Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 871 del 15/01/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 871 Anno 2013
Presidente: FINOCCHIARO MARIO
Relatore: GIACALONE GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso 7562-2012 proposto da:
DABBENE

MICHELE

DERMHL47T24G273K,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CESI 30, presso lo
studio dell’avvocato EGIDIO MARULLO, rappresentato e
difeso dall’avvocato ANTONIAZZI MAURIZIO, giusta
delega a margine del ricorso per revocazione;
– ricorrente contro

2012
9063

CROCE ROSSA ITALIANA 01906810583 in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende,
ope legis;

Data pubblicazione: 15/01/2013

– controricorrente nonché contro

GAVINELLI VERONICA,
ASSITALIA LE ASSICURAZIONI D’ITALIA SPA;
– intimate –

DI CASSAZIONE del 29.11.2010, depositata 1’1/02/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 05/12/2012 dal Consigliere Relatore
Dott. GIOVANNI GIACALONE.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del
Dott. IGNAZIO PATRONE.

avverso la sentenza n. 2329/2011 della CORTE SUPREMA

26) – R. Ci. n. 7562/2012
IN FATTO E IN DIRITTO
Nella causa indicata in premessa. é stata depositata la seguente relazione:
— Michele Dabbene propone ricorso per revocazione, ex art. 391 bis
c.p.c., avverso la sentenza di questa Corte n. 2329 dell’I/02/2011, che ha
respinto il ricorso del predetto avverso la sentenza della Corte Appello di

art. 345 c.p.e. e vizio di motivazione).
In particolare, quanto alla mancata effettuazione di una seconda consulenza
tecnica di ufficio in ordine alle condizioni di salute del Dabbene,
aggravatesi nel corso del giudizio, la Corte territoriale rilevava che,
correttamente i giudici di appello avevano osservato che l’appellante
avrebbe dovuto formulare la richiesta di eventuali successivi danni – sofferti
dopo la decisione di primo grado – in sede di appello, ai sensi dell’art. 345
primo corna, c.p.e. In tema di eccezioni al divieto dello ius novorum in
appello, la disposizione dell’art. 345 secondo corna cod. proc. civ. ammette
il ristoro del pregiudizio patrimoniale correlato ai danni sofferti dopo la
sentenza impugnata. Con riferimento all’aggravamento dei postumi
permanenti, e quindi dei danni già chiesti nel giudizio di primo grado,
occorreva che esso si fosse verificato successivamente alla sentenza di
primo grado o almeno al momento in cui esso aggravamento avrebbe potuto
essere dedotto dal danneggiato nella domande proposte al primo giudice.
Occorreva, tuttavia, che l’appellante avesse proposto una specifica richiesta
in tal senso al giudice di appello. Non avendovi provveduto il Dabbene (la
sentenza di appello dava atto che una prima richiesta di rinnovazione della
c.t.u. era stata formulata solo in sede di comparsa conclusionale in appello),
la richiesta di ulteriori danni, tardivamente proposta, doveva ritenersi
inammissibile.
2 — Il ricorso deduce che ciò non corrisponderebbe al vero: questa Corte
avrebbe errato perché la difesa del Dabbene aveva richiesto una nuova c.t.u.
per accertare l’aggravamento delle condizioni di salute dello stesso non
appena esso si era verificato, mediante specifiche istanze alle udienze del
13.2.2004, 30.4.2004 e 22.10.2004. Non avrebbe, infatti, potuto articolare
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Torino del 19/05/2005, ritenendo infondati i due motivi proposti (violazione

detta istanza nell’atto di appello dei 13.01.2003, poiché le condizioni del
Dabbene peggiorarono successivamente nel corso del giudizio di secondo
grado, come da certificazione depositata in dette udienze; né avrebbe potuto
avanzare l’istanza istruttoria. Questa fu avanzata in udienza contestualmente
alla produzione dell’indicata documentazione nonché all’udienza di
precisazione delle conclusioni, non solo in comparsa conclusionale, come
indicato nella sentenza impugnata.

inficiata dalla violazione dell’art. 345, comma primo, c.p.e., potendosi sula
base di detta orma richiedere sia i danni venuti ad esistenza dopo la sentenza
di primo grado, sia quelli dei quali il danneggiato, pur usando l’ordinaria
diligenza, non sia stato in grado di rilevare l’esistenza e la portata
pregiudizievole anteriormente alla sentenza di primo grado ed alla data in
cui ha proposto il gravame.
Nella specie, secondo il ricorrente, l’erronea percezione del momento in cui
è stata richiesta la nuova c.t.u. avrebbe costituito il fondamento della
decisione revocanda ed avrebbe rappresentato l’imprescindibile ed esclusiva
premessa logica della decisione, sicché tra il fatto erroneamente percepito e
la statuizione adottata sarebbe intercorso un nesso di necessità logica e
giuridica tale per cui, in ipotesi di percezione corretta, avrebbe determinato
una decisione diversa.
3. Resiste con controricorso, la Croce Rossa italiana; gli altri
intimati non hanno svolto attività difensiva.
4. Il ricorso è manifestamente inammissibile perché le censure
del ricorrente in ordine al descritto punto della sentenza
impugnata, non colgano nel segno, perché si riferiscono ad
ipotesi non riconducibili al paradigma di cui all’art. 395 n. 4

4. 1. Detta norma consente l’impugnazione per revocazione se la sentenza è
l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi
è questo errore quando la decisione è tbndata sulla supposizione di un fatto
la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta
l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e
tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto
controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”.
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Aggiunge che, pertanto, aveva impugnato la sentenza di appello ritenendola

4.2. In linea generale, va premesso che deve ribadirsi che l’errore di fatto
non è ravvisabile nell’ipotesi di errore costituente il frutto di un qualsiasi
apprezzamento delle risultanze processuali, ossia di una (asseritamente)
viziata valutazione delle prove o delle allegazioni delle parti, essendo
esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio
formatisi sulla base di una valutazione.
Invero, l’errore di fatto consiste in un errore meramente percettivo, che in

processuali esattamente percepite nella loro oggettività; ne consegue
che non è configurabile l’errore revocatorio per vizi della sentenza che
investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico giuridico.
4.3. In particolare, in tema di revocazione delle sentenze della Corte di
cassazione, si è affermato (e va ribadito) che l’errore revocatorio è
configurabile nelle ipotesi in cui la Corte sia giudice del fatto,
individuandosi nell’errore meramente percettivo, risultante in modo
incontrovertibile dagli atti e tale da aver indotto il giudice a fondare la
valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od
esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del
processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una
diversa valutazione della situazione processuale, e non anche nella pretesa
errata valutazione di fatti esattamente rappresentati (Cass. 16136/09;
3365/09; S.U. 26022/08).
4.4. In tal senso, va anche riaffermato che, ove il ricorrente deduca, sotto la
veste del preteso errore revocatorio, l’errato apprezzamento da parte della
Corte di un motivo di ricorso – qualificando come errore di percezione degli
atti di causa un eventuale errore di valutazione sulla portata della doglianza
svolta con l’originario ricorso – si verte in un ambito estraneo a quello
dell’errore revocatorio, dovendosi escludere che un motivo di ricorso sia
suscettibile di essere considerato alla stregua di un ‘fatto” ai sensi dell’art.
395 c.p.c., comma 1, n. 4, potendo configurare l’eventuale omessa od errata
pronunzia soltanto un error in procedendo ovvero in iudieando , di per sé
insuseettibili di denuncia ai sensi dell’art. 391-bis cod. proc. civ.. (Cass.
5221/09). Non può, quindi, ritenersi inficiata da errore di fatto la
sentenza della Suprema Corte della quale si censuri la valutazione del
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nessun modo coinvolga l’attività valutativa del giudice di situazioni

motivo d impugnazione, in quanto espressa senza considerare le
argomentazioni contenute nell’atto di impugnazione, perché in tal caso è
dedotta una errata valutazione ed interpretazione degli atti oggetto di
ricorso (Cass. n. 10466/2011) 14608/2007); va esclusa la ricorrenza di
errore revocatorio, nelle pronunzia di questa Corte, nel preteso errore sul
contenuto concettuale delle tesi difensive delle parti, anch’esse non
integranti -fatto – nei riferiti termini (Cass. 11657/06), nel preteso

(Cass. n. 5086/08), nel preteso errore nell’interpretazione dei motivi (Cass.
n. 9533/06) o nella lettura del ricorso (Cass. n. 5076/08), così come,
infine, nel preteso errore sull’esistenza, o meno, di una censura (Cass. n.
24369/09).
4.5. Non è pertanto possibile configurare errore revocativo,
rispetto a tale assunta erronea valutazione del momento di
formulazione della richiesta di una nuova c.t.u., difettando,
anzitutto, il carattere di decisività dell’asserito errore.
Infatti, come emerge dalla motivazione della sentenza
impugnata, i motivi di ricorso sono stati respinti per la mancata
proposizione della domanda di ulteriori danni successivi alla
sentenza id primo grado, non soltanto per la tardività della relativa
istanza istruttoria, alla quale si riferisce, invece, l’errore dedotto
in questa sede.
E’ indubbio, inoltre, che, nella specie, non ricorre neanche il
requisito del carattere obiettivo e non valutativo dell’elemento
erroneamente percepito, dovendosi ribadire, come si è visto che
non è ravvisabile errore revocatorio nell’ipotesi di errore costituente il frutto
di un qualsiasi apprezzamento delle risultanze processuali (relative, nel
caso, al momento di presentazione della’indicata richiesta di c.t.u.).
Senza contare che, comunque, il preteso fatto erroneamente
percepito ha rappresentato “un punto controverso sul quale la sentenza
ebbe a pronunciare”.
Infatti, nell’impugnata sentenza, questa S.C. si è pronunciata sulla
tardività della domanda di ulteriori danni; mentre la tardività dell’istanza di
nuova c.t.u. risulta rilevata ed affermata dalla sentenza di appello (secondo
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errore nell’individuazione delle questioni oggetto di motivi del ricorso

quanto affermato da questa S.C. nella sentenza qui impugnata), con la
conseguenza che — anche per questa ragione — il ricorso è inammissibile in
quanto avrebbe dovuto semmai censurarsi per revocazione, sul punto, la
sentenza di appello.
5. Si propone la trattazione in Camera di Consiglio e la dichiarazione
d’inammissibilità del ricorso”.
La relazione é stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai

La parte ricorrente ha presentato memoria, il cui contenuto non inficia
quanto osservato nella relazione.
Ritenuto che:
a seguito della discussione sul ricorso in camera di consiglio, il collegio ha
condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione; che il ricorso
deve perciò essere dichiarato inammissibile, non ricorrendo un’ipotesi di
revocazione ex art. 391 bis c.p.c.;
le spese seguono la soccombenza;
visti gli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.500,00, di cui Euro
2.300,00 per onorario, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2012

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difensori delle parti costituite.

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