Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8701 del 11/05/2020

Cassazione civile sez. trib., 11/05/2020, (ud. 14/05/2019, dep. 11/05/2020), n.8701

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 21412/2016 R.G. proposto da:

Cad Genova s.r.l. unipersonale, in persona del suo legale

rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. Sara Arnella e

dall’Avv. Marina Milli, elettivamente domiciliata in Roma nello

studio di quest’ultima, in via Marianna Dionigi n. 29;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Dogane, in persona del direttore p.t., rappresentata e

difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ope legis

in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Liguria n. 253, depositata il 16 febbraio 2016.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 14 maggio 2019

dal Cons. Salvatore Leuzzi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Sorrentino Federico che ha concluso chiedendo il rigetto

del ricorso;

udito l’Avv. Silvana Meliambro, in delega, per la ricorrente;

udito l’Avv. Roberto Palasciano per l’Agenzia delle Entrate.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Cad Genova s.r.l., spedizioniere doganale, propone ricorso, affidato a cinque motivi, per la cassazione della sentenza del 16 febbraio 2016 della Commissione tributaria regionale della Liguria, che, in accoglimento dell’appello dell’Agenzia delle Dogane avverso la sentenza di primo grado, ha rigettato l’impugnazione da essa avanzata per ottenere l’annullamento dell’avviso di rettifica dell’accertamento prot. n. 85787 del 14 dicembre 2012, notificatole dall’Ufficio per il recupero dei dazi doganali relativi ad una partita di silicio metallico importata per conto di una società terza, che era stata dichiarata di origine taiwanese e di cui, a seguito di indagini OLAF, era stata successivamente appurata l’origine cinese.

L’Agenzia delle Dogane resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

CAD Genova s.r.l. denuncia, con il primo motivo di ricorso, la violazione e falsa applicazione del Reg. CE 12 ottobre 1992, n. 2913, art. 76 (Codice Doganale Comunitario, di seguito CDC) e del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 40, per avere i giudici d’appello ritenuto che, quale spedizioniere doganale che aveva usufruito della procedura domiciliata, essa fosse vincolata ad agire in rappresentanza indiretta, senza tenere conto che era stata invece l’Agenzia ad imporle, illegittimamente, di eseguire la dichiarazione per conto della cliente, ma in nome proprio.

Con il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 201 e 202 CDC, per avere la CTR affermato che lo spedizioniere è corresponsabile, in via oggettiva, di violazioni imputabili unicamente al proprio cliente.

Con il terzo motivo deduce la violazione dell’art. 220 CDC, per avere i giudici d’appello trascurato di considerare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’esimente di cui alla richiamata norma, in ragione dell’errore attivo ascrivibile all’Autorità del paese di esportazione della partita di merce, al momento del rilascio del certificato di origine della stessa.

Con il quarto motivo assume la nullità della sentenza, ex art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, per difetto assoluto di motivazione in ordine alla ritenuta insussistenza dell’esimente di cui all’art. 239 CDC.

Con il quinto motivo denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., per avere la CTR ritenuto fondata la pretesa impositiva nonostante l’assoluta carenza di prova dell’origine cinese delle merci, desunta unicamente dalle dichiarazioni del legale rappresentante della società esportatrice, sebbene il rapporto Olaf si limitasse a riferire di “alcune società taiwanesi” che avevano esportato silicio proveniente dalla Cina e l’Agenzia non avesse attivato l’obbligatoria procedura di controllo presso l’Autorità doganale estera.

Il primo motivo è inammissibile, in quanto pone una questione mista, di fatto e di diritto, del tutto nuova: non risulta, infatti, che nell’atto introduttivo del giudizio di merito CAD Genova abbia dedotto di aver agito in rappresentanza indiretta a causa dell’illegittima imposizione dell’Agenzia delle Dogane” nè che abbia riproposto tale eccezione difensiva (rispetto alla quale avrebbe dovuto, peraltro, denunciare un vizio di omessa pronuncia), in sede di appello, al fine di contrastare il gravame dell’Agenzia; per contro, la CTR ha ritenuto circostanza incontroversa tra le parti che la società avesse proceduto alla dichiarazione per conto della cliente, ma in nome proprio (cfr. pag. 4, parr. A1 e A2, nonchè pag 5, righi 1/5 della sentenza impugnata).

Il secondo motivo è infondato.

Infatti, come già ripetutamente affermato da questa Corte, lo spedizioniere che sia anche rappresentante indiretto dell’importatore risponde in solido con quest’ultimo dell’obbligazione doganale per il semplice fatto di avere presentato la dichiarazione, atteso che il combinato disposto del Reg. n. 2913/92/CEE, art. 201, comma 3, e art. 4, n. 18), prevede specificamente la responsabilità sia di chi, come lo spedizioniere rappresentante indiretto, fa la dichiarazione in dogana a nome proprio, sia dell’importatore, per conto del quale la dichiarazione è fatta (cfr., fra molte, Cass. nn. 17496/019, 5311/019, 7720/013).

Infondato è anche il terzo motivo di ricorso.

Va osservato al riguardo che, ai sensi dell’art. 220 CDC, comma 2, lett. b), le autorità doganali devono rinunciare alla contabilizzazione a posteriori dei dazi all’importazione nel momento in cui si verifichino cumulativamente i seguenti tre presupposti: i) che i dazi in questione non siano stati riscossi a causa di un errore delle autorità competenti; ii) che l’errore di cui si tratta sia di natura tale da non poter essere ragionevolmente rilevato da un debitore che versi in buona fede; iii) che il dichiarante abbia rispettato tutte le prescrizioni della normativa in vigore relative alla sua dichiarazione in dogana (Corte di Giustizia 18 ottobre 2007, Agrover, C.173/06, punto 35, Corte di Giustizia 15 dicembre 2011, Afasia Knits Deutschland, C-409/10, punto 47).

Se ne deve necessariamente inferire – secondo quanto più volte affermato anche da questa Corte – che lo stato soggettivo di buona fede dell’importatore, richiesto dall’art. 220 cit. ai fini dell’esenzione dalla contabilizzazione a posteriori, non ha valenza esimente in re ipsa, ma solo in quanto sia riconducibile ad una delle situazioni fattuali individuate dalla normativa comunitaria. L’errore incolpevole, ossia non rilevabile dal debitore di buona fede nonostante la sua esperienza e diligenza, per assumere rilievo esimente, deve dunque essere imputabile a comportamento attivo delle autorità doganali, non rientrandovi quello indotto da dichiarazioni inesatte dello stesso operatore o di altri soggetti (Corte di Giustizia, 27 giugno 1991, Mecanarte, C348/89, punti 23, 24; Corte di Giustizia 18 ottobre 2007, Agrover, cit., punto 31; Corte di Giustizia 10 dicembre 2015, Veloserviss, C427/14 punti 43, 44).

Inoltre, poichè l’esimente comunitaria in esame presuppone la genuinità delle certificazioni poste a fondamento della richiesta di esenzione, ossia la loro correttezza formale e sostanziale, incombe, in ogni caso, all’importatore che voglia fruire di detta esenzione, dimostrare l’esistenza cumulativa di tutti i presupposti indicati dall’art. 220, mentre all’autorità doganale incombe esclusivamente l’onere di allegare e dimostrare la irregolarità delle certificazioni presentate, atteso che qualsiasi certificato che risulti inesatto autorizza il recupero dell’imposta a posteriori (Corte di Giustizia, 18 ottobre 2007, Agrover, loc. cit.; Corte di Giustizia, 15 dicembre 2011, Afasia Knits, cit., punto 47; Corte di Giustizia, 26 ottobre 2017, Aqua Pro, C-407/16; v. anche Cass. n. 7702 del 2013).

Nella specie, la CTR ha correttamente evidenziato che non si verteva nell’ipotesi di un errore attivo dell’Autorità doganale estera, la quale si era limitata a recepire le dichiarazioni inveritiere dell’esportatrice in ordine alla provenienza della merce. Ha inoltre motivatamente ritenuto che la consapevolezza dell’irregolarità dovesse ritenersi insita in capo a CAD Genova s.r.l. in ragione della preparazione professionale dello spedizioniere che agisce in rappresentanza indiretta, grazie alla quale questi è in grado di valutare la veridicità dei documenti trasmessigli, e la ricorrente non ha investito con uno specifico mezzo di censura tale, ulteriore, ratio decidendi, con la quale è stata in concreto accertata, ad abundantiam, la ricorrenza anche dell’elemento soggettivo della colpa.

Il quarto motivo di ricorso è parimenti infondato.

La nullità delle sentenza, ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, è infatti riscontrabile nelle sole ipotesi in cui la stessa risulti del tutto priva, in fatto e in diritto, dell’esposizione dei motivi su cui la decisione si fonda, ovvero laddove la motivazione si configuri come apparente in quanto basata su argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (Cass. n. 27112 del 2018).

Nella specie, per contro, la CTR ha illustrato le ragioni del proprio convincimento, richiamando precedenti della CGUE che individuano i presupposti per l’applicazione dell’esimente di cui all’art. 239 CDC ed evidenziandone la mancanza nel caso di specie, atteso che CAD Genova non versava in una situazione eccezionale rispetto ad altri operatori che esercitano la, medesima attività e che non poteva esserne neppure riconosciuta la diligenza.

Va aggiunto che la prova della ricorrenza delle condizioni per l’applicabilità dell’esimente in parola va fornita dal dichiarante e che, pertanto, la ricorrente non poteva limitarsi a contrastare genericamente l’assunto del giudice d’appello, ma avrebbe dovuto denunciare, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame del fatto controverso decisivo che, ove considerato, avrebbe condotto ad un diverso esito della decisione sul punto.

Il quinto motivo è inammissibile.

La censura – oltre ad essere fondata su circostanze di fatto (la genericità del rapporto Olaf; la mancata attivazione della procedura di controllo da parte dell’Agenzia) che non risultano aver formato oggetto di contraddittorio fra le parti nel corso del giudizio di merito e di cui, in ogni caso, avrebbe dovuto essere illustrata la decisività e denunciato l’omesso esame – pur se apparentemente dedotta sotto un profilo di diritto, risulta infatti volta a sollecitare un nuovo apprezzamento di merito, precluso a questa Corte di legittimità, mentre, per contro, non investe lo specifico accertamento della CTR secondo cui la prova dell’origine cinese della merce trovava diretto riscontro in ben precise risultanze istruttorie documentali, richiamate nell’avviso e ad esso allegate, ovvero nelle fatture emesse dell’esportatrice Deltapower Ltd, che avvaloravano le dichiarazioni del suo legale rappresentante, e nella fattura DNHS Metals, allegata alla dichiarazione di importazione.

Le spese del giudizio sono regolate dalla soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle s se prenotate a debito.

Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 14 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2020

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