Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8712 del 29/03/2021

Cassazione civile sez. II, 29/03/2021, (ud. 12/11/2020, dep. 29/03/2021), n.8712

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22985/2019 proposto da:

D.L., rappresentata e difesa dall’avv. STEFANIA MARIANI, e

domiciliata presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA depositato il 06/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/11/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto del 6.6.2019 il Tribunale di Ancona rigettava il ricorso avverso il provvedimento con il quale la Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale aveva respinto la domanda di D.L. volta al riconoscimento della protezione, internazionale o umanitaria.

Propone ricorso per la cassazione di tale decisione D.L. affidandosi a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, ha depositato memoria ai fini della partecipazione all’udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 4 della Direttiva 2011/95/UE, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, art. 10 della Direttiva 2013/32/UE, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, perchè il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto inattendibile il racconto del richiedente.

Costui, invero, aveva riferito di aver lasciato il Gambia, suo Paese di origine, perchè aveva intrattenuto una relazione extraconiugale con una ragazza che era rimasta incinta, scatenando le ire dei parenti di lei, di fronte alle quali aveva deciso di fuggire. A suo avviso, l’esistenza in Gambia della legge islamica, che punisce il sesso al di fuori del matrimonio, lo esponeva al rischio di subire un trattamento sanzionatorio ingiusto e disumano. Inoltre, il D. lamenta la mancata considerazione, da parte del giudice di merito, del trattamento subito in Libia.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 7 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, perchè il Tribunale marchigiano avrebbe omesso di considerare che in Gambia il potere statale non offre protezione adeguata contro la vendetta privata dei familiari della ragazza, nè contro il giudizio del tribunale islamico, che potrebbe applicare nei suoi confronti la pena di 100 colpi di frusta.

Le due censure, che meritano un esame congiunto, sono inammissibili. Il giudice di merito ha ritenuto la storia del D. non credibile, in quanto lo stesso non era stato in grado di circostanziarla, nè di spiegare perchè, pur avendo mantenuto i contatti con sua sorella, che ancora si trova in Gambia, non le avesse chiesto notizie circa la sua condizione giudiziaria in Patria; circostanza, questa, che ad avviso del Tribunale esclude l’esistenza di un serio rischio di assoggettamento a pene inumane in caso di rimpatrio. Inoltre, ha evidenziato che il ricorrente non era comparso all’udienza fissata per la sua audizione, non mostrando in tal modo la dovuta collaborazione con l’autorità per consentire l’esame della sua domanda di protezione (cfr. pag. 2 del decreto). Infine, il Tribunale ha esaminato la condizione esistente in Gambia, escludendo – in base a fonti internazionali debitamente citate e ad informazioni pertinenti e aggiornate: cfr. pagg. 3 e ss. del decreto – la sussistenza di un contesto di violenza generalizzata rilevante ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria.

I motivi in esame non attingono in modo sufficientemente specifico la valutazione del giudice di merito; in particolare, il ricorrente non si confronta nè con le motivazioni che hanno condotto il giudice di merito a ritenere non credibile il suo racconto, nè con le C.O.I. citate dal Tribunale e con le notizie da esse tratte. Le due censure, quindi, si risolvono in una inammissibile richiesta di revisione del giudizio di fatto operato dal giudice di merito.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 4 della Direttiva 2011/95/UE, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, art. 10 della Direttiva 2013/32/UE, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 27 e 32, D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19, art. 2 Cost., perchè il Tribunale anconetano avrebbe dovuto quantomeno riconoscere la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Anche questa censura è inammissibile. Il Tribunale ha infatti escluso la sussistenza di profili di vulnerabilità del richiedente, che non aveva allegato alcunchè in relazione al suo radicamento in Italia o al rischio connesso al suo rimpatrio. La censura fa riferimento, in modo assolutamente generico, al pericolo di subire persecuzioni in patria, alla luce di un presunto quadro di violazione sistematica dei diritti umani e di impedimento dell’esercizio delle libertà democratiche, senza tuttavia allegare alcun elemento concreto a sostegno di tali assunti, nè dedurre alcun profilo di vulnerabilità personale o di effettivo rischio di lesione del nucleo essenziale e ineludibile dei diritti fondamentali legato al rimpatrio.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese, in difetto di notificazione di controricorso da parte del Ministero dell’Interno, intimato nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 12 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2021

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