Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8701 del 04/04/2017


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Cassazione civile, sez. II, 04/04/2017, (ud. 23/02/2017, dep.04/04/2017),  n. 8701

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5353/2013 proposto da:

C.G., (OMISSIS), C.V. (OMISSIS),

C.A. (OMISSIS), C.N. (OMISSIS), CO.AD.

C., C.F. (OMISSIS), quali eredi di

C.V. elettivamente domiciliati in ROMA, V. LAZIO 20-C, presso lo

studio dell’avvocato GIUSEPPE ALESSIO D’ONOFRIO, rappresentati e

difesi dall’avvocato BIAGIO TANZARELLA giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

V.M., B.A., M.T., CI.DO.,

S.C., CA.CA., M.G., elettivamente

domiciliati in ROMA, C/O ST GARDIN VIA L MANTEGAZZA 24, presso lo

studio dell’avvocato ROMANO COLARUSSO, che li rappresenta e difende

giusta procura a margine del controricorso;

I.T.A., I.R.,

P.M.A., I.M., domiciliati ex lege in ROMA presso la

cancelleria della Corte di cassazione e rappresentati e difesi

dall’avvocato MARCO TULLIO CICERONE giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

e contro

GEIT DI D.G.D. & C SRL, COPERTURA EDILI INDUSTRIALI

SAS;

– intimate –

avverso la sentenza n. 195/2012 della CORTE D’APPELLO di LECCE – SEZ.

DIST. DI TARANTO, depositata il 10/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/02/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito l’Avvocato Biagio Tanzarella per il ricorrente;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento del

quarto motivo ed il rigetto degli altri motivi di ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con atto di citazione notificato nel giugno del 1992, Ci.Do., S.C., V.M., B.A., M.T., e M.G. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Taranto C.V., esponendo che avevano acquistato vari appartamenti nel complesso immobiliare in (OMISSIS), realizzato dal convenuto, nel quale si erano manifestati gravi difetti costruttivi sia alle parti comuni che alle proprietà esclusive, chiedendo quindi la condanna del costruttore al risarcimento dei danni.

Si costituiva in giudizio il C. il quale contestava la fondatezza della domanda e chiamava in garanzia I.G., la Geit s.n.c. e la Coperture Edili Industriali s.a.s., soggetti ai quali aveva affidato l’esecuzione dei lavori per i quali si deduceva l’esistenza di vizi costruttivi.

Concludeva per il rigetto della domanda ovvero, in subordine, per la condanna dei terzi chiamati a tenerlo indenne dalle richieste degli attori.

Nel corso del giudizio interveniva anche Ca.Ca., la quale adducendo la medesima qualità di proprietaria di unità immobiliare ubicata nel complesso edificato dal convenuto, chiedeva la condanna di quest’ultimo al ristoro dei danni subiti.

I terzi chiamati si costituivano a loro volta in giudizio chiedendo il rigetto della domanda. In particolare gli eredi di I.G., nelle more deceduto, spiegavano domanda riconvenzionale per il pagamento di un credito insoddisfatto scaturente dall’esecuzione dei lavori commissionati dal C..

Espletate due CC.TT.UU. ed acquisita copia dell’ATP in precedenza disposto, il Tribunale adito con la sentenza n. 1377/2006 rigettava la domanda degli attori, ravvisando la prescrizione e la decadenza della pretesa azionata.

Rigettava le domande di garanzia proposte dal C. per assenza di prova, nonchè la domanda riconvenzionale degli eredi dell’Ippolito, compensando integralmente le spese di lite.

A seguito di appello proposto dalle originarie parti attrici e dall’interventrice, di appello incidentale degli eredi dell’Ippolito, quanto al rigetto della domanda riconvenzionale, e di appello incidentale della Geit in merito al regime delle spese di lite, la Corte d’Appello di Lecce – Sezione distaccata di Taranto, con la sentenza n. 195 del 10 marzo 2012, accoglieva l’appello principale, e per l’effetto condannava il C. al pagamento della somma di Euro 169.874,88 da ripartirsi secondo le quote proporzionali vantate dagli attori, oltre interessi e rivalutazione come stabiliti in motivazione; rigettava gli appelli incidentali; condannava il C. al rimborso delle spese del doppio grado in favore degli appellanti principali e della Geit, mentre le compensava nei rapporti con gli eredi Ippolito.

In primo luogo riteneva che la domanda attorea andasse inquadrata nella previsione di cui all’art. 1669 c.c., attesa la tipologia dei vizi lamentati e tenuto conto della nozione di gravi difetti di costruzione alla quale aveva acceduto da tempo la giurisprudenza.

Posta tale qualifica, la domanda doveva reputarsi tempestiva, atteso che alla data dell’ATP i lavori non erano ancora completati e che la citazione era stata notificata entro un anno dal deposito della relazione predisposta in sede di accertamento tecnico preventivo.

La domanda era altresì fondata, occorrendo a tal fine avere riguardo agli esiti della seconda CTU predisposta dal geom. B. la quale aveva evidenziato che i gravi vizi di cui è affetto il complesso edilizio provocavano le infiltrazioni interessanti sia le parti comuni che quelle in proprietà esclusiva.

Il danno andava poi riconosciuto conformemente a quanto determinato dal CTU, spettando ad ognuno degli attori, in quanto comproprietario del complesso edilizio, la parte corrispondente alla quota di comproprietà.

In merito alle domande di garanzia spiegate dal C., riteneva che andava confermata la decisione del Tribunale, in quanto l’art. 1669 c.c., è applicabile anche nel caso in cui il venditore abbia personalmente proceduto alla costruzione, ancorchè avvalendosi di altri soggetti, i quali non abbiano la completa autonomia tecnica e decisionale.

Nella fattispecie non emergeva la prova che le ditte chiamate dal C. avessero agito con autonomia gestionale, e non in qualità di “nudus minister”.

Del pari andava disattesa la richiesta avanzata in via riconvenzionale dagli eredi dell’ I., in quanto dal raffronto tra le fatture emesse ed il computo metrico estimativo non poteva evincersi il quantum ancora dovuto dal C..

Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso C.G., A., V., N. e F., quali eredi di C.V. sulla base di quattro motivi.

P.M.A., I.M., I.t.A. ed I.R., quali eredi di I.G., nonchè Ci.Do., S.C., V.M., B.A., M.t., Ca.Ca., D.B.V., M.C. e M.D. (gli ultimi tre quali eredi del defunto M.G.) hanno resistito con controricorso.

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa fase.

Il ricorrente principale ed i controricorrenti, quali eredi di I.G. hanno altresì depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Preliminarmente occorre dare atto che non risulta notificato il ricorso nei confronti della Copertura Edili Industriali, in quanto il tentativo di notifica presso il domicilio del legale rappresentante ha avuto esito negativo, essendo risultato irreperibile all’indirizzo indicato.

Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nei confronti della società in questione, senza che ciò coinvolga il ricorso proposto nei confronti degli altri intimati non trattandosi di cause inscindibili.

2. Con il primo motivo di ricorso si denunzia ex art. 360 c.p.c., n. 3 (rectius n. 4), la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. in quanto il giudice di appello aveva ritenuto di ricondurre la domanda proposta nell’ambito della previsione di cui all’art. 1669 c.c., senza però avvedersi della genericità del motivo di appello avanzato dalle parti attrici.

Infatti, gli appellanti principali avevano omesso di censurare o meglio di indicare i vizi di motivazione della sentenza del tribunale che aveva ritenuto gli stessi decaduti dall’azione di garanzia e che la domanda era in ogni caso prescritta.

Inoltre gli appellanti non avevano nemmeno indicato in quale data era avvenuta la consegna, asserendo, in maniera erronea che la prescrizione o la decadenza non potevano che maturare dalla trascrizione dei rogiti di acquisto.

Il motivo è privo di fondamento.

In primo luogo va rilevato che le doglianze concernenti la mancata contestazione in dettaglio delle ragioni per le quali il Tribunale aveva ravvisato la decadenza della garanzia e comunque la prescrizione della relativa azione, non tengono conto del reale tenore della sentenza d’appello la quale, aderendo ad una specifica doglianza avanzata dagli appellanti, ha ritenuto che l’azione proposta andasse correttamente ricondotta alla previsione di responsabilità di cui all’art. 1669 c.c., superando quindi in tal modo il diverso inquadramento nella disciplina della garanzia della vendita operata dal Tribunale.

In tal senso quindi la censura di genericità del motivo di appello avrebbe dovuto indirizzarsi nei confronti della deduzione di parte appellante finalizzata ad ottenere una diversa qualificazione giuridica della vicenda dedotta in giudizio, posto che, una volta fatta applicazione della disciplina della garanzia dell’appaltatore ai sensi dell’art. 1669 c.c., non ha alcun rilievo l’eventuale difetto di specificità in ordine alle critiche mosse nei confronti della decisione del giudice di primo grado, circa la corretta applicazione dei termini di cui all’art. 1495 c.c..

Il motivo è in ogni caso infondato nel merito, posto che, come si ricava in maniera inequivoca dalla lettura delle parti rilevanti a tal fine dell’atto di appello, come riportate nel controricorso delle originarie parti attrici, è possibile riscontrare, oltre alla puntuale evidenziazione delle ragioni per le quali la domanda andava diversamente qualificata in termini giuridici, anche l’esplicitazione delle ragioni in diritto per le quali il termine di decadenza non poteva che decorrere dalla stipula degli atti definitivi di vendita, e non anche dalla consegna avvenuta contestualmente alla conclusione dei preliminari, evidenziandosi altresì che, l’atto di citazione era stato notificato entro l’anno sia dalla data degli accertamenti svolti in sede di ATP circa l’esistenza dei vizi lamentati, sia dalla successiva data del deposito dell’elaborato peritale.

Trattasi di precise e puntuali argomentazioni sia in fatto che in diritto che risultano del tutto in grado di soddisfare il requisito di specificità dell’appello alla luce della previsione di cui all’art. 342 c.p.c., applicabile ratione temporis (e cioè prima delle modifiche di cui alla L. n. 134 del 2012).

3. Il secondo motivo denunzia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto nonchè il vizio di motivazione con riferimento all’individuazione dell’oggetto della domanda proposta dagli attori e delle eccezioni del C., con aperta violazione del disposto di cui all’art. 132 n. 4 c.p.c. e artt. 115 e 116 c.p.c..

Si deduce che i giudici di appello, facendo richiamo agli esiti dell’ATP (del quale in atti era stata versata una copia neanche agevolmente leggibile), hanno ritenuto che la domanda proposta andasse inquadrata nella previsione di cui all’art. 1669 c.c..

Tuttavia hanno trascurato che i vizi dedotti in citazione avevano ad oggetto oltre alle infiltrazioni, anche una serie di doglianze che esulano in maniera evidente dall’ambito di applicazione della norma in concreto applicata.

Il terzo motivo denunzia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza circa punti decisivi della controversia, prospettai dal C. o rilevabili d’ufficio.

Si deduce che dall’accertamento svolto in sede di ATP era emerso che non sussistevano infiltrazioni dal terrazzo, ma una sola piccola infiltrazione dal giunto, alla quale si pose rimedio, come confermato anche dalla seconda CTU.

Le conclusioni del secondo CTU, circa la non corretta impermeabilizzazione del lastrico solare, sono inoltre inesatte ed infondate, non essendo sorrette da alcuna indagine specifica.

Quanto poi ai danni riscontrati alla pavimentazione del cortile adibito a parcheggio, la decisione gravata ha omesso di considerare che il sottostante impianto socio – sanitario è di esclusiva proprietà del C., sicchè non è comprensibile la ragione per la quale è stato riconosciuto agli attori un risarcimento per un danno che avrebbe potuto interessare un bene di esclusiva proprietà del dante causa dei ricorrenti.

I due motivi di ricorso che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono evidentemente infondati.

In primo luogo peccano chiaramente del requisito di specificità così come imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto pur sostenendo che l’erroneità della decisione deriverebbe da una non corretta lettura delle risultanze peritali, avendo i giudici di merito affermato circostanze in contrasto con gli obiettivi accertamenti degli ausiliari, omettono di riprodurre in ricorso il contenuto integrale delle relazioni d’ufficio, ed in particolare di quella del geom. B., alla quale espressamente la Corte distrettuale ha ritenuto di rifarsi, riportando solo stralci limitati delle varie perizie di ufficio, che non consentono di apprezzare nel complesso quali siano state le indagini effettivamente compiute e quale sia l’effettivo tenore delle conclusioni prese dagli ausiliari, e sulle quali si fonda la decisione gravata.

La suddetta carenza dei motivi di ricorso impedisce altresì di poter apprezzare la fondatezza nel merito delle doglianze avanzate, che nella pressochè totalità si risolvono evidentemente in una indebita sollecitazione a questa Corte di procedere ad una non consentita rivalutazione dei fatti di causa.

Ed, invero, ribadito il principio secondo cui l’interpretazione della domanda e l’individuazione del suo contenuto integrano un tipico accertamento di fatto riservato, come tale, al giudice del merito, così che in sede di legittimità va solo effettuato il controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata (così Cass. 18 maggio 2012 n. 7932), la decisione gravata ha ritenuto che la tipologia dei vizi, così come in concreto riscontrati dagli accertamenti peritali svolti in corso di giudizio, incidendo sulla struttura e funzionalità dell’opera e menomando in modo apprezzabile il godimento dell’opera medesima (come anche per le ipotesi di infiltrazioni di acqua e di umidità per difetto di copertura dell’edificio), giustificavano l’applicazione della norma di cui all’art. 1669 c.c..

Il ricorso, lungi dal denunziare un vizio di sussunzione dei fatti concreti nella fattispecie normativa, mira in realtà a contestare che in concreto vi siano difetti dell’opera tali da determinare fenomeni di infiltrazioni, rivelando in tal modo il suo effettivo intento di mirare a contestare non già l’attività di qualificazione in diritto operata dal giudice di merito, quanto la valutazione a monte dei fatti, sulla scorta della quale è stata poi individuata la norma applicabile.

Trattasi, come detto di critica non suscettibile di poter trovare spazio in sede di legittimità, soprattutto ove anche il dedotto vizio di motivazione non sia adeguatamente illustrato con la puntuale indicazione in ricorso (mediante la completa indicazione delle conclusioni del CTU, e non anche con la riproduzione di limitate parti degli elaborati peritali) degli elementi istruttori dai quali dovrebbe evincersi la illogicità ovvero contraddittorietà del ragionamento del giudice di merito.

Nè appare utile alla causa dei ricorrenti far richiamo ai vizi denunziati nell’atto di citazione, atteso che la decisione di accoglimento della domanda attorea è stata motivata dai giudici d’appello con il rinvio ai vizi individuati dalla seconda CTU espletata in corso di causa, della quale non è analiticamente richiamato in ricorso il contenuto.

Le affermazioni circa la pretesa incompetenza professionale del CTU, l’arbitrio commesso nelle indagini svolte si risolvono per l’effetto in una mera contestazione in fatto delle ragioni della decisione impugnata, censura che non ha spazio in questa sede.

Quanto infine alla circostanza relativa alla proprietà esclusiva dell’impianto socio – sanitario sottostante il piazzale adibito a parcheggio, e premesso che trattasi di questione nuova, e come tale inammissibile, non emergendo che sia stata trattata in sentenza, e non avendo parte ricorrente allegato in quale fase processuale di merito la medesima fosse stata eventualmente dedotta, va osservato che non è contestata la natura comune del piazzale stesso, sicchè la sua difettosa esecuzione, sebbene foriera di danni anche all’impianto sottostante, appare comunque idonea a determinare pregiudizio per gli attori che si troverebbero eventualmente esposti ad azioni risarcitorie in conseguenza di difetti dell’opus riconducibili alla negligenza del costruttore.

4. Infine il quarto motivo denunzia la violazione dell’art. 106 c.p.c. e dell’art. 1655 c.c..

Si denunzia che la Corte d’Appello ha disatteso la domanda di garanzia spiegata dal C. nei confronti delle varie imprese alle quali era stata affidata l’esecuzione di alcune lavorazioni, affermandosi che il venditore, anche ove si avvalga di terzi nella realizzazione dell’opus, continua ad esser responsabile ex art. 1669 c.c., laddove abbia mantenuto il potere di impartire direttive ovvero il potere di sorveglianza, essendo comunque a lui riferibile la costruzione dell’opera.

Quindi poichè nel caso di specie era carente la prova che le ditte chiamate ad eseguire parte delle lavorazioni avessero agito con autonomia gestionale e non in qualità di “nudus minister”, la domanda non poteva essere accolta.

Assumono i ricorrenti che tale motivazione poteva dare conto del perchè potesse comunque sussistere una responsabilità del C. nei confronti degli acquirenti delle unità abitative realizzate, ma non giustificava il rigetto della diversa domanda di garanzia.

La stessa stipula di contratti di appalto con le ditte incaricate consente di affermare l’esistenza di autonomia gestionale in capo alle stesse e quindi la possibilità di invocare la garanzia per le eventuali inadempienze alle stesse imputabili.

Il motivo è fondato nella parte in cui lo stesso denunzia altresì la sostanziale inversione dell’onere della prova operato dal giudice del merito, in violazione della tradizionale regola per la quale, attesa la connotazione autonoma dell’attività dell’appaltatore, che fa presumere la sua responsabilità per gli eventuali danni cagionati a terzi nell’esecuzione dell’opera appaltata, al fine si superrare tale responsabilità incombe all’appaltatore l’onere di provare specificamente che per effetto delle ingerenze e delle vincolanti prescrizioni del committente, la sua attività sia stata ridotta al rango di nudus minister, cioè di mero esecutore materiale delle altrui direttive, perdendo pertanto il carattere di autonomia tipico dell’appaltatore.

Nel caso di specie la sentenza impugnata ha inopinatamente invertito la suddetta regola di distribuzione dell’onere della prova, laddove ha affermato che essendo carente la prova che le imprese subappaltarici avessero agito con autonomia gestionale, doveva di fatto reputarsi che avessero operato quale mero “nudus minister”.

5. La sentenza gravata deve pertanto essere cassata in accoglimento del motivo in esame, con rinvio per nuovo esame, ad altra Sezione della Corte d’Appello di Lecce, anche per le spese del presente giudizio.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti della Coperture Edili Industriali s.a.s., accoglie il quarto motivo del ricorso principale, rigetta gli altri motivi, ed in relazione al motivo accolto cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese, ad altra Sezione della Corte d’Appello di Lecce.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2017

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