Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8712 del 15/04/2011

Cassazione civile sez. II, 15/04/2011, (ud. 03/12/2010, dep. 15/04/2011), n.8712

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 1977/2009 proposto da:

M.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA TRONTO 32, presso lo studio dell’avvocato MUNDULA Giulio,

che la rappresenta e difende, giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

M.D. (OMISSIS), M.M. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA LUIGI MANCINELLI 57, presso lo

studio dell’avvocato FAGNINI FRANCESCO, che li rappresenta e difende,

giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4491/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

24/06/08, depositata il 04/11/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/12/2010 dal Consigliere Relatore Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito l’Avvocato Mandula Giulio, difensore della ricorrente che si

riporta ai motivi scritti;

udito l’Avvocato Fagnani Francesco, difensore dei controricorrente

che si riporta ai motivi scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. PIERFELICE PRATIS che ha

concluso per l’inammissibilità del ricorso ed in subordine per la

manifesta infondatezza.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., il Consigliere relatore ha depositato relazione preliminare, che è stata comunicata alle parti e che di seguito si riproduce , emendata da imperfezioni formali.

“A seguito di citazione notificata nel 1997 da M.D., il tribunale di Roma nel 2003 con sentenza non definitiva affermava la divisibilità dell’azienda agricola facente parte del compendio ereditario relitto da M.P. e dalla moglie ai figli S., M. e D.. Condannava S. a corrispondere parte dei frutti maturati e rimetteva la causa per il prosieguo del giudizio.

Con sentenza 18 aprile 2005, il tribunale definiva la lite, accogliendo il progetto divisionale redatto dal consulente. M. S. proponeva appello anche avverso questa seconda sentenza.

La Corte Capitolina il 4 novembre 2008 dichiarava inammissibile l’appello, rilevando che i motivi di gravame concernevano la materia del contendere già vagliata dalla Corte con la sentenza non definitiva e assoggettata ad altro giudizio di appello, a suo tempo instaurato dalla stessa M.S..

Quest’ultima ha proposto ricorso per cassazione notificato il 20 gennaio 2009, al quale gli altri condividenti hanno resistito con controricorso.

Il ricorso verte su due motivi: il primo lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Vi si sostiene che le conclusioni dell’atto di appello erano nel senso di richiedere l’annullamento della sentenza impugnata “per i motivi sopraesposti; che la Corte territoriale aveva erroneamente considerato come conclusioni dell’appellante “quelle che erano state dedotte come conseguenze dell’annullamento medesimo”. Si conclude il motivo con il seguente quesito: “Viola l’art. 112 c.p.c., il giudice di appello che decide, anzichè sulle effettive conclusioni precisate nell’interesse dell’appellante, su quelle che sono state indicate come le conseguenze che deriverebbero dall’accoglimento delle conclusioni medesime?” Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 277 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 e deduce che la Corte d’appello era a conoscenza delle reali conclusioni dell’appellante, avendo disposto la sospensione dell’esecuzione della sentenza di primo grado in considerazione delle ripercussioni nocive per l’andamento dell’azienda agricola. Si conclude con il seguente quesito: “Sussiste la violazione dell’art. 277 c.p.c., per omessa pronuncia e la conseguente nullità della sentenza nel caso in cui il giudice di appello non abbia preso alcuna decisione sulle domande che avevano formato oggetto di specifiche conclusioni da parte dell’appellante?” Il ricorso appare inammissibile per più motivi.

Senza tralasciare l’erronea indicazione dell’art. 360, n. 3, impropriamente riferito a una censura di natura processuale, va in primo luogo rilevata l’inadeguatezza dei quesiti di diritto formulati in ricorso.

Come è palese dalla loro lettura, si tratta di quesiti privi di concretezza, perchè non riportano alcuna circostanza della vicenda da esaminare, ma pongono una domanda tautologica. Essi assumono come pacifica la circostanza che avrebbe dovuto essere oggetto di censura, cioè l’erroneità del giudizio di inammissibilità reso dalla Corte di appello in relazione alle conclusioni formulate. Viene infatti considerato pacifico che la Corte d’appello abbia equivocato nell’individuare le conclusioni rassegnate dall’appellante, questione che è stata oggetto della discussione nel giudizio di appello (ne riferisce con maggior completezza il controricorso, ma lo si evince chiaramente dalla sentenza impugnata – a pag. 4 – laddove narra che gli appellati avevano dedotto l’inammissibilità del gravame per effetto del giudicato interno formatosi in relazione quei motivi, inerenti la sentenza non definitiva) e che è stata risolta nel senso che si è detto dalla Corte romana.

Non hanno pertanto alcun senso quesiti che presuppongono una realtà da dimostrare e che i motivi di ricorso, peraltro, non censurano adeguatamente.

La prima censura riferisce invero (in sesta facciata) che i motivi di appello consistevano in quattro punti: a) violazione dell’art. 120 c.c., sulla necessità di comprendere per intero in una porzione gli Immobili indivisibili per ragioni di pubblica economia; b) violazione dell’art 846 per violazione del divieto di frazionamenti irrispettosi della minima unità culturale zootecnica; c) violazione della legge 228/01 sulla conservazione in caso di successione della integrità aziendale; d) violazione dell’art. 121 c.c., circa il frazionamento di una casa colonica indivisibile.

Orbene, come è palese dalla semplice lettura, questi quattro motivi inerivano senza dubbio alcuno la divisibilità dell’azienda agricola, cioè l’oggetto della decisione della sentenza non definitiva, separatamente impugnata. Non potevano pertanto essere oggetto della impugnazione della sentenza definitiva, la quale ha fatto buon governo delle regole processuali e ne ha dato puntuale spiegazione.

Ha in proposito evidenziato che la sentenza definitiva del tribunale aveva già rifiutato di ritornare sui temi decisi con la sentenza parziale, delimitando la materia del contendere alle modalità di divisione dell’asse ereditario e rifiutando di riesaminare la materia della divisibilità dei beni, poi inammissibilmente riproposta in sede di appello avverso la sentenza definitiva.

Il ricorso per cassazione è dunque, oltre che inammissibile per l’incongrua formulazione dei quesiti, anche manifestamente infondato”.

Le parti hanno depositato memoria ex art 380 bis epe. Entrambe hanno dato atto che nelle more questa Corte, con sentenza n. 3469 del 2010, dimessa in copia dalla ricorrente, si è pronunciata sul ricorso proposto dalla ricorrente M.S. per impugnare la sentenza non definitiva n. 671/06 della Corte d’appello di Roma, depositata il 7 febbraio 2006.

La Corte di Cassazione ha accolto il secondo motivo di ricorso, assorbiti il terzo e il quarto; ha respinto il primo, avente oggetto marginale rispetto alle regole della divisione, perchè attinente al riparto dei frutti dei beni caduti in comunione e prodotti nelle more. Ha cassato con rinvio la sentenza impugnata. La riforma o la cassazione della sentenza non definitiva pone nel nulla le pronunce rese con la sentenza definitiva, in quanto dipendenti dalla sentenza riformata o cassata (art. 336 cod. proc. civ., comma 2) e determina la sopravvenuta inammissibilità del ricorso prodotto contro tale ultima sentenza, per la mancanza, al momento della decisione, del provvedimento impugnabile, rilevabile d’ufficio anche nel giudizio di legittimità (Cass. 363/95; 2125/06; 9070/10).

Discende da quanto esposto la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la compensazione delle spese di lite, giustificata dalle sopravvenute ragioni di natura processuale di detta pronuncia.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Spese compensate.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 3 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2011

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