Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8718 del 13/04/2010

Cassazione civile sez. III, 13/04/2010, (ud. 18/02/2010, dep. 13/04/2010), n.8718

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., da:

R.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via G. Bettolo

n. 6, presso lo studio dell’avv. Titone Patrizia, rappresentato e

difeso dall’avv. Giovanni Fiorentino giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

RI.MI. e M.G., elettivamente

domiciliati in Roma, Via Verona n. 9, rappresentati e difesi

dall’avv. Lazzarino Fini giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bari n. 150/06 in data

11 gennaio 2006, pubblicata in data 23 febbraio 2006;

Udita la relazione del Consigliere Dott. URBAN Giancarlo;

udito l’avv. Amatore Salvatore per delega avv. G. Fiorentino;

udito l’avv. Lazzarino Fini;

udito il P.M. in persona del Cons. Dott. GOLIA Aurelio che si è

riportato alle conclusioni scritte.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con scrittura privata del 25 gennaio 1985 R.M. promise di acquistare un terreno agricolo di proprietà dei coniugi Ri.Mi. e M.G. per il dichiarato prezzo di L. 45.000.000.

Provvedendo sulla domanda proposta con atto di citazione del 17 gennaio 1987 dal promissario acquirente – domanda cui i convenuti coniugi avevano resistito deducendo tra l’altro che la pattuizione, posta a fondamento di essa, era diretta a garantire le anticipazioni effettuate dal predetto in favore del cognato Ri. a causa delle difficoltà economiche di quest’ultimo, con sentenza dell’11 luglio 1995 il Tribunale di Foggia dichiarò risolto il contratto preliminare di vendita per inadempimento dei convenuti e condannò costoro, in solido, a restituire all’attore la somma di L. 35.000.000 – che dallo stesso preliminare risultava loro versata -, al risarcimento del danno ed al pagamento delle spese di lite. Tale decisione impugnata dai convenuti è stata confermata dalla Corte di Appello con pronuncia del 29 gennaio 1999: la Corte territoriale non ritenne di poter ravvisare il patto commissorio dedotto dagli appellanti (promittenti venditori) osservando che il tenore letterale della scrittura privata escludeva la sussistenza delle relative condizioni e che non era stata di esso acquisita altra prova; a tutto concedere, “si sarebbe trattato dell’obbligo di trasferire un bene immobile, non già per garantire l’adempimento dell’obbligazione di restituzione del debito (non ancora scaduto), ma invece per soddisfare un precedente credito rimasto insoluto e per liberare il debitore delle conseguenze connesse alla sua pregressa inadempienza” La memoria difensiva del R., nella quale si affermava che la pattuizione in questione era stata stipulata a copertura di prestiti precedenti al rapporto societario, confermava tale interpretazione “nel senso che il bene sarebbe stato venduto o promesso in vendita dagli appellanti al R. per un precedente prestito scaduto e non pagato”: obbligazione che la Corte ha ritenuto legittimamente assunta.

Per la cassazione di tale decisione il Ri. e la M. hanno congiuntamente proposto ricorso, affidato a due motivi, cui il R. resiste con controricorso.

Con sentenza del 2 aprile 2001 n. 7585 (pubblicata il 5 giugno 2001) la Corte di Cassazione dichiarava inammissibile il primo motivo di ricorso, concernente la sussistenza del patto commissorio; accoglieva invece il secondo motivo, riguardante l’effettiva dazione dell’importo di L. 35 milioni al momento della sottoscrizione della scrittura del 25 gennaio 1985. In relazione a tale pronunzia, disponeva che il giudice del rinvio approfondisse il tema della effettiva dazione della somma ai coniugi Ri. e M..

Con sentenza del 23 febbraio 2006 la Corte d’Appello di Bari accertava che non vi era prova della effettiva dazione della somma:

rigettava quindi la domanda proposta da R.M., che condannava alle spese di tutti i gradi.

Ricorre per cassazione R.M. con due motivi.

Resistono con controricorso Ri.Mi. e M. G..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2702 e 2697 c.c. e artt. 221 e seg. c.p.c..

La valutazione degli elementi di prova raccolti nella fase di merito appare sorretta da adeguata e corretta motivazione: la censura sollevata si limita a proporre una lettura alternativa delle risultanze di causa senza individuare specifiche valutazioni erronee o incongrue applicazioni dei canoni della logica. La motivazione assunta nella sentenza impugnata supera quindi in modo limpido il vaglio di legittimità demandato a questa Corte: secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite il giudice di legittimità non ha il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione. (Cass. SS.UU. 27 dicembre 1997 n. 13045).

Con il secondo motivo si denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 184 c.p.c. e dell’art. 87 disp. att. c.p.c. in relazione alla acquisizione della memoria difensiva del R. e relativa ad altro processo. La sentenza impugnata ha dato atto della ritualità di detta acquisizione, senza che il ricorrente abbia precisato le ragioni della illegittimità1 di detta produzione, non contestata tempestivamente e intervenuta prima della modifica legislativa del 26 novembre 1990 n. 353.

Il ricorso merita quindi il rigetto; la complessità del rapporto dedotto giustifica la compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Terza Sezione Civile, rigetta il ricorso; spese compensate.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2010

 

 

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