Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8701 del 29/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 29/03/2021, (ud. 17/12/2020, dep. 29/03/2021), n.8701

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18854/18 R.G. proposto da:

S.A.M.R., rappresentata e difesa, giusta procura in

calce al ricorso, dall’avv. Francesco Cannizzaro e dall’avv. Michele

Pontecorvo, con domicilio eletto presso lo studio del secondo, in

Roma, via Asiago, n. 9;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso

cui è elettivamente domiciliata, in Roma, via dei Portoghesi, n.

12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della

Lombardia n. 5441/4/2017 depositata in data 18 dicembre 2017;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 dicembre

2020 dal Consigliere Dott.ssa Condello Pasqualina Anna Piera.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con avviso di accertamento, relativo all’anno d’imposta 2002, l’Agenzia delle entrate rettificava il reddito di partecipazione di S.A.M.R., socia al 50 per cento della Rei di M.R. s.a.s., nei confronti della quale era stato precedentemente accertato un maggior reddito d’impresa.

All’esito della impugnazione da parte della S., la Commissione tributaria provinciale e, successivamente, la Commissione tributaria regionale rigettavano i ricorsi.

2. Avverso la sentenza d’appello la contribuente proponeva ricorso per cassazione che veniva definito da questa Corte con ordinanza n. 4104 del 2014, con la quale, rilevato che al giudizio non avevano partecipato la società e gli altri soci, veniva dichiarata la nullità della decisione impugnata e di quella di primo grado, con conseguente rimessione della causa alla competente Commissione tributaria provinciale di Milano affinchè provvedesse, previa adozione dei provvedimenti atti a garantire l’integrità del contraddittorio, a nuovo esame della controversia.

3. Riassunto il giudizio, la Commissione tributaria provinciale adita disponeva l’integrazione del contraddittorio, rinviando la causa per la trattazione all’udienza del 24 giugno 2015, concedendo termine alla parte per il relativo adempimento.

All’udienza fissata, la Commissione provinciale, preso atto dell’assenza della parte ricorrente e constatata la mancata integrazione del contraddittorio nel termine assegnato, dichiarava, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 45, la estinzione del processo.

4. Avverso la suddetta decisione interponeva appello la contribuente, deducendo che i giudici di merito avevano dato per pacifica la mancata integrazione del contraddittorio che, invece, era stata regolarmente effettuata, anche se non era stato possibile dimostrarlo a causa della mancata partecipazione del difensore all’udienza, dovuta ad impedimento oggettivo integrante gli estremi del caso di forza maggiore o del caso fortuito; sosteneva, altresì, la violazione e falsa applicazione dell’art. 331 c.p.c. in merito alla disposta integrazione del contraddittorio.

5. La Commissione tributaria regionale, con la sentenza in questa sede impugnata, rigettava l’impugnazione.

Osservava che si aveva causa di forza maggiore in caso di impedimento oggettivo non prevedibile, ipotesi non configurabile nel caso di specie, considerato che la ricorrente giustificava la mancata partecipazione all’udienza del 24 giugno 2015 facendo riferimento ad una errata indicazione della data di udienza sull’agenda del difensore. Confermava, pertanto, la sentenza impugnata.

6. La contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui replica l’Agenzia delle entrate mediante controricorso.

In prossimità dell’adunanza camerale, la contribuente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1. c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la contribuente, deducendo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 112 c.p.c., lamenta che la C.T.R. ha omesso di pronunciare sul motivo di appello con il quale era stata censurata la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto che non fosse stato ottemperato l’ordine di integrazione del contraddittorio.

Ad avviso della ricorrente, la C.T.P., dovendo ritenere plausibile che l’assenza in udienza del difensore potesse essere dipesa da un impedimento, prima di affermare che l’incombente processuale relativo all’integrazione del contraddittorio non era stato eseguito, avrebbe dovuto quantomeno disporre un breve rinvio e darne comunicazione al difensore.

La C.T.R., inoltre, si era limitata a valutare soltanto la ricorrenza o meno dei presupposti per il riconoscimento del caso fortuito o della forza maggiore, incorrendo nella violazione denunciata.

1.1. La censura è infondata.

1.2. Per costante orientamento di questa Corte il mancato esame da parte del giudice di appello di una questione meramente processuale sollevata dalle parti non può dar luogo ad un vizio di omessa pronuncia; questa, infatti, attiene soltanto al mancato esame di una domanda di merito, non essendo configurabile il vizio di omissione di pronuncia su questioni processuali, e non può assurgere a causa autonoma di nullità della sentenza impugnata (Cass., sez. 3, 23/01/2009, n. 1701; Cass., sez. 1, 26/09/2013, n. 22083; Cass., sez. 2, 25/01/2018, n. 1876; Cass., sez. 3, 15/04/2019, n. 10422).

Nel caso di specie la questione che la Commissione tributaria regionale avrebbe tralasciato di prendere in esame, attenendo alla verifica della avvenuta integrazione del contraddittorio disposta nel corso del giudizio di merito, investe una questione puramente processuale e, pertanto, potrebbe semmai prospettarsi una nullità della decisione per violazione di norme diverse da quella di cui all’art. 112 c.p.c. in quanto sarebbe errata la soluzione implicitamente adottata dai giudici di merito.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 112 c.p.c. per mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, nonchè, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 153 c.p.c., comma 2, e degli artt. 115 e 116 c.p.c.

Lamenta che i giudici regionali si sono pronunciati su una questione diversa da quella prospettata, avente ad oggetto, non la scusabilità o meno dell’errore commesso dal difensore, bensì la sussistenza di una causa legittimante la rimessione in termini. Con l’atto di appello aveva precisato che l’inadempimento era imputabile a causa a lei non imputabile e la C.T.R., tenuta a verificare l’impedimento, non aveva considerato che, nella materia tributaria, la forza maggiore o il caso fortuito potevano verificarsi al di fuori del procedimento giudiziale ovvero riferirsi a decadenze legate ai termini per l’instaurazione del processo o al giudizio d’impugnazione.

I giudici d’appello, secondo la ricorrente, non avrebbero dovuto esimersi dal valutare se, nella specie, ricorressero i presupposti per ritenere giustificabile l’impedimento consistito nella mancata partecipazione del proprio difensore alla udienza, non tenendo conto che era stata presentata istanza di rimessione in termini in data 22 settembre 2015 con la quale era stato segnalato che, per mero disguido, la data dell’udienza non era stata correttamente annotata sull’agenda dal difensore.

2.1. Il motivo è inammissibile con riguardo alla dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c. per le ragioni già esposte con riferimento al primo motivo, considerato che la censura in esame concerne una presunta errata valutazione della sussistenza di una causa legittimante la rimessione in termini e, dunque, una questione processuale.

2.2. Il motivo è, inoltre, infondato nella parte in cui si denuncia la violazione di legge.

2.3. Questo Collegio non disconosce che l’istituto della rimessione in termini, previsto dall’art. 184-bis c.p.c., abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, e sostituito dalla norma generale di cui all’art. 153 c.p.c., comma 2, è senz’altro applicabile anche al rito tributario, alla luce dei principi costituzionali che vi presiedono, in ragione della tutela delle garanzie difensive e dell’attuazione del giusto processo, operando sia con riferimento alle decadenze relative ai poteri processuali interni al giudizio, sia a quelle correlate alle facoltà esterne e strumentali al processo, quali l’impugnazione dei provvedimenti sostanziali che sono oggetto delle tutele processuali concesse (Cass., sez. 6-5, 15/04/2014, n. 8715; Cass., sez. 5, 17/06/2015, n. 12544; Cass., sez. 6-5, 9/08/2019, n. 21304; Cass., sez. 6-5, 21/02/2020, n. 4585).

2.4. Tuttavia, i giudici di merito, scrutinando le circostanze fattuali invocate dalla contribuente a giustificazione causale della mancata partecipazione all’udienza del 24 giugno 2015, hanno correttamente ritenuto che l’impedimento addotto – errata annotazione dell’udienza sull’agenda di studio del difensore – non integrasse nè causa di forza maggiore, nè caso fortuito e non potesse, di conseguenza, giustificare la richiesta rimessione in termini, trattandosi di fatto giuridicamente estraneo alla nozione di non imputabilità per come voluta dalla norma e, piuttosto, riferibile ad una mancanza di diligenza del difensore, come tale del tutto estranea al perimetro della disposizione di cui si invoca l’applicazione.

L’istituto della rimessione in termini richiede, infatti, la dimostrazione che la decadenza sia stata determinata da causa non imputabile alla parte o al suo difensore, perchè cagionata da un fattore estraneo alla volontà degli stessi (Cass., sez. 3, 6/07/2018, n. 17729; Cass., sez. 5, 17/06/2015, n. 12544; Cass., sez. U, 27/10/2015, n. 21794). Questa Corte, in via di esempio, con riguardo a circostanze impeditive personali, ha escluso che la malattia del difensore possa valere di per sè come legittimo impedimento, qualora non sia allegato un malessere improvviso o un totale impedimento a svolgere l’attività professionale (Cass., sez. 5, 17/06/2015, 12544; Cass., sez. U, 18/12/2018, n. 32725).

Peraltro, ai fini della fruizione di un eventuale provvedimento di rimessione in termini è richiesta anche la tempestività dell’iniziativa della parte, da intendere come immediatezza della reazione al palesarsi della necessità di svolgere un’attività processuale ormai preclusa (Cass., sez. 3, 29/09/2016, n. 19290), non riscontrabile nel caso di specie, considerato che l’istanza è stata formulata solo dopo circa due mesi dall’udienza del 24 giugno 2015 nella quale i giudici di merito hanno trattenuto la causa in decisione.

Ne discende che la decisione impugnata si sottrae alle censure ad essa rivolte, posto che i giudici regionali, rilevata l’insussistenza di una causa che potesse legittimare la rimessione in termini, hanno ritenuto che la mancata partecipazione all’udienza del 24 giugno 2015 e la conseguente situazione di carenza di deposito delle notifiche attestanti l’avvenuta integrazione del contraddittorio erano di per sè ragioni sufficienti per ritenere senz’altro che non vi fosse stata ottemperanza all’ordine di integrazione del contraddittorio, che presupponeva la dimostrazione dell’avvenuta esecuzione delle notifiche e del deposito degli avvisi relativi al perfezionamento della notificazione nei confronti di tutte le parti destinatarie dell’ordine stesso.

3. Con il terzo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata, con riferimento all’art. 112 c.p.c., per omesso esame e omessa statuizione sul secondo motivo di appello, concernente la violazione e falsa applicazione dell’art. 331 c.p.c., e, comunque, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per correlato violazione e falsa applicazione dell’art. 331 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 45.

Sostiene che, nella specie, non sussisteva alcun obbligo di disporre l’integrazione del contraddittorio, assolutamente non necessaria, in quanto gli altri soci non avevano autonomamente impugnato l’avviso accertamento a loro notificato.

3.1. La censura, per le ragioni già indicate con riferimento al primo mezzo di ricorso, non si sottrae alla declaratoria di inammissibilità laddove si lamenta una omessa pronuncia da parte dei giudici di appello, considerato che la questione della sussistenza di una ipotesi di litisconsorzio necessario, con particolare riferimento all’accertamento di maggior reddito a carico di società di persone e di conseguente maggior reddito di partecipazione a carico dei soci, è meramente processuale.

3.2. Il motivo è, inoltre, infondato laddove si denuncia il vizio di violazione di legge.

Come evidenziato da questa Corte con l’ordinanza di cassazione con rinvio n. 4107 del 2014, in materia tributaria, l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5, e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci – salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali -, sicchè tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi; siffatta controversia, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario. Conseguentemente, il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone l’integrazione del contraddittorio ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14 (salva la possibilità di riunione ai sensi dell’art. 29) ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio (Cass., sez. U, 4/06/2008, n. 14815; in tema di Irap, Cass., sez. 5, 20/06/2012, n. 10145).

Nella fattispecie in esame si controverte di accertamento di maggior reddito di partecipazione derivante dall’accertamento del maggior reddito di impresa in capo alla società di persone e, pertanto, trova piena applicazione il principio, sopra richiamato, enunciato dalle Sezioni Unite.

4. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 17 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2021

 

 

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