Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8718 del 30/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 30/03/2021, (ud. 15/10/2020, dep. 30/03/2021), n.8718

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO Donati Viscido di Nocera M.G. – rel. Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 15868 del ruolo generale dell’anno

2015, proposto da:

P.A., rappresentato e difeso, giusta procura speciale a

margine al ricorso, dall’Avv.to Mario Nussi elettivamente

domiciliato presso lo studio dell’Avv.to Vincenzo Sinopoli, in Roma

Viale Angelico n. 38;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Veneto, n. 2181/18/2014, depositata in data 18

dicembre 2014, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15

ottobre 2020 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati Viscido

di Nocera.

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale De

Augustinis Umberto che ha concluso per il rigetto.

uditi per il contribuente l’Avv.to Samantha Buttus in sostituzione

dell’Avv.to Mario Lussi e per l’Agenzia delle entrate l’Avv.to dello

Stato Gianna Galluzzo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.Con sentenza n. 2181/18/14 depositata in data 18 dicembre 2014, la Commissione tributaria regionale del Veneto rigettava l’appello principale proposto da P.A. nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, e accoglieva l’appello incidentale dell’Ufficio avverso la sentenza n. 66/02/13 della Commissione tributaria provinciale di Belluno che aveva accolto parzialmente – rideterminando il reddito imponibile in Euro 55.570,42-il ricorso proposto dal contribuente avverso gli avvisi di accertamento n. (OMISSIS), per l’anno 2006, e n. (OMISSIS), per l’anno 2007, con i quali l’Ufficio ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2) aveva ripreso a tassazione – ai fini Irpef, Irap e Iva, oltre sanzioni – a titolo di maggiori compensi di lavoro autonomo non dichiarati, rispettivamente gli importi di Euro 10.000,00 e di Euro 80.307,69, corrispondenti all’incasso in extraconto di assegni circolari-emessi dalla Banca Popolare di Verona San Gimignano e San Prospero su ordine dello studio legale associato Ravagni – del quale, ad avviso dell’Ufficio, non era stata fornita adeguata giustificazione.

In punto di fatto, dalla sentenza impugnata si evince che: 1) avverso gli avvisi di accertamento n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS), aveva proposto ricorso dinanzi alla CTP di Belluno, P.A., deducendo: a) la mancanza della autorizzazione del direttore centrale o regionale a compiere le indagini bancarie; b) la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7; c) ai fini Irpef, l’errata imputazione al 2007 della somma di Euro 80.307,69, essendo stati tutti gli assegni circolari corrisposti dallo Studio legale Associato Avv.to Fabio Ravagni, in data 27 dicembre 2006, ed essendo irrilevante la riscossione di tale somma nel 2007; d) l’errato utilizzo delle annotazioni dello studio legale Ravagni in un conto denominato “associati c/ prelevamenti e versamenti” dal 2003 al 2006 allegato agli avvisi di accertamento; e) l’irrilevanza fiscale del reddito percepito dal contribuente a titolo di quota utile per la partecipazione societaria allo studio legale associato Ravagni; f) l’assoggettamento delle somme accertate a tassazione separata in quanto trattavasi di redditi imputati al socio a seguito di recesso dall’associazione professionale; g) l’illegittimità delle riprese ai fini Iva, in assenza di una operazione imponibile, e, ai fini Irap, non costituendo le somme percepite compensi; h) l’illegittimità delle sanzioni irrogate; 2) aveva controdedotto l’Agenzia delle entrate chiedendo il rigetto del ricorso.

La CTP di Belluno, riservata la causa per la decisione all’udienza del 23.5.2013, con ordinanza di pari data, rilevato che agli atti non risultava l’autorizzazione a compiere indagini bancarie, aveva ordinato all’Agenzia delle entrate il deposito del documento e successivamente, con sentenza n. 66/2/13 del 6.6.2013, aveva accolto parzialmente il ricorso, rideterminando in Euro 55.570,42 il maggiore reddito imponibile.

Avverso la sentenza di primo grado aveva proposto appello principale il contribuente e appello incidentale l’Ufficio chiedendo la conferma della legittimità in toto degli avvisi di accertamento.

2.In punto di diritto, la CTR ha osservato che: 1) era priva di fondamento l’eccezione sollevata dall’appellante principale di nullità della sentenza impugnata – con conseguente necessaria rimessione della causa al giudice di primo grado – per avere la CTP, una volta riservata la causa per la decisione all’udienza del 23.5.2013, pronunciato, in pari data, ordinanza per l’acquisizione dell’autorizzazione alle indagini bancarie e successivamente, in data 6.6.2013, emesso la sentenza in violazione del principio del contraddittorio che avrebbe imposto la fissazione di una nuova udienza; 2) sul punto era inconferente sia il richiamo al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 31 – in quanto, da un lato, risultava che le parti avessero avuto regolare comunicazione dell’udienza del 23 maggio 2013 e dall’altro, non risultava che l’udienza del 23 maggio 2013 fosse stata rinviata ad altra udienza – sia quello all’art. 35 che presupponeva un provvedimento motivato di rinvio della deliberazione per una data non superiore a 30 giorni; 3) alcuna violazione del contraddittorio era configurabile in quanto il documento richiesto all’Agenzia con l’ordinanza del 23.5.2013 faceva già parte del materiale probatorio acquisito agli atti, essendo stato già prodotto in giudizio dall’Ufficio il 29.8.2012; 4) era tardiva l’eccezione sollevata in sede di gravame di invalidità del provvedimento di autorizzazione alle indagini bancarie (per carenza del potere di firma della Dott.ssa T.) in quanto il contribuente – che nel ricorso introduttivo aveva denunciato solo la mancanza della detta autorizzazione con conseguente assunta invalidità degli atti impositivi – non aveva sollevato alcuna eccezione circa la legittimità del detto provvedimento una volta prodotto in giudizio dall’ufficio in data 29.8.2012; 5) era infondato il motivo di appello principale concernente l’assunta violazione dell’art. 12, comma 7, dello Statuto, in quanto, nella specie, vi era stata una mera richiesta di documentazione da parte dell’Agenzia senza alcun accesso o ispezione nei locali destinati all’esercizio di attività; 6) erano infondati i motivi di appello principale con i quali il contribuente aveva dedotto: a) l’erronea imputazione, al periodo di imposta 2007, della somma di Euro 89.307,69 per essere stata percepita nel 2006, essendo irrilevante il relativo incasso nel 2007; b) l’erroneo utilizzo delle annotazioni dello studio legale Ravagni in un conto denominato “associati c/prelevamenti e versamenti” dal 2003 al 2006 allegato agli avvisi di accertamento; c) l’irrilevanza fiscale dell’importo di Euro 90.307,69 complessivamente incassato in extraconto dal cambio degli assegni circolari in questione, corrispondendo l’importo di Euro 52.559,00 alla quota di utili (non distribuiti relativi ad annualità precedenti) per la partecipazione societaria allo studio legale associato Ravagni del quale era stato socio e l’importo di Euro 37.749,00 a restituzioni del “fondo spese patrimoniale”, versamenti all’Ente previdenziale delle somme incassate dallo studio, corrispettivo in quota parte del valore dei beni comuni inventariati e quota parte delle competenze relative alle pratiche già maturate e in via di realizzazione; 7) ciò, in quanto, trovando applicazione la presunzione legale relativa D.P.R. n. 600 del 1973, ex artt. 32, comma 1, n. 2) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2 n. 2) il contribuente non aveva fornito la prova documentale, neanche a livello presuntivo, delle dedotte giustificazioni delle somme incassate in extraconto dal cambio di cinque assegni circolari – registrati uno nel 2006 e quattro nel 2007 – non essendo evincibile dalla documentazione contabile dello studio associato la corrispondenza delle stesse con la distribuzione di quote di utile di annualità pregresse e non potendo a tale carenza sopperirsi con i calcoli effettuati dall’appellante inidonei a dimostrare quale fosse il credito da lui vantato nei confronti dello studio; nè tantomeno le argomentazioni relative al conto “associati c/prelevamenti e versamenti” potevano, stante il contrasto con le risultanze delle scritture contabili analizzate, ritenersi idonee a superare la presunzione legale; 8) era fondato l’appello incidentale dell’Ufficio, concernente l’illegittima riduzione del reddito imponibile operata dalla CTP, non avendo il contribuente addotto argomenti sufficienti a superare la presunzione legale a suo carico; 9)i recuperi, ai fini Iva e Irap, erano legittimi quale conseguenza dell’accertamento delle somme incassate dal contribuente quali compensi da lavoro autonomo; 10) trattandosi di violazioni della stessa indole commesse in periodi di imposta diversi era corretto – in applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, commi 1 e 2 il calcolo delle sanzioni irrogate dall’Ufficio, dovendo il raffronto essere effettuato tra la sanzione risultante dal cumulo giuridico (Euro 78.066,00) e quella risultante dal cumulo materiale (Euro 78.534,00) per gli anni 2006-2007 e non già tra cumulo giuridico dell’anno 2006 e cumulo materiale dell’anno 2007.

3.Avverso la sentenza della CTR, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a undici motivi; l’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.

4. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 31, 35 e 59 per avere la CTR respinto l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado per violazione del principio del contraddittorio con necessario rinvio alla CTP ex art. 59, comma 1, lett. b) cit. – ancorchè la CTP all’udienza del 23.5.2013 – dopo avere rilevato che non risultava agli atti l’autorizzazione alle indagini bancarie, accertando così la invalidità del documento depositato dall’Agenzia in data 29.8.2012, e ordinandone nuovamente il deposito – avesse, a seguito dell’avvenuta acquisizione, emesso la sentenza n. 66/02/13 all’udienza del 6.6.2013 senza darne alcuna comunicazione al contribuente con evidente violazione del contraddittorio, essendo irrilevante il fatto che tale documento facesse già parte del materiale probatorio agli atti, per essere stato già depositato dall’ufficio il 29.8.2012.

1.1. Il motivo è infondato in quanto il ricorrente muove da un erroneo presupposto interpretativo nel ritenere, da un lato, che la rilevata mancanza da parte della CTP all’udienza del 23.5.2013, agli atti di causa del provvedimento di autorizzazione alle indagini bancarie, avesse implicato da parte dello stesso un accertamento della invalidità del documento già depositato dall’Ufficio in giudizio in data 29.8.12. e, dall’altro, che la data del 6.6.2013 (di emissione della sentenza della CTP) coincidesse con la celebrazione die altra udienza da comunicarsi, pertanto, al contribuente.

Invero, la CTR – dopo avere dato atto nella parte in fatto che la CTP, riservata la causa per la decisione all’udienza del 23.5.2013 e rilevato con ordinanza, in pari data, che “non risultava agli atti l’autorizzazione a compiere le indagini bancarie”, avesse emesso in data 6.6.2013 la sentenza – nel rigettare l’eccezione di nullità della sentenza per violazione del diritto al contraddittorio, ha correttamente ritenuto inconferenti il richiamo sia al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 31 in quanto le parti avevano ricevuto tempestiva comunicazione dell’udienza di trattazione del 23.5.2013 senza che tale udienza risultasse rinviata ad altra, sia all’art. 35 del medesimo D.Lgs. che presuppone un provvedimento motivato di rinvio della deliberazione per una data non superiore a trenta giorni; peraltro, la CTR ha correttamente escluso la violazione del principio del contraddittorio, atteso che il documento richiesto all’Agenzia delle entrate, con ordinanza del 23.5.2013, faceva già parte del materiale probatorio acquisito agli atti essendo stato prodotto dall’Ufficio il 29.8.2012 con conseguente possibilità da parte del contribuente di dedurne eventuali profili di illegittimità.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per “non liquet”, non avendo la CTR pronunciato sul motivo di censura – proposto in primo grado e riproposto in grado di appello principale – di difetto motivazionale degli atti impositivi per mancata allegazione ad essi del provvedimento di autorizzazione alle indagini bancarie.

2.1.Il motivo è inammissibile.

Invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “affinchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, è necessario, da un lato, che al giudice di merito fossero state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili, e, dall’altro, che tali domande o eccezioni siano state riportate puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, per il principio dell’autosufficienza, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività” (Cass. S.U. n. 15781 del 28/07/2005; conf., da ultimo, Cass. n. 5344 del 04/03/2013; Cass. n. 22766 del 2019); nella specie, il contribuente non ha assolto, in punto di autosufficienza, all’onere di riportare in ricorso, nelle parti rilevanti, gli atti difensivi dei gradi di merito atti a consentire a questa Corte di verificare gli esatti termini della questione e valutare la fondatezza della censura.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 per avere la CTR ritenuto tardiva e, dunque, nuova la eccezione in sede di gravame del contribuente di invalidità del provvedimento di autorizzazione alle indagini bancarie (non avendo questi sollevato alcuna eccezione circa la legittimità del detto provvedimento una volta prodotto in giudizio dall’ufficio in data 29.8.2012), ancorchè l’interesse all’impugnativa, sotto tale profilo, della sentenza della CTP fosse sorto solo con l’emissione della detta pronuncia, avendo la Commissione mutato il proprio convincimento dopo avere, in un primo momento, valutato correttamente invalido il documento tale da ordinarne il nuovo deposito da parte dell’Ufficio.

3.1.Il motivo è infondato.

Premesso che, in base al consolidato principio di questa Corte ad essere inammissibili in appello, ex art. 57 cit., sono soltanto le nuove “eccezioni” in senso proprio, o stretto; non anche le eccezioni in senso lato e le mere difese ed argomentazioni giuridiche, per contro sempre proponibili per cui: “nel giudizio tributario, il divieto di proporre nuove eccezioni in sede di gravame, di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 concerne tutte le eccezioni in senso stretto, consistenti nei vizi d’invalidità dell’atto tributario o nei fatti modificativi, estintivi o impeditivi della pretesa fiscale, mentre non si estende alle eccezioni improprie o alle mere difese e, cioè, alla contestazione dei fatti costitutivi del credito tributario o delle censure del contribuente, che restano sempre deducibili” (Cass. 11223/16; in termini, Cass. 21889/17; 8275 del 2018 ed altre), nella specie, la CTR si è attenuta al suddetto principio in quanto – a fronte della eccezione proposta nel ricorso originario di assunta mancanza della autorizzazione alle indagini bancarie con conseguente invalidità degli atti impositivi – ha ritenuto tardiva (in quanto nuova) l’eccezione sollevata in sede di gravame di invalidità del provvedimento autorizzatorio per vizio di sottoscrizione, ancorchè lo stesso fosse stato già prodotto dall’Agenzia agli atti del giudizio di primo grado e, in tale sede, il contribuente non avesse eccepito alcunchè. Muove poi da un erroneo presupposto interpretativo il ricorrente nell’affermare che l’interesse a sollevare tale eccezione sarebbe sorta dal mutato convincimento da parte del giudice di primo grado in ordine alla validità della detta autorizzazione – avendone ordinato un nuovo deposito – in quanto (come già osservato con riguardo al primo motivo di ricorso sub 1.) la rilevata mera mancanza agli atti di causa (all’udienza del 23.52013) da parte della CTP, del provvedimento di autorizzazione alle indagini bancarie, non ha implicato da parte dello stesso un accertamento della invalidità del documento già depositato dall’Ufficio in giudizio in data 29.8.12 e, pertanto, un successivo – con la sentenza impugnata – assunto mutamento del proprio convincimento in merito.

4. Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7 dello Statuto nonchè del principio di divieto dell’abuso del potere amministrativo per avere la CTR erroneamente ritenuto non violato, nella specie, il diritto al contraddittorio procedimentale per essere stati gli avvisi di accertamento emessi prima del decorso del termine di sessanta giorni dalla chiusura dell’attività istruttoria.

4.1.Il motivo è infondato.

Nella sentenza impugnata, la CTR evidenzia come, nella specie, si fosse trattato di una verifica fiscale, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2) in cui vi era stata una mera richiesta da parte dell’Ufficio all’avv.to P. di documentazione atta a giustificare l’incasso in extra conto di alcuni assegni circolari emessi dalla Banca Popolare di Verona San Gimignano e San Prospero su ordine dello studio legale associato Ravagni, senza alcun accesso o ispezione nei locali destinati all’esercizio dell’attività.

Va premesso che, in generale, il presupposto di applicabilità del complessivo statuto di diritti e di garanzie contemplato dalla L. n. 212 del 2000, art. 12 compresa l’applicazione del termine dilatorio di sessanta giorni su cui pure la contribuente si sofferma, è dato dall’accesso, dall’ispezione o dalla verifica nei locali aziendali, in quanto il complesso di diritti e garanzie fa da contrappeso all’invasione della sfera del contribuente, nei luoghi di sua pertinenza, al fine di conformare e adeguare l’interesse dell’Amministrazione alla situazione, come delineata dagli elementi raccolti dall’Ufficio giustappunto grazie alle attività di verifiche, accessi ed ispezioni nei locali (in termini, Cass. n. 8439 del 2017; n. 13588 del 2014; nn. 7957 e 7958 del 2014; n. 8399 del 2013; n. 27200 del 2013); ne consegue che le garanzie in questione sono assicurate esclusivamente al soggetto sottoposto ad accesso, ispezione o verifica nei locali, e non si estendono al terzo a carico del quale emergano dati, informazioni o elementi utili per l’emissione di un avviso di accertamento (Cass. 26 settembre 2012, n. 16354); nè diritti e garanzie sono operativi se l’amministrazione si avvale di verifiche compiute nei confronti di terzi (Cass. 13 novembre 2013, n. 25515).

In particolare, quanto all’iva, anche la giurisprudenza che fa leva sul D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 6, specifica che la norma prescrive la necessità di redazione di apposito verbale qualora l’accesso vi sia stato, pena la violazione del diritto del contribuente di presentare apposite memorie difensive entro sessanta giorni dalla consegna del processo verbale di constatazione (Cass. 11 settembre 2013, n. 20770; conf., ord. 29 settembre 2016, n. 19331).

In questo contesto, le sezioni unite di questa Corte (Cass. 9 dicembre 2015, n. 24823; conf., 30 dicembre 2015, n. 26117) hanno stabilito che, per i tributi armonizzati come Viva, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso l’invalidità dell’atto, purchè, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto(tra la successiva giurisprudenza conforme si vedano, tra le altre, Cass. n. 2875 del 2017; Cass. n. 10030 del 2017; Cass. n. 20799 del 2017; Cass. n. 21071 del 2017; Cass. n. 26943 del 2017); l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale è stato escluso, relativamente ai tributi non armonizzati, solo per gli accertamenti cd. a tavolino e, cioè, per quelli derivanti da verifiche effettuate presso la sede dell’Ufficio, in base alle notizie acquisite da altre Pubbliche Amministrazioni, da terzi ovvero dallo stesso contribuente, in conseguenza della compilazione di questionari o in sede di colloquio (da ultimo, Cass. n. 998 del 2018).

Questa Corte ha poi chiarito che nel caso di accesso, ancorchè finalizzato ad un’acquisizione documentale immediata, comunque la c.d. “prova di non resistenza” non può trovare ingresso in virtù della obbligatorietà generalizzata del contraddittorio preventivo sancito per legge dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, (Cass. n. 1007 del 2017); Da ultimo, nelle sentenze n. 701 e 702 del 2019, la Corte ha espresso i condivisibili principi secondo cui “1) la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, prevede, nel triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio operata dal legislatore, attraverso la previsione di nullità delratto impositivo per mancato rispetto del termine dilatorio, che già, a monte, assorbe la “prova di resistenza” e, volutamente, la norma dello Statuto del contribuente non distingue tra tributi armonizzati e non; 2) il principio di strumentalità delle forme ai fini del rispetto del contraddittorio, principio generale desumibile dall’ordinamento civile, amministrativo e tributario, viene meno in presenza di una sanzione di nullità comminata per la violazione, e questo vale anche ai fini del contraddittorio endoprocedimentale tributario; 3) per i tributi armonizzati la necessità della “prova di resistenza”, ai fini della verifica del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, scatta solo se la normativa interna non preveda già la sanzione della nullità”.

Nella sentenza impugnata la CTR si è attenuta ai suddetti principi, nel ritenere – non essendovi stato alcun accesso o ispezione nei locali di esercizio dell’attività ed essendosi concretato un accertamento c.d. a tavolino – la mancata violazione, nella specie, dell’art. 12, comma 7, cit., tanto più che, quanto all’Iva, il contribuente, non ha dedotto, come suo onere circostanze ulteriori a quelle già esposte che avrebbe rappresentato, se fosse stato promosso dall’Ufficio il contraddittorio nei suoi confronti.

5. Con il quinto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 ovvero per non liquet per avere la CTR omesso completamente di motivare in ordine alla censura – proposta in primo grado e riproposta in appello – di erronea imputazione, ai fini Iva e Irap, al periodo di imposta 2007, della somma di Euro 80.307,69, essendo stati tutti gli assegni circolari in questione corrisposti dallo studio legale associato Ravagni al contribuente in data 27 dicembre 2006.

5.1.Il motivo è infondato.

La CTR – previo richiamo della specifica censura relativa alla assunta erronea imputazione al periodo di imposta 2007 della somma di Euro 80.307,69 – ha precisato che i movimenti bancari oggetto del giudizio si concretavano in cinque assegni circolari emessi dalla Banca Popolare di Verona San Gimignano e San Prospero su ordine dello studio legale associato Ravagni del quale l’Avv. P. era stato socio, registrati uno nel 2006 e quattro nel 2007 (per l’importo di Euro 80.307,69), dando così rilievo al momento dell’incasso ai fini della imputazione delle somme.

6. Con il sesto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2 nonchè dell’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., comma 1, per avere la CTR – a fronte dell’avvenuto superamento della presunzione legale ex art. 32 cit. in forza della incontestata allegazione del fatto che gli assegni in questione non costituissero il pagamento di prestazioni professionali da parte dello studio professionale Ravagni che l’avv.to P. non aveva mai difeso – ritenuto il mancato assolvimento da parte del contribuente dell’onere probatorio per non avere fornito la prova documentale, neppure a livello presuntivo, che le somme percepite corrispondessero a distribuzioni di utili di annualità pregresse, ribaltando sul contribuente deficienze probatorie dello stesso Ufficio che aveva dato rilevanza, in sede di accertamento, a documentazione, peraltro parziale, di terzi (studio associato).

6.1. Il motivo è infondato.

Giova premettere che in materia di accertamenti bancari, la giurisprudenza della Corte di Cassazione (sentenze n. 4829/2015; 5758/2018; n. 3441 del 2019) è ferma nel ritenere che, qualora l’accertamento effettuato dall’Ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2), attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova, a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica, ma analitica, per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili, dalla movimentazione bancaria, non sono riferibili ad operazioni imponibili.

A seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 288 del 2014, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2), secondo periodo, D.P.R. n. 29 settembre 1973, n. 600, limitatamente alle parole “o compensi”, ed ha ridefinito il perimetro applicativo della norma relativa ai prelevamenti, la presunzione si applica ai movimenti bancari di prelevamento, solo se essi riguardano un imprenditore e non un lavoratore autonomo, come nel caso di specie. Ne consegue che come ribadito da ultimo da Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 22931 del 26/09/2018; n. 32427 del 2019 (v. anche Cass. n. 16440 del 2016, n. 19806 e n. 19807 del 2017), quello secondo cui “In tema di accertamento, resta invariata la presunzione legale posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicchè questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, essendo venuta meno, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 de12014, l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale limitatamente ai prelevarnenti sui conti correnti”.

Va, altresì, ricordato che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32 (in virtù della quale i versamenti operati su conto corrente bancario vanno imputati a ricavi conseguiti nell’esercizio dell’attività libero professionale o di lavoratore autonomo), non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sul proprio conto corrente, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività (di recente, Cass. n. 4829 del 2015Cass. n. 21303 del 2013; Cass. n. 24419 del 2018).

Va ancora ricordato, in tema di onere della prova e di verifica giudiziale in materia di accertamenti bancari, il consolidato insegnamento di questa Corte secondo cui la presunzione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, dettata in materia di imposte sui redditi (secondo la quale i prelevamenti e gli importi riscossi nell’ambito di rapporti bancari, in difetto di indicazione del soggetto beneficiario o in mancanza di annotazione nelle scritture contabili, sono considerati ricavi o compensi posti a base delle rettifiche operate ai sensi degli artt. 38-41 dello stesso decreto, ove il contribuente non dimostri che ne ha tenuto conto nella dichiarazione dei redditi ovvero che tali somme rimangono escluse dalla formazione dell’imponibile), omologa a quella stabilita dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, in materia di IVA, consente di riferire a redditi (e, nel secondo caso, a ricavi) imponibili, conseguiti nell’attività economica svolta dal contribuente, tutti i movimenti bancari rilevati dal conto, qualificando gli “accrediti” (e, per le sole attività imprenditoriali, anche gli “addebiti”) come ricavi; trattasi di presunzione legale “juris tantum” che consente di considerare come ricavo riconducibile all’attività professionale o imprenditoriale del contribuente qualsiasi accredito riscontrato sul conto corrente del medesimo e a quello dei congiunti, in presenza di chiari elementi sintomatici come quelli sussistenti nella specie, e comportante l’inversione dell’onere della prova, spettando a quest’ultimo di superare detta presunzione offrendo la prova liberatoria che dei movimenti sui conti bancari egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o che gli accrediti (e gli addebiti) registrati sui conti non si riferiscono ad operazioni imponibili, occorrendo all’uopo che venga indicato e dimostrato dal contribuente la provenienza dei singoli versamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti (arg. da Cass. 26111 del 2015 e n. 21800 del 2017; conf. Cass. n. 5152, n. 5153, n. 19807 e n. 19806 del 2017, n. 18065, n. 18066, n. 18067, n. 16686, n. 16699, n. 16697, n. 11776, n. 6093 del 2016; Sez. 6-5, ord. n. 7453, n. 9078 e n. 19029 del 2016); con specifico riferimento al contenuto dell’onere probatorio gravante sul contribuente si è affermato che il contribuente ha l’onere di dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili, e, a tal fine, deve fornire non una prova generica, ma una prova analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle singole operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (in termini, Cass. n. 18081 del 2010, n. 22179 d& 2008 e n. 26018 del 2014) ed il giudice di merito è tenuto alla rigorosa verifica dell’efficacia dimostrativa delle prove fornite a giustificazione di ogni singola movimentazione accertata, rifuggendo da qualsiasi valutazione di irragionevolezza ed inverosimiglianza dei risultati restituiti dal riscontro delle movimentazioni bancarie, in quanto il giudizio di ragionevolezza dell’inferenza dal fatto certo a quello incerto è già stato stabilito dallo stesso legislatore con la previsione, in tale specifica materia, della presunzione legale (Cass. 21800 del 2017; n. 32427 del 2019).

Così ricostruito il quadro giurisprudenziale in materia, osserva il Collegio che le operazioni, come nella specie, di incasso in extra conto di assegni circolari costituiscono operazioni bancarie, oggetto della rilevazione da parte dell’Ufficio ex art. 32 (e su cui l’Istituto fornisce dati e informazioni) equiparabili, in via generale, ai versamenti perchè la somma (proveniente da un terzo) viene trattenuta dall’interessato (l’assegno viene “cambiato” in cassa senza transitare per il conto). Trattasi, infatti, di titoli di credito mediante il quale l’emittente provvede ad ordinare alla propria banca di pagare a vista la somma di danaro specifica nell’assegno al beneficiario. Pertanto, le somme riscosse dal cambio degli assegni circolari in extraconto rientrano nella categoria degli “importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni” cui l’art. 32 cit. ricollega, accanto ai prelevamenti, la presunzione legale relativa di ricavi. Fa eccezione l’ipotesi dell’assegno a sè stesso che evidentemente, incidendo sul conto dello stesso emittente-beneficiario, assume natura di prelevamento.

6.2. Ne consegue l’enunciazione del seguente principio di diritto: “le operazioni bancarie in extra-conto, quali quelle di incasso di assegni circolari, sono equiparabili ai versamenti (perchè la somma, proveniente da un terzo, viene trattenuta dall’interessato che cambia l’assegno in cassa senza transitare per il conto) e rientrano nella categoria degli “importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni” cui il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 in materia di imposte sui redditi, ricollega, accanto ai prelevamenti (per le sole attività imprenditoriali), la presunzione legale relativa di imputazione a ricavi o compensi”.

6.3. Nella sentenza impugnata, la CTR, attenendosi ai suddetti principi, ha ritenuto – con un accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità- non superata, nella specie, la presunzione legale relativa ex art. 32 cit. di imputazione a ricavi conseguiti nell’esercizio della propria attività professionale e non contabilizzati, delle somme da quest’ultimo incassate dal cambio degli assegni circolari in extraconto emessi dalla Banca Popolare di Verona San Gimignano e San Prospero su ordine dello studio legale associato Ravagni, non avendo il contribuente fornito prova documentale (neanche a livello presuntivo) circa la corrispondenza di tali somme a utili non distribuiti relativi a annualità pregresse (redditi di partecipazione o quote parte di competenze asseritamente già maturate e non ancora distribuite nei confronti dello studio legale associato Ravagni nei periodi di imposta in cui era associato). Ogni altra argomentazione sottesa al motivo tende inammissibilmente a rivisitazioni di accertamenti di merito operate dal giudice di appello.

7. Con il settimo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per non liquet, non essendosi la CTR pronunciata in ordine alla dedotta – nei gradi di merito – violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5 per essere gli importi riscossi dal cambio degli assegni circolari corrispondenti a quote di reddito di partecipazione allo studio legale associato Ravagni maturate dal contribuente nei periodi di imposta in cui era associato, già sottoposte al regime di imposizione per trasparenza.

8. Con l’ottavo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per non liquet non essendosi la CTR pronunciata in ordine al motivo di censura proposto in primo grado e riproposto in sede di gravame – con il quale era stata dedotta la violazione dell’art. 17, comma 1, lett. l, del TUIR, dovendo essere le somme riscosse dal contribuente assoggettate a tassazione separata trattandosi di redditi imputati al socio a seguito del recesso (nel 2005) dall’associazione professionale.

9. Con il nono motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3 per avere la CTR erroneamente ritenuto legittima la ripresa a tassazione, anche ai fini Iva, delle somme riscosse dal contribuente ancorchè non si trattasse di compensi (non dichiarati) di prestazioni professionali ma di somme relative a redditi di sua spettanza già maturati nei confronti dello studio associato; con ciò concretandosi, ad avviso del contribuente, una mera traslazione monetaria di natura finanziaria la cui rilevanza fiscale era già avvenuta ovvero sarebbe avvenuta.

10. Con il decimo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 8 per avere la CTR erroneamente ritenuto legittima la ripresa a tassazione anche ai fini Irap delle somme riscosse dal contribuente ancorchè non si trattasse di compensi da lavoro autonomo.

10.1. Il rigetto del sesto motivo rende inutile la trattazione dei motivi dal settimo al decimo – tutti basati sul presupposto – ritenuto dalla CTR indimostrato – del superamento della presunzione legale (relativa) e, dunque, che gli importi riscossi dal cambio degli assegni circolari non costituissero “compensi” da lavoro autonomo – con assorbimento degli stessi.

11. Con l’undicesimo motivo, il ricorrente denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 7, per avere la CTR erroneamente ritenuto corretta la sanzione complessiva di Euro 78.066,00 determinata in base al raffronto tra cumulo giuridico (78.066,00) e cumulo materiale (78.534,00) per entrambi gli anni 2006 e 2007 ancorchè fosse superiore alla somma delle sanzioni da irrogare nei due periodi di imposta (Euro 3.220,50 nel 2006 in base a cumulo giuridico e Euro 71.762,00 nel 2007 in base a cumulo materiale) in contrasto con la ratio del favor rei per cui l’ufficio avrebbe dovuto determinare la sanzione “più mite” anche combinando cumulo giuridico e materiale nel caso in cui, come nella specie, fossero coinvolti più periodi di imposta.

11.1.Il motivo è infondato.

Occorre premettere che il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 12 (come sostituito dal D.Lgs. 5 giugno 1998, n. 203, art. 2, comma 1, lett. e), e successivamente modificato dal D.Lgs. 30 marzo 2000, n. 99, art. 2, comma 1, lett. a)) – ove è definito il concorso di violazione e continuazione nel sistema amministrativo e tributario prevede, in linea generale, l’applicazione di una sanzione unica e ridotta (c.d. cumulo giuridico) in luogo di quella derivante dalla somma delle sanzioni relative ai singoli illeciti (c.d. cumulo materiale). In particolare la disposizione citata afferma che: “è punito con la sanzione che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentata da un quarto al doppio chi, con una sola azione od omissione, viola diverse disposizioni, anche relative a tributi diversi”(comma 1, prima parte); e che soggiace alla stessa sanzione “chi, anche in tempi diversi, commette più violazioni che, nella loro progressione, pregiudicano o tendono a pregiudicare la determinazione dell’imponibile ovvero la liquidazione anche periodica del tributo” (comma 2). La norma citata (D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12), ha riformulato la disciplina generale dell’istituto della continuazione nell’illecito tributario, confermando ed ampliando il principio del cumulo giuridico delle sanzioni, reso obbligatorio e non più facoltativo (come invece disponeva l’art. 8, della precedente legge sulle sanzioni tributarie, n. 4/29), ed ha considerato specificamente l’ipotesi delle violazioni riguardanti periodi di imposta diversi, stabilendo, per questa particolare fattispecie, regole di maggior rigore, fermo restando, tuttavia, l’obbligo di procedere al cumulo giuridico delle sanzioni (Cass. n. 7163 del 2002). Premesso che come precisato da questa Corte, la sfera applicativa della progressione tributaria è limitata alle violazioni potenzialmente incidenti su “la determinazione dell’imponibile ovvero la liquidazione anche periodica del tributo” (D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 2) (Cass. n. Sez. 5, Sentenza n. 1540 del 20/01/2017; Sez. 5 -, Ordinanza n. 8148 del 22/03/2019), l’art. 12, comma 7, medesimo D.Lgs. nello stabilire che “Nei casi previsti dal presente articolo la sanzione non può essere comunque superiore a quella risultante dal cumulo delle sanzioni previste per le singole violazioni”, implica il necessario raffronto tra il cumulo giudico delle sanzioni ex art. 12, commi 1 e 2, in applicazione dell’istituto della continuazione, e il cumulo materiale delle medesime per i periodi di imposta considerati, non potendo il cumulo giuridico superare il cumulo materiale delle sanzioni per i periodi in rilievo.

11.2.La CTR si è attenuta ai suddetti principi nel ritenere la correttezza del calcolo delle sanzioni operato dall’Ufficio in base al cumulo giuridico riguardante gli anni 2006-2007 (pari a Euro 78.066,00) che, in ossequio anche al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 7, non superava il cumulo materiale delle sanzioni per gli stessi anni (Euro 78.534,00).

12. In conclusione il ricorso va rigettato.

13. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 7.200,00 per compensi oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza del presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2021

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