Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8721 del 13/04/2010

Cassazione civile sez. III, 13/04/2010, (ud. 23/02/2010, dep. 13/04/2010), n.8721

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. TALEVI Alberto – Consiglie – –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 499/2006 proposto da:

M.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA SALLUSTIO 9, presso lo studio dell’avvocato SPALLINA

Bartolo, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato BACILE

PANTALEO ERNESTO giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA (OMISSIS) (Istituto

incorporante la Banca del Salento – Banca (OMISSIS) – Credito

Popolare

Salentino S.p.A.) in persona del suo Presidente e legale

rappresentante pro tempore Prof. F.P.L., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 1, presso lo studio

dell’avvocato PESCE GIOVANNI (ST. UGHI e NUNZIANTE), rappresentata e

difesa dagli avvocati ZANCHI Duccio, FEDELE PAOLO FEDERICO giusta,

procura speciale del Dott. Notaio RICCARDO COPPINI in SIENA

19/1/2006, rep. 44351;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 580/2005 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

Sezione Prima Civile, emessa 15/7/2005, depositata il 29/09/2005,

R.G.N. 863/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

23/02/2010 dal Consigliere Dott. CAMILLO FILADORO;

udito l’Avvocato GIOVANNI PESCE per delega dell’Avvocato PAOLO

FEDERICO FEDELE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 15 luglio – 29 settembre 2005 la Corte di appello di Lecce confermava la decisione del locale Tribunale del 30 gennaio 2003, che aveva rigettato l’opposizione proposta da M.A. avverso il decreto ingiuntivo emesso in data 13 ottobre 1999.

Rigettate alcune eccezioni processuali, i giudici di appello rilevavano che il decreto ingiuntivo aveva ad oggetto la restituzione di somme indebitamente percepite dal M., a titolo di compensi per l’attivita’ svolta in qualita’ di presidente del consiglio di amministrazione della Banca Lezzi & Megha, successivamente alla sottoposizione di questa banca alla procedura di amministrazione straordinaria.

Rilevava la Corte territoriale che i compensi erano da porre in relazione ad una attivita’ svolta nell’interesse della societa’. Una volta cessata la carica sociale, l’amministratore non aveva piu’ titolo a richiedere il pagamento di compensi. Del resto, gia’ il primo giudice aveva chiarito che la attivita’ successiva al (OMISSIS) era stata svolta nel suo personale interesse dal M., e non era in alcun modo riconducibile al rapporto gia’ in essere con la societa’.

Quanto alla obiezione, sollevata dall’appellante con l’ultimo motivo di appello (secondo la quale a seguito della decisione della Corte di appello del 2001, che aveva dichiarato la nullita’ della fusione tra la Banca del Salento e la Banca Lezzi & Megha, essendo rimaste le due societa’ del tutto distinte tra di loro, la Banca del Salento non avrebbe potuto far valere i diritti gia’ spettanti alla Banca invalidamente incorporata), la Corte territoriale richiamava la disposizione dell’art. 2504 quater c.c., comma 2, che riconosce il diritto al risarcimento dei danni ai soci od ai terzi danneggiati dalla fusione.

Avverso tale decisione il M. ha proposto ricorso per cassazione sorretto da quattro motivi.

Resiste la Banca Monte dei Paschi di Siena (Istituto incorporante la Banca del Salento) con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio raccomanda la stesura della motivazione forma sintetica.

I quattro motivi di ricorso per cassazione richiamano integralmente i motivi di appello, senza tener conto della decisione della Corte territoriale.

1) . Con il primo motivo, il ricorrente rileva che trattandosi di controversia avente ad oggetto la ripetizione di somme indebitamente (secondo la societa’ opposta) versate al Presidente del Consiglio di Amministrazione, quale corrispettivo di prestazione coordinata e continuativa, sarebbe stato competente a decidere il giudice del lavoro, ai sensi dell’art. 409 c.p.c., donde la nullita’ di una decisione adottata da giudice incompetente.

Le censure non colgono nel segno.

La controversia nella quale l’amministratore di una societa’ di capitali, o ente assimilato, chieda la condanna della societa’ stessa al pagamento di una somma dovuta per effetto dell’attivita’ di esercizio delle funzioni gestorie, e’ soggetta al rito del lavoro ai sensi dell’art. 409 cod. proc. civ., n. 3, atteso che, se verso i terzi estranei all’organizzazione societaria e’ configurabile, tra amministrazione e societa’, un rapporto di immedesimazione organica, all’interno dell’organizzazione ben sono configurabili rapporti di credito nascenti da un’attivita’ come quella resa dall’amministratore, continua, coordinata e prevalentemente personale, non rilevando in contrario il contenuto parzialmente imprenditoriale dell’attivita’ gestoria e l’eventuale mancanza di una posizione di debolezza contrattuale dell’amministratore nei confronti della societa’ (Cass. S.U. 10680 del 1994). Nello stesso senso Cass. 4662 del 2001. Ad analoghe conclusioni deve giungersi nel caso opposto, in cui la societa’ abbia a richiedere somme pretesamente corrisposte in piu’ all’amministratore od, in questo caso, al Presidente del Consiglio di amministrazione.

Le conseguenze della mancata osservanza di tale principio giurisprudenziale non conducono ai risultati indicati dal ricorrente.

Infatti, a seguito della entrata in vigore del D.Lgs. n. 51 del 1998, che ha istituito il giudice unico di primo grado, la natura della controversia (di lavoro o meno) incide solo sul rito applicabile e non sulla competenza, con la conseguenza che, se anche una delle controversie di cui all’art. 409 c.p.c., sia stata trattata non il rito ordinario di cognizione anziche’ con il rito del lavoro, la pronuncia non puo’ dirsi viziata di incompetenza ne’ comunque puo’ ritenersi sussistente alcuna nullita’, se non vi sia stata violazione dei diritti di difesa delle parti: ipotesi, questa, neppure prospettata dalla parte ricorrente (Cass. 10030 del 1998, 8947 del 2006).

2) Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 83 c.p.c.., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Erroneamente i giudici di appello avevano ritenuto di poter superare la questione della carenza di poteri in capo al soggetto che aveva svolto conferito la procura al difensore nel giudizio di primo grado, osservando che il Dott. L. era munito dei poteri necessari e che, in ogni caso, la nuova costituzione del Monte dei Paschi nel giudizio di appello aveva avuto l’effetto di ratificare la attivita’ svolta nel giudizio di primo grado dallo stesso.

La questione e’ stata gia’ esaminata dal giudice di primo grado e da quello di appello.

Il ricorrente, in pratica, si limita a riproporre sul punto le censure gia’ formulate dinanzi al giudice di primo grado e di appello.

Del resto, sarebbe inammissibile in sede di legittimita’, la proposizione di una eccezione nuova, relativa alla carenza di potere di conferire procura alle liti al difensore del giudizio di primo grado (arg. ex Cass., 13930 del 1999).

E’ appena il caso di ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non e’ necessario che la persona fisica che agisca in giudizio per una persona giuridica provi i propri poteri rappresentativi, salvo che tali poteri siano contestati e la contestazione non intervenga in tempo utile per fornire la prova, se mancante. (Cass. 15026 del 2005).

Nel caso di specie, a fronte delle eccezioni sollevate dal M., i giudici di merito hanno ampiamente motivato in ordine all’esistenza, in capo al L., del potere di conferire il mandato.

Con autonoma “ratio decidendi” gli stessi giudici hanno poi rilevato che ogni questione doveva ritenersi superata a seguito della costituzione nella fase di appello della Banca Monte dei Paschi di Siena spa, la quale aveva incorporato la Banca del Salento, per conto della quale il procuratore aveva agito in primo grado.

La decisione adottata dalla Corte territoriale e’ in tutto conforme a consolidato orientamento di questa Corte, secondo il quale il difetto di legittimazione processuale della persona fisica che agisca in giudizio in rappresentanza di un ente puo’ essere sanato, in qualunque stato e grado del giudizio (e, dunque, anche in appello), con efficacia retroattiva e con riferimento a tutti gli atti processuali gia’ compiuti, per effetto della costituzione in giudizio del soggetto dotato della effettiva rappresentanza dell’ente stesso, il quale manifesti la volonta’, anche tacita, di ratificare la precedente condotta difensiva del “falsus procurator”.

Tanto la ratifica, quanto la conseguente sanatoria devono ritenersi ammissibili anche in relazione ad eventuali vizi inficianti la procura originariamente conferita al difensore da soggetto non abilitato a rappresentare la societa’ in giudizio, trattandosi di atto soltanto inefficace e non anche invalido per vizi formali o sostanziali, attinenti a violazioni degli artt. 83 e 125 cod. proc. civ. (Cass. 2270 del 2006, n. 20913 del 2005).

3) il terzo motivo introduce il tema della insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, attinente alla sussistenza del credito vantato, e dunque alla ritenuta – dai giudici di appello – inesistenza del credito da compenso amministratore lo scioglimento degli organi sociali risale al 21 luglio 1994.

Anche a tale proposito deve rilevarsi che il ricorrente ripropone le questioni gia’ sollevate e risolte dai giudici di appello con motivazione del tutto adeguata.

La Corte territoriale ha rilevato semplicemente che, poiche’ – dopo la data indicata – il M. non aveva svolto alcuna attivita’ utile a favore della societa’, lo stesso non aveva diritto ad alcun compenso.

4) L’ultimo motivo di ricorso ripropone un tema, gia’ affrontato e risolto dalla Corte territoriale.

Ad avviso della parte ricorrente, la dichiarazione di nullita’ della fusione tra la Banca del Salento e la Banca Leuzzi & Megha, contenuta nella sentenza 289 del 2001 della Corte salentina, comporterebbe la legittimita’ del versamento effettuato da questa ultima allo stesso M.: in ogni caso, in conseguenza di tale pronuncia, alla Banca del Salento non spetterebbe la possibilita’ di agire per la ripetizione dell’indebito a mezzo di decreto ingiuntivo.

Anche in questo caso deve dirsi che le censure non colgono nel segno.

Correttamente i giudici di appello hanno spiegato che la sentenza della Corte di appello del 2001 era destinata a non esplicare effetto al di fuori del giudizio in cui era stata pronunciata e nei confronti di parti diverse.

Del resto e’ noto che, ai sensi dell’art. 2504 quater c.c., l’eventuale invalidita’ dell’atto di fusione non comporta il ritorno allo status quo ante, e la riviviscenza delle societa’ oramai estinte, avendo il legislatore inteso in tal modo privilegiare la certezza dei traffici giuridici ed dunque le esigenze di conservazione dell’organismo risultante dalla fusione (attribuendo solo il diritto al risarcimento dei danni a colui che sia stato danneggiato dal procedimento di fusione, dichiarato illegittimo) cfr.

Cass. 28242 del 2005.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 1.700,00 (millesettecento/00), di cui Euro 1.500,00 (millecinquecento/00) per onorari di avvocato, oltre spese generali ed accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2010

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