito “dichiarato” dal contribuente, di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, al concetto corrispondente di fatto (a prescindere dalla denominazione adottata) a quello “imponibile”, la CTR avrebbe innanzitutto contraddetto la propria affermazione, secondo la quale “Poichè il c.d. redditometro fa riferimento alla capacità di spesa, è coerente a ciò la considerazione non del reddito imponibile”.

Inoltre, prendendo in considerazione di fatto il reddito “imponibile” dichiarato, ovvero quello risultante al netto degli oneri deducibili, la CTR avrebbe ulteriormente contraddetto anche la propria affermazione di aver posto “a confronto dati omogeni”, poichè il “reddito complessivo determinato sinteticamente” ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 7, va computato al lordo degli oneri deducibili. Il maggior reddito accertato sinteticamente deriverebbe pertanto dal confronto tra due dati disomogenei con riferimento agli oneri deducibili, rispetto ai quali sarebbe netto quello dichiarato, ma lordo quello complessivo netto accertabile.

Secondo il ricorrente, in conclusione, il reddito “dichiarato” che l’Amministrazione avrebbe dovuto prendere in considerazione ai fini dell’accertamento effettuato sarebbe stato piuttosto quello “complessivo” di cui al quadro RN, rigo RN1, da intendersi comunque “netto” in quanto in esso confluiscono tutti i diversi redditi percepiti dalla medesima persona fisica, a loro volta “netti” in quanto “depurati dai costi connessi con ogni singolo tipo di percezione conseguita”.

Il motivo è inammissibile, poichè non risultano integrati i requisiti di forma-contenuto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di specifica indicazione, a pena d’inammissibilità del ricorso, degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonchè dei dati necessari all’individuazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradì dei giudizi di merito. (Cass. 15/01/2019, n. 777; Cass. 18/11/2015, n. 23575; Cass. Sez. U., 03/11/2011, n. 22726).

Infatti, nel corpo del motivo, il ricorrente non deduce di aver prodotto nel giudizio di merito (nè quindi specifica in quale grado e fase la produzione sia eventualmente avvenuta) l’avviso di accertamento e le dichiarazioni dei redditi relative agli anni d’imposta accertati; nè trascrive comunque parti di tali documenti idonee ad individuare quali siano, con riferimento alle annualità controverse, i redditi dichiarati in corrispondenza delle voci richiamate (di cui al quadro RN, rigo RN1 e rigo RN4) e quali quelli presi in considerazione dall’Amministrazione ai fini dell’accertamento, per il confronto con quello accertabile sinteticamente. Non sono quindi individuabili univocamente gli elementi della fattispecie concreta che sono stati presi effettivamente in considerazione dall’Amministrazione e dalla sentenza impugnata, nè quelli che secondo il contribuente avrebbero dovuto piuttosto essere considerati. Di conseguenza, resta preclusa la puntuale comprensione della specifica ed effettiva violazione di legge attribuita al giudice a quo nell’interpretazione e nell’applicazione, nel caso concreto, del concetto di “reddito complessivo netto”.

Tanto premesso, deve rilevarsi che il motivo, nella sua formulazione astratta, è comunque anche in contrasto con quanto già ritenuto da questa Corte.

La questione che pone il ricorrente consiste in sostanza nell’interpretazione del concetto di “reddito complessivo netto”, con riferimento al reddito “dichiarato”, di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, ridetto art. 38, comma 4, che coinciderebbe con il reddito complessivo di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 8 e con il rigo RN1 del quadro RN del Modello Unico, ed andrebbe quindi considerato al lordo degli oneri deducibili.

Al riguardo tuttavia questa Corte, con riferimento alla pretesa “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, (…) per avere interpretato la nozione di reddito dichiarato netto di cui alla norma suddetta con riferimento agli oneri di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 10 (TUIR) e non piuttosto alla nozione di reddito netto di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 8, comma 1” ha già affermato che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi con metodo sintetico, come regolato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, la rettifica dell’IRPEF va operata rapportando il reddito complessivo netto così accertato con il reddito dichiarato dal contribuente al netto degli oneri deducibili, dovendo essere eseguito il raffronto sulla base di dati omogenei” (Cass. 19/10/2007, n. 21932, in motivazione; conforme, in materia di Irpef, Cass. 16/04/2007, n. 8984).

E’ vero, peraltro, che, come evidenziato dal ricorrente, nell’evoluzione legislativa del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 l’aggettivo “netto” è venuto meno. Va tuttavia ribadito che (come già argomentato nella trattazione del primo motivo) non si applica retroattivamente la citata novella del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 a fronte di un’esplicita ed inequivoca disposizione transitoria contenuta nel D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 22, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010 n. 122, che la rende vigente solo a far data dall’anno d’imposta 2009, senza che possa rilevare in contrario l’attribuzione alla stessa novella di un’ipotetica valenza “procedimentale di natura interpretativa”, come sostenuto apoditticamente dal contribuente.

Non rileva pertanto, in questa sede, la variazione dell’art. 38, comma 4 laddove non si legge più “determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente”, ma solo “determinare sinteticamente il reddito complessivo del contribuente”, così come nel successivo comma 6 si parla della “determinazione sintetica del reddito complessivo”.

Lo stesso deve dirsi dell’art. 38, per il novellato comma 8 a norma del quale “Dal reddito complessivo determinato sinteticamente sono deducibili i soli oneri previsti dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 10; competono, inoltre, per gli oneri sostenuti dal contribuente, le detrazioni dall’imposta lorda previste dalla legge. (…)”; mentre il comma 7 ante novella disponeva al contrario: “Dal reddito complessivo determinato sinteticamente non sono deducibili gli oneri di cui all’art. 10 del decreto indicato nel comma 2”.

Non è quindi applicabile al caso sub iudice la modifica legislativa de qua.

3.Con il terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il ricorrente censura la sentenza impugnata per l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio.

Nella sostanza, il ricorrente lamenta che il giudice d’appello abbia erroneamente interpretato il thema decidendum introdotto dai ricorsi introduttivi del giudizio di primo grado e dell’appello, nella parte in cui il contribuente aveva impugnato l’accertamento sintetico perchè l’Ufficio aveva utilizzato, quali indici di capacità contributiva, non solo la disponibilità dell’autovettura (prevista dalla voce 3.2 della tabella allegata al D.M. 10 settembre 1992), ma anche le rate pagate per restituire il finanziamento ottenuto per l’acquisto della stessa, benchè tale voce non fosse espressamente prevista nell’applicato D.M. 10 settembre 1992 e costituisse una duplicazione della prima.

L’Ufficio aveva ritenuto che le rate pagate per restituire il finanziamento potessero essere comunque autonomamente valutate, quali “spese di gestione”, ai sensi del D.M. 10 settembre 1992, art. 1, comma 2, per il quale “Resta ferma la facoltà dell’ufficio di utilizzare per la determinazione sintetica del reddito complessivo netto anche elementi e circostanze di fatto indicativi di capacità contributiva diversi da quelli menzionati nel comma 1”.

La CTR, invece, avrebbe erroneamente ritenuto che l’autovettura fosse oggetto di un contratto di locazione finanziaria e che la controversia riguardasse la contemporanea considerazione tanto delle relative rate, quanto delle “spese di gestione”, intese come spese per il mantenimento dell’auto, ovvero “bollo, assicurazione, carburante, manutenzione”.

Inoltre aggiunge il ricorrente, anche supponendo corretta l’interpretazione del thema decidendum da parte della CTR, essa avrebbe comunque errato laddove ha ritenuto corretta l’imputazione al contribuente delle spese per il mantenimento dell’auto, ovvero “bollo, assicurazione, carburante, manutenzione”, sebbene queste ultime sarebbero state già considerate in materia forfettaria, in relazione alle caratteristiche del mezzo, dagli importi e dai coefficienti di cui alla voce 3.2 della tabella allegata al D.M. 10 settembre 1992, emanato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, applicabile ratione temporis.

Il motivo è inammissibile.

Infatti, “In tema di ricorso per cassazione, l’erronea interpretazione della domande e delle eccezioni non è censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), perchè non pone in discussione il significato della norma ma la sua concreta applicazione operata dal giudice di merito, il cui apprezzamento, al pari di ogni altro giudizio di fatto, può essere esaminato in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione, ovviamente entro i limiti in cui tale sindacato è ancora consentito dal vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)” (Cass. 03/12/2019, n. 31546, ex multis).

Pertanto, proposto il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), era onere del ricorrente rappresentare puntualmente il fatto del quale sarebbe stato omesso l’esame, ovvero il contenuto effettivo della sua domanda iniziale, al fine di evidenziare l’erroneo apprezzamento che ne avrebbe fatto il giudice a quo.

Tuttavia, nel caso di specie, il ricorrente si è limitato ad asserire il preteso diverso contenuto del proprio ricorso introduttivo e dell’appello, e quindi del thema decidendum” in modo apodittico, senza riprodurne il testo effettivo e comunque senza confrontare puntualmente e criticamente quest’ultimo con l’interpretazione della CTR, dunque senza evidenziare il difetto d’interpretazione nel quale quest’ultima sarebbe incorsa.

Nei termini nei quali è stato rappresentato, pertanto, il motivo si esaurisce nella contrapposizione tra la valutazione di un fatto effettuata dalla CTR e quella diversa sostenuta dal ricorrente, pretendendo una rivisitazione del giudizio di merito che non è consentita in questa sede. In una ulteriore censura compresa nello stesso motivo, il ricorrente lamenta che, anche nell’interpretazione della domanda effettuata dalla CTR, le “spese di gestione” dell’autovettura, intese come spese per il mantenimento del mezzo, non avrebbero dovuto essere valutate dall’Amministrazione, in quanto sarebbero state già considerate in materia forfettaria, in relazione alle caratteristiche del mezzo, dagli importi e dai coefficienti di cui alla voce 3.2 della tabella allegata al D.M. 10 settembre 1995, emanato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, applicabile ratione temporis.

Rubricata anch’essa come vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, pure tale censura è inammissibile, atteso che non denuncia l’omesso esame di un fatto storico, ma contesta l’interpretazione del D.M. 10 settembre 1992 data dalla CTR.

Tanto premesso, il motivo è comunque infondato. Infatti, nella sentenza impugnata, non viene affermato che le spese di mantenimento e di gestione dell’autovettura debbano essere considerate in aggiunta all’applicazione degli importi e dei coefficienti di cui alla voce 3.2 della predetta tabella. Piuttosto, la CTR assume che oltre a tale voce abbiano legittimamente trovato autonoma valutazione le rate pagate dal contribuente per acquisire la disponibilità del mezzo. Sul punto, la decisione del giudice a quo appare conforme a quella recentemente affermata da questa Corte (Cass. 11.02.2020, n. 15900, in motivazione) a proposito di un’autovettura acquisita in leasing dal contribuente, nella quale è stato richiamato il dato normativo di cui al D.M. 10 settembre 1992, art. 3, comma 7, il quale, in materia di criteri per la determinazione della capacità contributiva, dispone che al valore di utilizzo dei beni-indice ottenuto dall’applicazione della tabella allegata deve essere aggiunta l’eventuale quota relativa ad incrementi patrimoniali determinata ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 5 anche con riguardo all’acquisto dei beni di cui al comma 1, ovvero anche relativamente ai beni compresi nella medesima tabella. Aggiungendo poi che, comunque, la stesso D.M. 10 settembre 1992, art. 1, comma 2, lascia ferma la facoltà dell’ufficio di utilizzare per la determinazione sintetica del reddito complessivo netto anche elementi e circostanze di fatto indicativi di capacità contributiva diversi da quelli menzionati nel comma 1.

Pertanto, la valorizzazione dell'”onere finanziario del pagamento delle rate” (siano di locazione finanziaria o di rimborso di finanziamento del prezzo di acquisto), ritenuta legittima dalla CTR, non si colloca al di fuori dei limiti dell’accertamento sintetico e non determina di per sè sola una duplicazione del medesimo indice redditometrico.

4.Con il quarto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente censura la sentenza impugnata per la violazione del combinato disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, e della tabella 6 allegata al D.M. 10 settembre 1992, per avere la CTR ritenuto corretta l’applicazione, da parte dell’Ufficio, del coefficiente moltiplicatore previsto dalla tabella non solo al valore dell’immobile, ma anche all’ammontare del mutuo, in violazione della nota esplicativa resa nella stessa tabella in materia di residenze principali e secondarie, secondo la quale “Per le residenze in proprietà indicate ai punti 6.1, 6.2, 6.3, 6.4, 6.5 e 6.8 gli importi sono aumentati delle rate di ammortamento degli eventuali mutui ad esse relativi. In tal caso, i rispettivi coefficienti sono ridotti di una unità. L’ammontare risultante dall’applicazione dei nuovi coefficienti agli importi così determinati non può comunque, essere inferiore a quello ottenuto in assenza di mutui”.

Secondo il ricorrente, infatti, tale formula dovrebbe essere interpretata nel senso che le rate di ammortamento del mutuo non dovrebbero essere assoggettate al coefficiente moltiplicatore, ma andrebbero aggiunte all’importo tabellare dopo che solo quest’ultimo è stato moltiplicato per il coefficiente ridotto.

Solo in questo modo, assume il ricorrente, il contribuente beneficerebbe della riduzione del coefficiente prevista ragionevolmente in caso di mutuo, che altrimenti determinerebbe un irragionevole aggravio.

Il motivo è infondato, in ragione del tenore testuale dello stesso D.M. 10 settembre 1992 e della tabella ad esso allegata, i quali usano il termine “importi” per indicare gli ammontari relativi a ciascun bene o servizio ricavabili dalla tabella e non ancora moltiplicati per i rispettivi coefficienti (art. 3, comma 2, del decreto e, per quanto qui più specificamente interessa, punto 6, prima colonna, della tabella) e il termine “valori” per indicare i prodotti di tali moltiplicazioni (art. 3, comma 4, del decreto).

Pertanto, al contrario di quanto sostiene il ricorrente, in base all’invocata previsione tabellare, le rate di ammortamento dei mutui dovevano essere addizionate non ai “valori” (cioè ai prodotti delle moltiplicazioni degli importi relativi alle residenze in proprietà per i rispettivi coefficienti) ma agli “importi” (“gli importi sono aumentati”) e, quindi, a quegli ammontari, relativi al bene/residenza in proprietà e ricavabili dalla tabella, che, nel linguaggio utilizzato dal decreto e dalla tabella stessa, non erano stati ancora moltiplicati per i coefficienti relativi alle residenze. Dunque le rate di ammortamento dei mutui dovevano essere prima addizionate all’importo tabellare relativo alla residenza in questione e poi, ottenuta tale somma, moltiplicate anch’esse per il coefficiente tabellare, ridotto di un’unità.

L’interpretazione appena esposta non risulta in contrasto con la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, “qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali ed il contribuente deduca e dimostri che tale spesa sia giustificata dall’accensione di un mutuo ultrannuale, il mutuo medesimo non esclude ma diluisce la capacità contributiva; ne consegue che deve essere detratto dalla spesa accertata (ed imputata a reddito) il capitale mutuato, ma ad essa vanno, invece, aggiunti, per ogni annualità, i ratei di mutuo maturati e versati” (Cass. 20/04/2012, n. 6220; Cass. 24/02/2017, n. 4797; Cass. 20/07/2018, n. 19371; Cass. 17/07/2019, n. 19192; Cass. 27/05/2020, n. 9905). Infatti, tale principio, laddove fa riferimento alle rate di ammortamento del mutuo, affermando la necessità che i ratei maturati e versati siano “aggiunti” alla “spesa accertata”, lascia impregiudicata la questione – qui specificamente controversa – se tale addizione debba essere effettuata prima o dopo la moltiplicazione per il coefficiente tabellare.

Nello stesso motivo il ricorrente assume altresì che la CTR, così come accaduto per l’autovettura, ha errato anche laddove ha ritenuto che sarebbero ulteriormente valutabili le spese di gestione e manutenzione dell’abitazione acquistata dal contribuente, poichè esse sarebbero state invece già considerate in materia forfettaria, in relazione alle caratteristiche dell’immobile, dagli importi e dai coefficienti di cui alla voce 6 della tabella allegata al D.M. 10 settembre 1995, emanato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, applicabile ratione temporis.

Anche in questo caso, tuttavia, deve darsi atto che nella sentenza impugnata non viene affermato che le spese di mantenimento e di gestione dell’abitazione debbano essere considerate in aggiunta all’applicazione degli importi e dei coefficienti di cui alla voce 6 della predetta tabella, nella parte relativa alle residenze in proprietà. Piuttosto, in conformità alla già riportata disposizione contenuta nella voce 6 della medesima tabella, la sentenza d’appello ribadisce che le rate di muto vanno aggiunte (con la riduzione del coefficiente tabellare e con le modalità di calcolo delle quali si è già detto) all’importo tabellare relativo alla residenza da considerare.

Pertanto, anche in parte qua il motivo è infondato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.050,00, per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2021

 

 

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