Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8703 del 29/03/2021

Cassazione civile sez. II, 29/03/2021, (ud. 06/10/2020, dep. 29/03/2021), n.8703

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25361/2019 proposto da:

A.H., rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONINO FICARRA,

e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 376/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 19/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

06/10/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con apposito ricorso il ricorrente impugnava il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Siracusa con il quale era stata respinta la sua istanza volta ad ottenere la predetta tutela.

Con ordinanza del 17.5.2017, notificata il 24.5.2017, il Tribunale di Catania rigettava il ricorso.

Interponeva appello avverso detto provvedimento A.H. e si costituiva in seconde cure il Ministero per resistere al gravame.

Con la sentenza impugnata, n. 376 del 2019, la Corte di Appello di Catania respingeva l’impugnazione.

Propone ricorso per la cassazione di detta sentenza A.H., affidandosi ad otto motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo ed il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, art. 6 della Convenzione dei diritti dell’uomo, recepita con L. n. 848 del 1955, art. 14 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, recepito con L. n. 881 del 1977, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe omesso di dare rilievo al fatto che sia la decisione della Commissione territoriale che quella del giudice di primo grado non erano state tradotte in lingua conosciuta dal ricorrente, con conseguente nullità per mancanza di una motivazione in lingua comprensibile al medesimo.

Le due censure, formulate congiuntamente e meritevoli di unitaria disamina, sono inammissibili in relazione a quanto previsto dall’art. 360-bis c.p.c., comma 1. Questa Corte ha infatti da tempo affermato il principio per cui la situazione giuridica soggettiva dello straniero ha natura di diritto soggettivo (Cass. Sez. U., Ordinanza n. 19393 del 09/09/2009, Rv. 609272). Di conseguenza, “… la nullità del provvedimento amministrativo, emesso dalla Commissione territoriale, per omessa traduzione in una lingua conosciuta dall’interessato o in una delle lingue veicolari, non esonera il giudice adito dall’obbligo di esaminare il merito della domanda, poichè oggetto della controversia non è il provvedimento negativo ma il diritto soggettivo alla protezione internazionale invocata, sulla quale comunque il giudice deve statuire, non rilevando in sè la nullità del provvedimento ma solo le eventuali conseguenze di essa sul pieno dispiegarsi del diritto di difesa” (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 7385 del 22/03/2017, Rv. 643652; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 27337 del 29/10/2018, Rv. 651147; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13086 del 15/05/2019, Rv. 654172; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 26480 del 09/12/2011, Rv. 620691). Ne consegue l’irrilevanza di eventuali violazioni formali relative al procedimento svoltosi dinanzi la Commissione territoriale, posto che in ogni caso il richiedente esercita pienamente il proprio diritto di difesa mediante la proposizione di ricorso in sede giurisdizionale.

Per quel che invece concerne il giudizio, è opportuno ribadire che “In tema di protezione internazionale, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 5, non può essere interpretato nel senso di prevedere fra le misure di garanzia a favore del richiedente anche la traduzione nella lingua nota del provvedimento giurisdizionale decisorio che definisce le singole fasi del giudizio, in quanto la norma prevede la garanzia linguistica solo nell’ambito endo-procedimentale e inoltre il richiedente partecipa al giudizio con il ministero e l’assistenza tecnica di un difensore abilitato, in grado di comprendere e spiegargli la portata e le conseguenze delle pronunce giurisdizionali che lo riguardano” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 23760 del 4/09/2019, Rv. 655336).

La mancata traduzione in lingua conosciuta dal richiedente, pertanto, da un lato non rileva in sè e per sè, in relazione alla decisione della Commissione territoriale, ogni volta che l’interessato sia comunque in grado di proporre il ricorso in sede giurisdizionale, poichè in quel contesto il giudice apprezza con cognizione piena la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di una forma di protezione, internazionale o umanitaria; mente, dall’altro lato, non è dovuta in relazione ai singoli atti del giudizio, ivi inclusa la decisione di prime cure.

Con il terzo e quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1364,1365,1369,2697 c.c. e segg., art. 2729 c.c., artt. 115,116,132 e 156 c.p.c., D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 3, in riferimento agli artt. 6 e 13 della Convenzione E.D.U., 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’U.E. e art. 46 della direttiva Europea n. 2013/32, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto non verosimile il racconto personale, che evidenziava una persecuzione a sfondo religioso, ed avrebbe omesso di contestualizzare la storia nell’ambito della cultura islamica esistente in Punjab.

Le censure sono inammissibili perchè, oltre a non attingere completamente le diverse contraddizioni evidenziate dalla Corte etnea nel racconto personale (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata) non superano il decisivo argomento valorizzato dal giudice di merito ai fini del giudizio di inattendibilità del racconto: la Corte siciliana, invero, dà atto che il ricorrente è titolare di passaporto pakistano in corso di validità ed aveva fatto ritorno in patria, per poi rientrare da Lahore in Italia, nel (OMISSIS), dimostrando in tal modo di nulla avere da temere in caso di rimpatrio (cfr. pagg. 6 e 7 della sentenza impugnata). Tale passaggio della motivazione, come detto non attinto dalle censure in esame, appare essenziale, ai fini della prova dell’assenza di pericolo in caso di rientro in patria.

Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1364,1365,1369,2697 c.c. e segg., artt. 115 e 116 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in riferimento agli artt. 6 e 13 della Convenzione E.D.U., 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’U.E. e art. 46 della direttiva Europea n. 2013/32, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Ad avviso dell’ A., la Corte avrebbe errato nel non ravvisare la sussistenza, in Pakistan, di un contesto di violenza generalizzata rilevante ai fini della concessione della protezione sussidiaria.

La censura è inammissibile.

La sentenza impugnata richiama le fonti informative in concreto consultate dal giudice di merito e dà atto delle specifiche informazioni da esse tratte. In proposito, occorre ribadire che “In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26728 del 21/10/2019, Rv. 655559). Ove manchi tale specifica allegazione, è precluso a questa Corte procedere ad una revisione della valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice del merito. Solo laddove nel motivo di censura vengano evidenziati precisi riscontri idonei ad evidenziare che le informazioni sulla cui base il predetto giudice ha deciso siano state effettivamente superate da altre e più aggiornate fonti qualificate, infatti, potrebbe ritenersi violato il cd. dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice del merito, nella misura in cui venga cioè dimostrato che quest’ultimo abbia deciso sulla scorta di notizie ed informazioni tratte da fonti non più attuali. In caso contrario, la semplice e generica allegazione dell’esistenza di un quadro generale del Paese di origine del richiedente la protezione differente da quello ricostruito dal giudice di merito si risolve nell’implicita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie e nella prospettazione di una diversa soluzione argomentativa, entrambe precluse in questa sede.

In definitiva, va data continuità al principio secondo cui “In tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate” (v. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 4037 del 18/02/2020, Rv. 657062).

Con il sesto, settimo e ottavo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1364,1365,1369,2697 e c.c. e segg., artt. 115,116,132 e 156 c.p.c., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e 19, art. 3 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, nonchè l’omessa motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Ad avviso del richiedente, la Corte siciliana avrebbe omesso di tener conto, da un lato, delle vessazioni poste in essere in Pakistan dagli usurai e dalla diffusa pratica della schiavitù per debiti, e, dall’altro lato, del livello di integrazione raggiunto dall’ A. in Italia.

Le censure, proposte in forma congiunta e suscettibili di unitaria disamina, sono inammissibili.

Il ricorrente infatti non indica in quale momento del giudizio di merito abbia dedotto il profilo della schiavitù per debiti, che non emerge dalla sentenza impugnata e che, pertanto, è in sè privo di qualsiasi specifica attinenza alla storia riferita dall’ A.. Stesso dicasi per il contratto di lavoro a tempo indeterminato e la conoscenza della lingua italiana: elementi, entrambi, che il ricorrente indica a pag. 15 del proprio ricorso, senza tuttavia darsi cura di specificare in quale momento processuale le relative circostanze – a prescindere dalla loro rilevanza in concreto ai fini del riconoscimento della tutela umanitaria – siano state dedotte e in che modo esse siano state documentate.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese, in difetto di svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero intimato nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2021

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