Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8697 del 08/05/2020

Cassazione civile sez. I, 08/05/2020, (ud. 31/01/2020, dep. 08/05/2020), n.8697

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4739/2019 proposto da:

S.S., rappresentato e difeso dall’avv. Giacinto Corace, giusta

procura speciale in calce al ricorso, domiciliato presso la

Cancelleria della I sezione Civile della Suprema Corte di

Cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5638/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 17/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

31/01/2020 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza depositata il 17.12.2018, ha confermato il provvedimento di primo grado di rigetto della domanda di S.S., cittadino del (OMISSIS), volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato, non essendo la sua vicenda inquadrabile nella fattispecie disciplinata dalla Convenzione di Ginevra (il richiedente aveva riferito di essere fuggito dal (OMISSIS) per il timore di essere ucciso da coloro che si erano impossessati dei terreni della sua famiglia ed avevano ucciso suo fratello, laddove avesse cercato di rientrare in possesso di tali terreni o avesse voluto vendicare la morte del fratello).

Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, il giudice di merito ha evidenziato l’insussistenza del pericolo del ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel paese d’origine.

Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una sua specifica situazione di vulnerabilità personale.

Ha proposto ricorso per cassazione S.S.’ affidandolo a quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5, e D.Lgs. n. 25 del 2008, 6 artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 CEDU nonchè l’omesso esame di fatti decisivi ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello ha omesso l’esame dei fatti dallo stesso dedotti, non effettuando alcuna analisi della situazione concreta rappresentata, ritenendo erroneamente non credibile il suo racconto.

In particolare, è stato l’omesso l’esame di fatti decisivi, quali le minacce subite in forma diretta ed indiretta.

Invoca, inoltre, il ricorrente la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato anche sul rilievo che la Convenzione di Ginevra non esige una persecuzione in atto, ma soltanto una situazione psicologica di fondato timore di persecuzione.

2. Il primo motivo presenta profili di inammissibilità ed infondatezza.

Va osservato, in primo luogo, che il ricorrente non ha colto la ratio decidendi del provvedimento impugnato. In particolare, la Corte d’appello ha coerentemente rigettato la domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato sul rilievo che non era stato rappresentato alcun timore per motivi di razza, lingua, religione, opinione politica, etc. (fattispecie disciplinate dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8), ma soltanto una vicenda meramente privata, con conseguente inconfigurabilità di una situazione persecutoria diretta e personale tale da integrare il rischio effettivo di un grave danno alla persona. Nè il ricorrente può invocare l’applicabilità delle norme che disciplinano i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato solo perchè la vicenda privata ha avuto dei risvolti di natura penale.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dei parametri relativi alla credibilità delle dichiarazioni dei richiedenti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c).

Lamenta il ricorrente la violazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria, per non avere acquisito informazioni sulla situazione del paese del richiedente per reperire riscontri alle sue allegazioni.

4. Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente si è limitato a riportare in astratto i parametri normativi con cui devono essere valutate le dichiarazioni del richiedente senza fornire alcun elemento concreto attinente alla presente vicenda processuale nonchè alla pertinenza delle norme invocate con la sua posizione.

5. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 CEDU.

Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello avrebbe dovuto attivarsi per richiedere informazioni precise sulla condizione degli oppositori all’attuale regime, mentre in relazione al grave rischio dallo stesso prospettato, la sentenza impugnata non ha nè esaminato il sistema carcerario e sanzionatorio, nè indicato le ragioni per cui la Corte non ha ritenuto di esercitare i propri poteri d’ufficio.

6. Il motivo è inammissibile.

Le censure del ricorrente non sono assolutamente pertinenti, non essendo lo stesso un oppositore al regime di governo attualmente al potere in (OMISSIS), nè ha dedotto se e in che misura dovrebbe essere interessato al sistema sanzionatorio e processuale del proprio paese.

7. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2 nonchè la motivazione apparente in relazione alla domanda di protezione umanitaria ed alla valutazione di specifici indici di vulnerabilità e l’omesso esame di fatti decisivi (motivo quindi diverso dal quarto motivo indicato nella sintesi di pag. 2 ed unico motivo che deve essere considerato in quanto il solo ad essere stato illustrato).

La difesa del ricorrente lamenta che la Corte d’Appello ha omesso il vaglio, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, del rischio dello stesso di subire trattamenti inumani e degradanti e tortura in ragioni delle sue opinioni politiche.

8. Il motivo è inammissibile.

Anche tali censure sono del tutto inconferenti rispetto alla vicenda personale del ricorrente, atteso il ricorrente che non ha mai dedotto di essere un oppositore politico, nè di temere trattamenti inumani e degradanti a causa delle sue opinioni politiche.

La declaratoria di inammissibilità del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, non essendosi il Ministero costituito in giudizio.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2020

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