Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8711 del 29/03/2021

Cassazione civile sez. II, 29/03/2021, (ud. 09/10/2020, dep. 29/03/2021), n.8711

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25694/2019 proposto da:

A.D., rappresentato e difeso dall’avvocato Michele

Carotta, con studio in Vicenza Contrà Santo Stefano, 15;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), ope legis domiciliato in Roma, Via

Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2892/2019 della Corte d’appello di Venezia,

depositata il 12/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/10/2020 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– A.D., cittadino (OMISSIS), ha impugnato per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Venezia che ha respinto il gravame da lui proposto nei confronti del diniego della protezione internazionale e di quella umanitaria deciso dalla competente Commissione territoriale, prima, e dal Tribunale di Venezia in sede di opposizione, poi;

– il richiedente asilo, proveniente da (OMISSIS), ha allegato nel corso dell’audizione davanti alla Commissione amministrativa di aver abbandonato la Nigeria per il timore di persecuzione da parte degli appartenenti alla banda (OMISSIS), avversaria a quella del padre, il cui capo aspirava ad occupare il posto di direttore nel mercato di (OMISSIS); successivamente, davanti al tribunale veneziano egli ha precisato di essere fuggito perchè il padre era capo di una comunità che si occupava della vendita di ricambi per auto ed egli era minacciato di morte da persona che nel corso degli anni aveva sempre cercato di prendere il suo posto; aggiungeva che anche il fratello era stato minacciato di morte e picchiato dalla stessa persona; fuggito dalla Nigeria egli era passato per il Niger e poi per la Libia prima di arrivare in Italia;

– la corte d’appello ha ritenuto il suo racconto complessivamente non credibile e privo di riferimenti ad un pericolo cui egli sia stato effettivamente esposto e tale da giustificare il riconoscimento della protezione internazionale; in particolare, la corte territoriale ha evidenziato come nel corso delle due audizioni il richiedente asilo non abbia mai fatto riferimento alla situazione generale della Nigeria; il giudice d’appello ha, quindi, escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, così come i requisiti per la protezione sussidiaria in tutte le forme previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; da ultimo, la corte d’appello ha negato la protezione umanitaria sia in ragione della non credibilità del racconto che in considerazione della assenza di profili di vulnerabilità personale;

– la cassazione della sentenza della corte veneziana è chiesta sulla base di tre motivi, cui resiste con controricorso il Ministero dell’interno.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la nullità della sentenza per motivazione apparente/inesistente e nullità del procedimento in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., nonchè, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo in relazione all’art. 116 c.p.c., comma 1, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per avere il giudice violato i canoni legali di interpretazione degli elementi istruttori ed avere omesso l’esame di un fatto decisivo;

– con il secondo motivo si censura, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e n. 4, la nullità della sentenza per motivazione apparente/inesistente e nullità del procedimento, in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att c.p.c., nonchè in relazione all’art. 115 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1 e art. 14 ed D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per avere la corte d’appello omesso di applicare l’art. 14, lett. b) e c), in violazione dei criteri legali di valutazione degli elementi di prova con riferimento alla credibilità intrinseca del ricorrente;

– i due motivi attingono entrambi la valutazione di credibilità e, perciò, possono essere esaminati congiuntamente;

– le censure dedotte sono infondate;

– diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente la corte territoriale ha indicato le ragioni per le quali ha ritenuto intrinsecamente poco credibile il racconto sulla minaccia ricevuta e sulle modalità della precipitosa fuga dal proprio villaggio prima e poi dal proprio Paese, nonostante la condotta minatoria all’origine della fuga, non sia stata seguita da comportamenti più gravi;

– detta motivazione esprime l’applicazione del criterio della coerenza e plausibilità D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), operata dalla corte territoriale anche alla luce del rilievo che in nessuna delle dichiarazioni rese nelle due distinte occasioni- avanti alla commissione ed avanti al tribunale – il richiedente asilo ha fatto riferimento, per circostanziare la vicenda personale, come pure previsto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. a), alle condizioni generali, ed in particolare alla situazione di diffusa insicurezza e di violenza criminale quale cifra connotante le condizioni di vita e ragione dell’espatrio;

– la censura è parimenti infondata in relazione all’asserito omesso esame di fatto decisivo che sarebbe costituito dalla situazione di violenza indiscriminata presente in Nigeria;

– la corte veneziana ha, infatti, escluso la presenza nella regione dell’Edo State, dalla quale proviene il richiedente asilo, di una situazione di violenza indiscriminata, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ed è pervenuta a tale conclusione sulla scorta dei report del 2018 di Human Rights Watch e delle COI del 2017 che descrivono la situazione della Nigeria distinguendo fra i diversi Stati;

– d’altro canto il ricorrente non allega, come, invece, avrebbe dovuto fare per comprovare l’interesse all’impugnazione sul punto (cfr. Cass. 21932/2020), l’esistenza di COI aggiornate ed attendibili, dimostrative dell’esistenza nella regione dell’Edo State di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato interno od internazionale, limitandosi a indicare fonti che, pur facendo riferimento a episodi di violenza ed ai rischi per chi viaggia in Nigeria (cfr. pag. 13 e 14 del ricorso), non smentiscono la conclusione della corte territoriale, sia con riguardo al rischio individuale di esposizione a grave danno derivante da tortura o da trattamento inumano o degradante (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b)), sia con riguardo alla minaccia grave ed individuale alla vita che riguardi qualunque civile a causa della violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato interno ed internazionale esistente nel Paese, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (cfr. Cass. 11103/2019 in conformità con CGUE, 1 gennaio 2014, sentenza 18 dicembre 2014, causa C-5423/13);

– con il terzo motivo si censura in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la nullità della sentenza per motivazione apparente/inesistente e nullità del procedimento, in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att c.p.c., nonchè in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.P.R. n. 394 del 1999, artt. 11 e 29, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 bis, per non avere il giudice valutato la vulnerabilità in relazione alla condizione di vita del ricorrente allegata in giudizio, nonchè per avere omesso l’esame di un fatto decisivo;

– il motivo è infondato;

-la domanda subordinata di accertamento delle condizioni per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari è stata dettaglitamente esaminata, partendo dalle dichiarazioni del richiedente asilo, ma non esaurendosi nell’ambito delle stesse;

– infatti, il giudizio di scarsa credibilità della narrazione del richiedente, relativo alla specifica situazione dedotta a sostegno di una domanda di protezione internazionale, non preclude al giudice di valutare altre circostanze che integrino una situazione di “vulnerabilità” ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria (cfr. Cass. 8020/2020), purchè tali diversi profili siano allegati o ricorrano nella specifica situazione personale facendo emergere il rischio di compromissione dei diritti umani inalienabili cui il richiedente asilo è esposto in caso di rientro forzato;

– nel caso di specie la corte territoriale ha argomentato che non sussiste una situazione personale che non consenta l’allontanamento dal territorio nazionale e che nulla sia stato dedotto in merito all’avvio di un percorso d’integrazione (cfr. pag. 8 della sentenza);

– a questo specifico proposito, l’affermazione della corte territoriale non viene confutata con l’indicazione di comprovati e specifici indici di integrazione idonei ad inficiare la statuizione, contenendo il motivo solo riferimenti generici (cfr. pag. 21 e 22 del ricorso);

– ne consegue che anche da questo punto di vista, e posto che la giovane età non è di per sè sufficiente, così come non rileva la generica esperienza nel paese di transito (cfr., a contrario, Cass. 13096/2019, 13565/2020), il ricorso è infondato;

– atteso l’esito sfavorevole di tutti i motivi, il ricorso va respinto;

– in applicazione del principio della soccombenza, parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese di lite a favore di parte controricorrente nella misura liquidata in dispositivo;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore del controricorrente e liquidate in Euro 2100,00 per compensi oltre spese prenotate a debito ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 9 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2021

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