Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 872 del 17/01/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 872 Anno 2014
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: SCALISI ANTONINO

SENTENZA

sul ricorso 17540-2007 proposto da:
LIVOTI VINCENZO, ANCHE QUALE LEGALE RAPP.TE DELLA
S.N.C. “LIVOTI VINCENZO E LIVOTI MARIO COSTRUZIONI”
P.I.02564550834, elettivamente domiciliato in ROMA,
P.ZZA S. ANDREA DELLA VALLE, 3, presso lo studio
dell’avvocato MELLARO MASSIMO, rappresentato e difeso
2013

dall’avvocato SAITTA GIUSEPPE;

2368

ricorrente

contro

CANNAVO’ ASCENSORI DITTA, CONDOMINIO LIVOTI VIA S
GIOVANNI 21 MILAZZO;

Data pubblicazione: 17/01/2014

– intimati sul icorso 22925-2007 proposto da:
CANNAVO’ ASCENSORI DITTA, IN PERSONA DEL SIG.
SALVATORE CANNAVO’ NATO A MESSINA IL 9/7/1971,
elettivamente domiciliato in ROMA, P.ZA S.ANDREA
DELLA VALLE 3, presso lo studio dell’avvocato GARISTO
. MARIA ROSARIA, rappresentato e difeso dagli avvocati
COSTA ANTONINO, MARCHESE GIOVANNI;
– controricorrente ricorrente incidentale nenchik-contro
LIVOTI VINCENZO;
– intimato avverso la sentenza n. 211/2006 della CORTE D’APPELLO
di MESSINA, depositata il 02/05/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12/11/2013 dal Consigliere Dott. ANTONINO
SCALISI;
udito l’Avvocato FACCHINI Francesco, con delega
depositata in udienza dell’Avvocato SAITTA Giuseppe,
difensore del ricorrente che ha chiesto accoglimento
delle conclusioni in atti depositate;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha concluso,
previa riunione, per il rigetto di entrambi i ricorsi
e compensazione delle spese.

»

Svolgimento del processo

Livoti Vincenzo con atto di citazione dell’8 luglio 1997 conveniva in giudizio
davanti alla Pretura di Messina Cannavò Salvatore titolare della ditta SMA
Siciliana Montacarichi Ascensori nonché Grillo Mariano amministratore pro
tempore del Condominio Livoti di Milazzo e, premesso di aver concluso nel

gennaio 1992 un contratto per la fornitura e la messa in opera di un ascensore
completo di accessori da installare nella costruzione eseguita dalla ditta
Livoti, di aver versato il corrispettivo ad eccezione del 10% della complessiva
somma che avrebbe dovuto essere corrisposta solo al collaudo, di aver
provveduto a versare all’ISPESL le somme dovute, ma il Cannavò non aveva
provveduto ad effettuare il collaudo né a fornire la certificazione indicata,
chiedeva che lo stesso fosse obbligato ad effettuare l’attività occorrente per il
collaudo dell’ascensore e a consegnare

la dichiarazione di conformità

dell’impianto elettrico di alimentazione.
Si costituiva il Carmavò eccependo l’incompetenza del giudice adito e nel
merito evidenziava che ai fini del collaudo l’attore avrebbe dovuto pagare
all’ente preposto al collaudo dell’ascensore la somma prevista e che non
poteva rilasciare la certificazione di conformità dell’impianto elettrico perché
non era la sua ditta ad averlo realizzato, con domanda riconvenzionale,
chiedeva il pagamento di lire 28.000.000 quale saldo per la fornitura
dell’ ascensore
Si costituiva l’amministratore del condominio chiedendo la nullità della
citazione per omessa determinazione dell’oggetto della domanda.
_
Il Tribunale di Messina, subentrato al Pretore a seguito della riforma sul cd.
Giudice unico, con sentenza n. 1493 del 2002 dichiarava nullo il contratto
1

A

stipulato tra le parti, rigettava la domanda proposta da Livoti nonché quella

esperita in riconvenzionale da Cannavò, dichiarava compensate le spese e
condannava Livoti, a rimborsare le spese all’amministratore del condominio.
Avverso tale sentenza proponeva appello Livoti anche quale rappresentante

Vincenzo aveva conferito la propria ditta individuale, per due motivi.
Con separato atto ha proposto appello anche Carmavò .
La Corte di appello di Messina, riuniti i giudizi con sentenza n. 211 del 2006
dichiarava cessata la materia del contendere in ordine alle domande del Livoti,
condannava il Livoti a corrispondere al Carmavò la somma di C. 1446,07con
interessi legali dal 25 maggio 2000 ed a rimborsare allo stesso le spese dei due
.

gradi del giudizio. Compensava tra il Livoti e il Condominio Livoti le spese di
entrambi i gradi del giudizio. Secondo la Corte peloritana il rapporto
intercorso tra Livoti e Cannavò, come correttamente aveva evidenziato il
Tribunale andava qualificato quale appalto e non come vendita, considerato
che il contratto di cui si dice

non considerava solo un dare, ma anche un

facere. Dal verbale provvisorio del 15 maggio

emergeva che l’impianto

installato era stato collaudato dalla ditta IVG di Taranto e il Livoti deduceva

che, essendo stato collaudato l’ascensore, avrebbe dovuto essere dichiarata
cessata la materia del contendere. Il Livoti non aveva provato d’aver
corrisposto il residuo di lire 2. 800.000.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da Livoti Vincenzo anche
quale legale rappresentate della snc. Livoti Vincenzo e Livoti Mario
costruzioni, per due motivi, illustrati con memoria. La ditta Carmavò
Ascensori

ha resistito con controricorso proponendo, a sua volta, ricorso
2

della società Livoti Vincenzo e Livoti Mario costruzioni snc. cui Livoti

incidentale per un motivo. All’udienza dell’8 maggio 2013 questa Corte

.

avendo rilevato che il ricorso non era stato notificato al Condominio
litisconsorte necessario disponeva la notifica del ricorso al suddetto

nel

termine di 60 giorni e rinviava la causa a nuovo ruolo. Livoti Vincenzo ha
provveduto a notificare il ricorso al Condominio in data 4 giugno 2013.

Motivi della decisione
Preliminarmente i rincorsi, principale e incidentale, ai sensi dell’art. 335 cpc.,
vanno riuniti atteso che sono stati proposti contra la stessa sentenza.
A.= Ricorso principale
1.= Con il primo motivo Livoti Vincenzo anche quale legale rappresentate
della snc. Livoti Vincenzo e Livoti Mario costruzioni, lamenta la violazione e
,

falsa applicazione e dell’art. 1476 cc. e dell’art. 17 DPR n. 1497 del 1063,
nonché omessa, insufficiente

e contraddittoria motivazione

sui fatti

controversi e decisori del giudizio (art. 360 n. 3 e 5 cpc). Secondo il
ricorrente:
a) sia il Tribunale che la Corte di Appello di Messina avrebbero errato nel
ritenere che nella fattispecie si vertesse in ipotesi di appalto, anziché di
vendita, disattendendo il principio di cui all’art. 1367 cc., nonché il principio
secondo cui il negozio misto che presenta i caratteri della compravendita e
dell’appalto deve ritenersi assoggettato alla disciplina unitaria del contratto i
cui elementi costitutivi debbono, nella specie considerarsi prevalenti.
b) la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto di alcuni elementi decisori
.

acquisiti al processo. In particolare , sostiene il ricorrente, di aver fornito la
prova del proprio adempimento esibendo in giudizio i bollettini postali di
pagamento in favore di ISPELS delle somme occorrenti per il collaudo
3

tif

dell’ascensore installato dalla ditta Cannavò, nonché con la fattura relativa al
collaudo emessa dal Carmavò nella quale non sono indicati e, quindi, richiesti
gli importi per le spese.
Posto ciò il ricorrente conclude formulando i seguenti quesiti:
Dica la Corte ai fini dell’accertamento della soccombenza virtuale se il

mancato collaudo dell’impianto ascensore, in rapporto alle previsioni di cui
all’art. 1476 cc. e dell’art. 7 del DPR 1963/1497 sia imputabile al Cannavò.
Dica la Corte, conseguentemente, se le spese ed i compensi dei due gradì di
giudizio andavano posti a carico del Livoti e non, piuttosto, a carico del
Cannavò.
1.1.= Il motivo è infondato.
,

1.1.a).= Nella realtà non è agevole distinguere se una determinata operazione
possa rientrare nello schema del contratto d’appalto d’opera o della fornitura
con posa in opera. Tuttavia, oggetto del contratto di appalto è il risultato di un
• facere (anche se comprensivo di un dare) che può concretarsi sia nel
compimento di un’opera che di un servizio che l’appaltatore assume verso il
committente dietro corrispettivo, mentre oggetto del contratto di vendita è il
trasferimento di un bene a cui può essere connessa un’obbligazione di fare,

cioè, l’obbligazione di mettere in opera il bene venduto. In altri termini, nel
contratto di appalto vi è un fare che può essere comprensivo di un dare,
mentre nel contratto di compravendita vi è un dare che può comportare anche
un fare. Pertanto, sono sempre da considerarsi contratti di vendita (e non di
appalto) i contratti concernenti la fornitura ed eventualmente anche la posa in
opera qualora l’assuntore dei lavori sia lo stesso fabbricante o chi fa abituale
commercio dei prodotti e dei materiali di che trattasi, salvo, ovviamente, che
4

4

_
le clausole contrattuali obbligano l’assuntore degli indicati lavori a realizzare

.

un quid novi rispetto alla normale serie produttiva, perché in questo caso
dovrebbe ritenersi prevalente l’obbligazione di facere, in quanto si
configurano elementi peculiari del contratto di appalto e, precisamente,
e

del

l’assunzione

rischio economico

da parte

dell’appaltatore. Qualora, invece, l’assuntore dei lavori di cui si dice non è né
il fabbricatore, né il rivenditore del bene da installare o mettere in opera,
l’attività di installazione di un bene svolta dal prestatore, risultando autonoma
rispetto a quella di produzione e vendita, identifica o rinvia ad un contratto di
appalto, dato che la materia viene in considerazione quale strumento per la
realizzazione di un’opera o per la prestazione di un servizio.

Ora, nel caso in esame, come evidenzia la sentenza impugnata, la ditta SMA
non era né il produttore,

né il rivenditore dell’ascensore,

e non aveva

venduto un ascensore con l’impegno di installarlo, ma si era impegnata ad
installare

un ascensore, o meglio, a realizzare un impianto ascensore

funzionante, mediante la fornitura dello stesso ascensore. Pertanto, come
correttamente ha affermato il Tribunale prima e la Corte di appello di Messina
dopo, il rapporto tra Livoti e Cannavò era riconducibile al contratto di appalto
e non a quello della vendita, proprio perché nel caso in esame vi era un fare
cui si accompagnava un dare e non, invece, un dare cui si accompagnava un
facere.
1.1.b) Non merita censura neppure la sentenza impugnata laddove afferma che
il Livoti non ha provato di aver corrisposto anticipatamente gli oneri necessari
per il collaudo considerato che lo stesso ricorrente non ha escluso che le
ricevute di conto corrente postale del versamento dei proventi in favore della
5

l’intuitus personae

tesoreria dello Stato in conto ISPESL, che avrebbero dovuto provare il
pagamento degli oneri di cui si dice, facevano riferimento all’ascensore ME
262/85, mentre la matricola dell’ascensore (installato dalla Cannavo
Ascensori) portava il numero ME 349/94, né, in questa sede, di legittimità,
può essere accertata la circostanza dedotta dal ricorrente, cioè, che la fattura
n. 578 del 2000 (documento n. 21 allegato al fascicolo di produzione aventi la
Pretura di Messina) identifichi l’adempimento dell’obbligo del Livoti di cui si
dice,

considerato pure, come lo stesso ricorrente evidenzia, che non vi è

corrispondenza formale tra il debitore (Livoti Vincenzo) e il nome
(Condominio Palazzo Livoti), cui risulta riferita la fattura di che trattasi.
1.1.c).= Pertanto, considerato che i’ art. 8 della legge

1415 del 1942 pone a

carico del proprietario dello stabile l’onere di pagare i contributi previsti per il
collaudo dell’impianto di ascensore, e che il Livoti non aveva fatto tutto
quello che era di sua esclusiva competenza ai fini del collaudo dell’impianto
dell’ascensore installato dalla ditta Cannavò, correttamente, la Corte di
Appello di Messina, ha ritenuto il Livoti soccombente virtuale rispetto alla
sua domanda proposta e correttamente ha posto a carico del Livoti i compensi
e le spese dei due gradi di giudizio.
2.= Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa
applicazione dell’art. 1219 cc, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa fatti controversi e decisori del giudizi (art. 360 n. 3 e 5 cpc).
Secondo il ricorrente, la Corte peloritana avrebbe errato nel condannare Livoti
Vincenzo a pagare al Cannavò Salvatore gli interessi legali dal 25 maggio
2000 sull’importo di €. 1446,07 costituente il saldo della fornitura
dell’ascensore perché l’assenza del certificato definitivo di collaudo, la
6

.

mancata consegna del suddetto documento al Livori e la necessità di

intraprendere l’azione giudiziaria per ottenere l’adempimento avrebbero
dovuto indurre la Corte di Messina a ritenere l’insussistenza di mora in capo
al Livoti, relativamente al pagamento della somma di C. 1.446,07. Pertanto,
conclude il ricorrente, dica la Corte se sussiste, o meno, la mora del Livoti

Vincenzo nel pagamento del saldo del prezzo della fornitura dell’impianto
dell’ascensore. E Dica conseguentemente la Corte se Livoti è tenuto, o meno,
al pagamento degli interessi legali su €. 1.446,07 a far data dal 20 maggio
2000.
2.1.= Il motivo è infondato.
E’ affermazione pacifica in dottrina e nella giurisprudenza anche di questa
A

Corte che a norma dell’art. 1219, comma secondo, n. 3, cod. civ., alla
scadenza del termine in cui un pagamento deve essere eseguito si verifica la
mora del debitore senza bisogno di intimazione (“mora ex re”), e per effetto
della mora sono applicabili le disposizioni in tema di interessi e di obbligo di
risarcimento del maggior danno dettate dall’art.

1224, comma primo e

secondo. Ora, nel caso in esame, al momento del collaudo dell’ascensore
avvenuto il 25 maggio 2000, il Livoti era tenuto a corrispondere al Cannavò,
come afferma la stessa sentenza impugnata, il residuo prezzo concordato
contrattualmente, pari ad €. 1.446,07 e da quel momento, senza la necessità di
intimazione, lo stesso Livoti, era costituito in mora.
iy
Pertanto, la Corte peloritana, avendo accertato che il Livoti non ha corrisposto
al Cannavò il residuo prezzo concordato corrispondente alla somma di €.
1.446,07 correttamente ha condannato lo stesso Livoti al pagamento della
i

somma di

e.

1.446.07, e, ai sensi dell’art. 1219 cc.„ unitamente, al pagamento
7

,
degli interessi legali sulla stessa somma residua a decorrere dalla messa in

,

mora e cioè dal 25 maggio 2000 fino all’integrale soddisfo,
B.= Ricorso incidentale
3.= Con l’unico motivo del ricorso incidentale la ditta Cannavò Ascensori
denuncia un error in procedendo da omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 360 n.

4 cpc, in riferimento alla violazione dell’art. 112 cpc. Secondo il ricorrente
incidentale la Corte di Appello di Messina pur condannando il Livoti al
pagamento della somma di €. 1446,07 e agli interessi legali sulla stessa
somma dal 25 maggio 2000 al soddisfo avrebbe omesso la pronuncia sulla
richiesta di pagamento dell’IVA

così come era previsto nel contratto di

fornitura. Il ricorrente incidentale conclude formulando il presente quesito di
.

diritto: nel caso in cui come nel procedimento de quo il giudice omette di

,

pronunciarsi sulla domanda di pagamento IVA unitamente alla somma
imponibile ricorre l’ipotesi di omessa pronuncia.
3.1= Il motivo è inammissibile per carenza di interesse.
Salvo che non sia espressamente stabilito dalle parti,

il compenso dovuto

all’appaltatore ed indicato dal contratto deve ritenersi al netto dell’IVA
essendo, questa ai sensi del DPR 26 ottobre 1972, n. 633

e successive

modifiche, un’imposta applicata sul valore aggiunto di ogni fase della
produzione, scambio di beni e servizi, dovuta per legge. Pertanto, nonostante
l’omissione di esplicita pronuncia da parte della Corte di Appello di Messina
in merito alla corresponsione anche dell’IVA relativa al pagamento del
14
-1
—.

residuo prezzo deve ritenersi che il Livoti, per legge, deve al Cannavò
l’importo di E. 1446.07 oltre interessi dal 25 maggio 2000 al soddisfo ed oltre
IVA.
8

.

In definitiva, riuniti i ricorsi entrambi vanno rigettati. La reciproca
soccombenza giustifica la compensazione delle spese giudiziali del presente
giudizio di cassazione
P.Q.M.
La Corte riuniti i ricorsi, li rigetta entrambi. Compensa le spese.
Così deciso nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della
Corte Suprema di Cassazione il 12 novembre 2013.

,

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