Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8713 del 11/05/2020

Cassazione civile sez. trib., 11/05/2020, (ud. 17/01/2020, dep. 11/05/2020), n.8713

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 14601/2013 R.G. proposto da:

B.P., rappresentato e difeso dall’avv.to Stefano

Petrecca e dall’avv.to Rosamaria Nicastro, elettivamente domiciliato

presso il loro studio “Di Tanno e Associati – Studio legale

Tributario”, sito in Roma, Via Giovanni Paesiello n. 33, giusta

mandato a margine del ricorso.

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa, ope legis, dall’Avvocatura Generale

dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12.

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale n.

63/10/12 del Lazio, depositata il 16/04/2012 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta, nella pubblica udienza del

17/01/2020, dal Consigliere Dott.ssa D’Angiolella Rosita;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato Rosaria Nicastro che ha concluso

riportandosi al ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott.

Basile Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

B.P. proponeva ricorso, innanzi alla Commissione Tributaria provinciale di Roma, avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate, riprendeva a tassazione il maggior reddito ai fini Irpef, Irap ed Iva, per l’anno 1998, oltre interessi sanzioni.

La Commissione tributaria di primo grado, con sentenza n. 420/22/2009, rigettava il ricorso del contribuente.

La Commissione tributaria regionale, adita dal contribuente, respingeva l’appello da questi proposto confermando integralmente la gravata sentenza, rilevando che gli avvisi impugnati erano legittimi, anche sotto il profilo motivazionale, così come ritualmente notificati (essendo stati notificati a mani del portiere dello stabile del domicilio del contribuente dopo aver tentato presso i familiari), notifica in ogni caso sanata dall’avvenuta costituzione della parte contribuente; che il termine di decadenza dal potere impositivo era stato prorogato di due anni dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 10, arrivandosi così ad un termine quadriennale da computarsi a far data dal 31 dicembre dell’anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, aumentato di un anno in ipotesi di omessa dichiarazione, con la conseguenza che nella specie l’Ufficio aveva rispettato il termine del 31.12.2006 per esercitare il potere accertativo. Quanto al merito, rilevava che il contribuente non aveva fornito la prova contraria alle presunzioni conseguenti ai controlli bancari, prova che, peraltro, doveva essere specifica e non generica; anche con riguardo alle imposte sul reddito di lavoro autonomo, la Commissione tributaria regionale riteneva che l’accertamento dell’Ufficio desse ampiamente conto del fatto che il B. svolgesse attività professionale di avvocato in maniera continuativa e non episodica.

Il contribuente ha proposto ricorso per Cassazione avverso tale sentenza, affidandosi a tre motivi.

L’Agenzia delle entrate, non essendosi costituita nei termini di legge, ha depositato “atto di costituzione” al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

B.P. ha presentato memoria difensiva ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso – così rubricato: “Violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 115,139 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 43,58 e 60 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57. Art. 360 c.p.c., n. 3″ – il ricorrente denuncia l’errore dei secondi giudici nella parte in cui non hanno rilevato il vizio di notificazione dell’avviso di accertamento ed hanno ritenuto che la costituzione in giudizio del contribuente avesse sanato l’atto, ex art. 156 c.p.c..

1.1. Il motivo è infondato.

1.2. I giudici di merito hanno, in primo luogo, accertato la legittimità del procedimento notificatorio, evidenziando che la notifica è stata tentata sia presso il domicilio fiscale del contribuente sia presso la sua residenza anagrafica (in sentenza si dà atto di tutti i tentativi di notifica effettuati presso il domicilio del ricorrente, a persone di famiglia e l’esito negativo degli stessi) e, quindi, effettuata mediante deposito dell’avviso di accertamento presso la casa comunale. Solo dopo aver dato atto della regolarità formale del procedimento notificatorio, i giudici d’appello hanno affermato la validità della notifica degli avvisi di accertamento per effetto di raggiungimento dello scopo dell’atto, ex art. 156 c.p.c..

1.3. A fronte della puntuale verifica compiuta dal giudice di merito, la questione della effettiva residenza anagrafica del contribuente – se fosse o meno effettivamente residente in Scanno (AQ), e dei conseguenti effetti della notifica effettuata con il deposito presso la casa comunale – che pur tanta occupa nelle deduzioni del primo motivo di ricorso (v. pagg. 18-25), non è censurabile in questa sede perchè riguarda le modalità di effettuazione del procedimento notificatorio che implica un apprezzamento di fatto, non sindacabile nel giudizio di legittimità e che, al più, avrebbe potuto essere censurato sotto il profilo del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e non, invece, di violazione di legge come dedotto dal ricorrente (cfr. Sez. 1, Sentenzan. 21353 del 09/11/2004, Rv. 578700-01; Sez. 5, Sentenzan. 10772 del 10/05/2006, Rv. 589478-01; Sez. 5, Sentenzan. 13916 del 28/05/2008, Rv. 603743-01; per la notifica dell’atto di citazione, cfr. Sez. 2, Sentenza n. 18427 del 01/08/2013, Rv. 627586-01).

1.4. Il ricorrente, con il primo motivo, deduce altresì che i secondi giudici hanno violato la legge nel ritenere operante la sanatoria, ex art. 156 c.p.c., per raggiungimento dello scopo anche per le decadenze prodottesi prima della presentazione del ricorso ovvero, con riferimento alle annualità in scadenza (1998) entro il 31 dicembre 2006. Richiama all’uopo la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 19584 del 05/10/2004, secondo cui pur essendo ammissibile, in ipotesi di invalidità della notifica (per inesistenza o nullità), tale sanatoria, essa può operare soltanto se il conseguimento dello scopo avvenga prima della scadenza del termine di decadenza, previsto dalle singole leggi d’imposta, per l’esercizio del potere di accertamento.

1.5. Il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza richiamata risulta a tutt’oggi consolidato (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 10445del 12/05/2011, Rv. 618086-01; Sez. 5, Sentenza n. 18480del 21/09/2016, Rv. 640971-01; Sez. 5, Sentenza n. 384del 13/01/2016, Rv. 638250-01; Sez. 5, Sentenza n. 21865del 28/10/2016, Rv. 641550 01; Sez. 5, Sentenza n. 654del 15/01/2014, Rv. 629235-01; Sez. 5, Sentenza n. 8374del 24/04/2015, Rv. 635171-01; Sez. 5, Ordinanza n. 21071del 24/08/2018, Rv. 650056-01, n. 2203 del 2018 Rv. 647106-01). In sintesi di detti principi, cui si dà seguito, la notificazione degli atti d’imposizione tributaria non è un requisito di giuridica esistenza e perfezionamento, ma una condizione integrativa d’efficacia (o, potrebbe dirsi nel solco della dottrina amministrativistica, di operatività) e, come le Sezioni Unite hanno chiarito, tanto la nullità, quanto l’inesistenza della notifica dell’atto non rileva ove l’atto abbia raggiunto lo scopo (dal richiamo operato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, deriva l’applicazione del regime processual-civilistico delle nullità e delle relative sanatorie, ex art. 156 c.p.c.) per il fatto di essere stato impugnato dal destinatario prima della scadenza del termine fissato dalla legge per l’esercizio del potere impositivo; d’altro canto, l’impugnazione dell’atto determina inequivocabilmente la piena conoscenza da parte del contribuente dello stesso – come è logicamente desumibile dalle contestazioni formulate in sede di impugnazione – e quindi il pieno rispetto delle garanzie costituzionali riguardanti il diritto di difesa.

1.6. Tuttavia, ciò che osta all’accoglimento della doglianza è che non risulta formulata alcuna eccezione di decadenza dal potere impositivo quale conseguenza della affermata inesistenza della notificazione degli atti impugnati, come peraltro è evidente dalla lettura del ricorso che non fa alcun richiamo alle difese dei giudizi di merito nei quali tale eccezione sarebbe stata formulata, con conseguente inammissibilità della questione sottostante relativa alla decadenza del potere impositivo prodottasi prima della proposizione del ricorso (e cioè, come assume il ricorrente, entro il 31.12.2006, per l’Iva relativa all’annualità 1998).

2. Col secondo motivo – così rubricato:”Insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” – il ricorrente deduce il vizio motivazionale nella parte in cui secondi giudici hanno omesso di spiegare il perchè il domicilio fiscale del ricorrente fosse diverso da quello della residenza anagrafica e differente da quanto risultante dai documenti prodotti in giudizio e perchè la documentazione prodotta dall’Ufficio sia stata preferita rispetto a quella prodotta dal contribuente.

2.1. Come già sopra evidenziato, il giudice d’appello non è incorso nel vizio d’insufficiente motivazione avendo chiaramente spiegato come dagli atti di causa risultava che, dopo numerosi tentativi effettuati al domicilio del ricorrente e andati falliti, la notifica è stata effettuata presso la casa comunale. Così argomentando i secondi giudici hanno dato conto, dunque, di come la notifica sia avvenuta nella tassativa successione preferenziale delle persone indicate dall’art. 139 c.p.c. (v. sentenza pag. 3, primo capoverso:”ne/ caso in esame i tentativi di notifica “a persone di famiglia” sono stati effettuati anche se con esito negativo e che “in mancanza di B.P. la relata è stata sottoscritta, come prescrive la normativa vigente, dal portiere)” e che, solo in esito alle infruttuose ricerche del destinatario nel luogo di residenza, si è fatto ricorso alla procedura di cui all’art. 140 c.p.c. con il deposito dell’atto presso la casa comunale. Alcun vizio di motivazione, dunque, vi è stato, nè è da farsi questione di prevalenza di fonti documentali, atteso che è l’Amministrazione finanziaria che ha notificato l’avviso e quindi ha prodotto in giudizio la corrispondente relata di notifica, atti che costituiscono l’unica fonte per verificare la ritualità del procedimento notificatorio senza alcun giudizio di comparazione tra prove documentali: la relata di notifica è quella e su quella deve essere fatto il riscontro per la verifica della notificazione nella residenza, nella dimora o nel domicilio (art. 139 c.p.c.) o per irreperibilità del destinatario (art. 140 c.p.c.).

3. Con il terzo motivo di ricorso – così rubricato:”Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 447 del 1997, art. 3, comma 1, lett. b), nonchè insufficiente motivazione della sentenza in relazione ai medesimi profili. Art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 ” – il ricorrente deduce il vizio di motivazione nella parte in cui i secondi giudici non hanno chiarito il perchè avrebbe dovuto ritenersi “notevole”, ai fini Irap, l’attività professionale svolta dal ricorrente per l’anno 1998 e, quindi, non hanno considerato l’esistenza di autonoma organizzazione facente capo al ricorrente, nonchè deduce la violazione di legge nella parte in cui i secondi giudici rigettato il gravame senza accertare l’esistenza di un’autonoma organizzazione.

3.1. La sentenza impugnata non è censurabile sotto alcuno dei due vizi dedotti dal ricorrente. Non ricorre il vizio di motivazione, avendo i secondi giudici chiaramente motivato sulla sussistenza della legittimazione passiva del ricorrente cli fini Irap ed Iva sul fondamentale rilievo che la ponderosità dell’attività professionale di avvocato emergente dai documenti cartacei ed informatici, fa logicamente presumere l’esistenza di un’attività professionale non episodica, come dedotto l’appellante, ma invece continuativa ed abituale si da giustificare la maggiore capacità contributiva accertata dai verificatori.

3.2. Va da sè che l’esistenza dell’attività di avvocato, abituale ed implicante un grosso volume d’affari (così come accertato nel giudizio di merito), abbia portato i giudici d’appello a ritenere l’attribuzione in capo all’avvocato stesso di un’organizzazione autonoma e non dipendente che legittima passivamente il professionista (cfr., sui presupposti impositivi dell’Irap, cfr., ex plurimis, Cass. S.U. 12/05/2009 n. 12108, adde, Cass. S.U. 10/15/2016 n. 9451).

3.3. Peraltro, con le doglianze dedotte nel terzo motivo, parte ricorrente pur evocando il vizio di motivazione, fondato sull’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella vecchia formulazione, trattandosi di sentenza pubblicata in data 16/04/2012 e, quindi, in epoca precedente al 12 settembre 2012, data dalla quale è entrato in vigore il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5), si appiglia ad elementi di fatto (episodicità dell’attività professionale per il periodo 19982004), per contestare l’accertamento dell’Ufficio, introducendo così un’inammissibile richiesta di rivalutazione di elementi di fatto, neppure deducibile in questa sede.

3.4. Egualmente, con lo stesso motivo, qualifica come vizio di violazione di legge ciò che poi espone come omesso esame di elementi fattuali da parte del giudice d’appello, reintroducendo, surrettiziamente, una richiesta di diversa valutazione dei fatti oggetto del giudizio di merito assumendo ora, il mancato rispetto delle regole in materia di prova presuntiva ora, invece, l’insufficienza della motivazione sugli elementi a discarico, il che comporta inammissibilità delle relative censure (cfr. Sez. 6-3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017, Rv. 643690-01).

4. In conclusione il ricorso va integralmente rigettato.

5. Nulla si provvede in ordine alle spese non avendo l’Agenzia dell’entrate svolto attività difensiva.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, il ricorrente è tenuto al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V sezione civile della Corte di Cassazione, il 17 gennaio 2020.

Depositato in cancelleria il 11 maggio 2020

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