Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8715 del 29/03/2021

Cassazione civile sez. II, 29/03/2021, (ud. 07/01/2021, dep. 29/03/2021), n.8715

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25092/2019 proposto da:

R.B., elettivamente domiciliato in Petilia Policastro (KR)

via Arringa n. 60, presso lo studio dell’avv.to GIOVANBATTISTA

SCORDAMAGLIA, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

PROCURA DELLA REPUBBLICA CATANZARO;

– intimata –

avverso la sentenza n. 186/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 01/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/01/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. La Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza pubblicata il 1 febbraio 2019, respingeva il ricorso proposto da R.B., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale il Tribunale di Catanzaro aveva rigettato l’opposizione avverso la decisione della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale che aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

2. La Corte d’Appello preliminarmente riteneva non necessario procedere all’audizione del richiedente la protezione internazionale. Non essendo state prospettate esigenze specifiche che potessero eventualmente comportare la necessità di una nuova audizione.

Il richiedente dinanzi la commissione territoriale di Crotone aveva dichiarato che sin dall’età di 14 anni aveva lavorato come cuoco in una mensa e che un giorno una persona gli aveva proposto di cucinare anche per altre persone e con l’inganno lo aveva condotto a casa sua chiedendogli di mettere del veleno nel cibo preparato per una mensa sciita in cambio di più di 2.000.000 di rupie. Egli aveva rifiutato la proposta ed era stato violentemente picchiato e minacciato anche dell’uccisione dei figli e così aveva preso il veleno ed era tornato a casa e poi insieme al capo mensa era andato alla polizia e aveva denunciato il fatto, precisando di conoscere solo l’uomo che lo aveva contattato che faceva parte di un gruppo denominato (OMISSIS). Gli uomini che gli avevano dato il veleno successivamente erano andati a cercarlo a casa e non avendolo trovato avevano ucciso sua madre e picchiato la moglie che era anche incinta e che gli aveva consigliato di andar via dal paese, così era scappato.

Secondo la Corte d’Appello le dichiarazioni non erano credibili in quanto del tutto generiche, sicchè doveva escludersi la sussistenza di concreti ed oggettivi elementi sulla cui base poter riconoscere all’appellante lo status di rifugiato politico o la protezione sussidiaria con riferimento alle previsioni di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

La Corte d’Appello rigettava anche il motivo relativo al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c). Secondo la corte d’appello nonostante la situazione del Pakistan fosse caratterizzata da un alto livello di stabilità non vi era tuttavia un rischio così elevato per la vita o l’incolumità delle persone, dovendo escludersi l’esistenza di un conflitto armato in atto e comunque l’esistenza di un rischio così elevato da costituire una minaccia individuale per il richiedente.

Infine, la Corte d’Appello rigettava anche il motivo di impugnazione relativo alla mancata concessione della protezione umanitaria, sia perchè non emergevano concreti indici soggettivi tale da comportare un rischio nel caso di rientro in Pakistan anche in ragione della ritenuta non credibilità del racconto del richiedente. Inoltre, il fatto che egli espletasse attività lavorativa non era elemento sufficiente per ritenere sussistente una condizione di vulnerabilità riguardo l’impossibilità di procurarsi quanto necessario per soddisfare i bisogni alimentari primari in caso di rientro nel paese di origine. Ciò anche tenuto conto della condizione oggettiva del Pakistan, e tenuto conto anche della patologia allegata di diabete mellito di tipo due curabile anche in Pakistan.

3. R.B. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di tre motivi di ricorso.

4. Il Ministero dell’interno si è costituito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, con riferimento ai profili di credibilità, violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 1, lett. e), Status di rifugiato.

La censura attiene alla ritenuta non credibilità del racconto nonostante lo stesso fosse dettagliato in tutti i suoi aspetti ed anche supportato dalla denuncia inoltrata dal fratello del ricorrente per la morte della madre. Inoltre, il collegio non avrebbe attivato i propri poteri ufficiosi per acquisire la completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello stato di provenienza in attuazione dell’obbligo di cooperazione istruttorio.

2 Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e art. 14, comma 1, lett. b), in riferimento alla protezione sussidiaria.

La censura attiene all’erronea valutazione della situazione del Pakistan in relazione agli attacchi di violenza subiti dal ricorrente da parte del gruppo terroristico (OMISSIS), responsabile addirittura dell’omicidio dello zio e della madre. Inoltre, il ricorrente non aveva ottenuto tutela neanche da parte dell’autorità nonostante la denuncia presentata. In tal senso il ricorrente richiama le fonti dalle quali emerge la corruzione all’interno del governo della polizia del Pakistan. Pertanto, alla luce di quanto dedotto le vicende patite dal ricorrente dovrebbero essere ricollegate a ragioni terrorismo con matrice religiosa e dunque riconducibili al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, lett. b).

2.1 I primi due motivi, che stante la loro evidente connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili.

Quanto alla valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente, essa costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549).

La critica formulata nei motivi costituisce, dunque, una mera contrapposizione alla valutazione che la Corte d’Appello ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure censurata mediante allegazione di fatti decisivi emersi nel corso del giudizio che sarebbero stati ignorati dal giudice di merito. In particolare, con riferimento alla inverosimiglianza e contraddittorietà delle dichiarazioni del ricorrente.

La Corte d’Appello, inoltre, ha fatto esplicito riferimento alle fonti internazionali dalle quali ha tratto la convinzione che il Pakistan non sia una zona rientrante tra quelle di cui al D.Lgs. n. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c.

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali del Pakistan, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile dai giudici di merito (Cass. n. 14283/2019).

Deve ribadirsi che in tema di protezione sussidiaria, anche l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui alla norma citata, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018).

Inoltre, con riferimento alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), deve evidenziarsi che il racconto del richiedente non è stato ritenuto credibile e che in tal caso non si impone l’esercizio dei poteri ufficiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, erronea valutazione delle condizioni di salute ed omessa valutazione dei centri specialistici in Pakistan e delle conseguenze psicofisiche del rimpatrio in violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, per mancata comparizione tra integrazione sociale e condizione transitoria del paese di origine.

La censura attiene al rigetto della domanda di protezione umanitaria nonostante le condizioni di salute del ricorrente che soffre di diabete mellito di tipo 2 e nonostante il suo livello di integrazione elevato e il rischio per la propria incolumità in caso di rientro nel paese di origine.

3. Il terzo motivo di ricorso è fondato.

In primo luogo deve richiamarsi il seguente principio di diritto cui il collegio intende dare continuità: In tema di protezione internazionale, nei casi in cui “ratione temporis” sia applicabile il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, ai fini del riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la vulnerabilità del richiedente può anche essere conseguenza di una seria esposizione al rischio di una lesione del diritto alla salute adeguatamente allegata e dimostrata, nè tale primario diritto della persona può trovare tutela esclusivamente nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 36, in quanto la ratio della protezione umanitaria rimane quella di non esporre i cittadini stranieri al rischio di condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo di diritti della persona, come quello alla salute, e al contempo di essere posti nella condizione di integrarsi nel paese ospitante anche attraverso un’attività lavorativa, mentre il permesso di soggiorno per cure mediche di cui al citato art. 36 si può ottenere esclusivamente mediante specifico visto d’ingresso e pagamento delle spese mediche da parte dell’interessato (Sez. 1, Ord. n. 2558 del 2020).

Nella specie la Corte d’Appello non ha valutato il rischio di danno alla salute del ricorrente, il quale ha dedotto e provato in giudizio di essere affetto da diabete mellito. La Corte d’Appello ha apoditticamente affermato che la suddetta patologia trova cura anche in Pakistan senza fare alcun riferimento a fonti qualificate che attestino che in caso di rientro nel Paese al ricorrente possa essere assicurata e somministrata la terapia farmacologica necessaria. Inoltre, il richiedente aveva allegato anche una certa integrazione mediante la produzione di documentazione attestante un contratto di lavoro a tempo determinato con relativa busta paga. Il parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia non è sufficiente da solo a integrare il presupposto della protezione umanitaria ma può essere valorizzato al fine di valutare in concomitanza con altri elementi una situazione di vulnerabilità personale (Cass. n. 4455 del 2018).

A tal proposito deve ribadirsi che il giudice nel valutare la sussistenza di situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale, capace di determinare una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti inviolabili, deve considerare globalmente ed unitariamente i singoli elementi fattuali accertati, e non in maniera atomistica e frammentata.

Spetterà alla Corte d’Appello in sede di rinvio, pertanto, valutare se la patologia del tipo diabete mellito è curata dal sistema sanitario del Pakistan mediante il ricorso a fonti qualificate e valutare se la suddetta patologia unitamente alla condizione lavorativa possa determinare una condizione di vulnerabilità tale da giustificare il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

5. In conclusione la Corte dichiara inammissibili i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo, cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Catanzaro in diversa composizione che dovrà provvedere anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

dichiara inammissibili i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo, cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Catanzaro in diversa composizione che dovrà provvedere anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 7 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2021

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