Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8695 del 29/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 29/03/2021, (ud. 30/09/2020, dep. 29/03/2021), n.8695

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24642 del ruolo generale dell’anno 2014

proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato,

presso i cui uffici in Roma è elettivamente domiciliata;

– ricorrente –

contro

Genaco Italia di D.C. & C. s.a.s., in persona del

legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’Avv. Gianvito

Giannelli per procura speciale a margine del controricorso,

elettivamente domiciliata in Roma, piazza dell’Emporio, n. 16/A,

presso lo studio dell’Avv. Giuseppe Guizzi;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Puglia, n. 130/10/2013, depositata in data 16

settembre 2013;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 30

settembre 2020 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

 

Fatto

RILEVATO

che:

dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a Genaco Italia di D.C. & C. s.a.s. un avviso di accertamento, relativo all’anno di imposta 2003, con il quale aveva richiesto il pagamento del maggior reddito accertato, ai fini Irap e Iva, a seguito dell’applicazione degli studi di settore nonchè dell’accertamento con adesione sottoscritto dalla società, nonchè alla socia C.D. un avviso di accertamento per il medesimo anno di imposta ai fini Irpef a titolo di reddito di partecipazione; avverso i suddetti avvisi di accertamento la società e la socia avevano proposto separati ricorsi che, a seguito di riunione, erano stati accolti dalla Commissione tributaria provinciale di Bari; avverso la sentenza del giudice di primo grado l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che: il giudizio era limitato alla solo pretesa nei confronti della società, atteso che la socia aveva presentato domanda di definizione delle lite con esito positivo; non era corretto il motivo di appello dell’Agenzia delle entrate relativo alla circostanza che, avendo la società sottoscritto l’accertamento con adesione, non avrebbe potuto impugnare il successivo avviso di accertamento notificato in conseguenza del mancato adempimento, in quanto la non impugnabilità consegue solo al perfezionamento della definizione, secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 9; l’avviso di accertamento era illegittimo in quanto, poichè la società era in regime di contabilità ordinaria e non sussisteva alcuna violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, non poteva essere sottoposta ad un accertamento basato su presunzioni semplici dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, comunque non esistenti nel caso di specie, non avendo, peraltro, l’ufficio indicato l’esistenza di gravi e specifiche incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalla condizioni di esercizio della specifica attività svolta dalla società;

l’Agenzia delle entrate ha, quindi, proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a due motivi, cui ha resistito la società depositando controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2, comma 3, per avere erroneamente ritenuto impugnabile l’accertamento con adesione qualora lo stesso non sia stato perfezionato con il successivo pagamento della prima rata ovvero dell’intero importo dovuto;

il motivo è fondato;

secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. civ., 31 luglio 2019, n. 20577; Cass. civ., 25 gennaio 2019, n. 2161), quando l’istanza di adesione ha avuto buon esito, nel senso che il concordato si sia concluso, l’accertamento così definito diventa intoccabile, tanto da parte del contribuente, che non può più impugnarlo, quanto da parte dell’Ufficio, che non può integrarlo o modificarlo, come prescrive il D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2, comma 3, sicchè, una volta definito l’accertamento con adesione, mediante la fissazione anche del quantum debeatur, al contribuente non resta che eseguire (o, per usare lo stesso termine della legge, “perfezionare”) l’accordo, versando quanto da esso risulta, essendo normativamente esclusa la possibilità d’impugnare simile accordo e, a maggior ragione, quella d’impugnare l’atto impositivo oggetto della transazione, il quale conserva efficacia, ma solo a garanzia del fisco, finchè non sia stata “perfezionata” la procedura, ossia non sia stata interamente eseguita l’obbligazione scaturente dal concordato;

pertanto, il “perfezionamento della definizione” concordata (art. 9), che si ottiene mediante il versamento all’erario di quanto concordemente stabilito (o mediante il versamento della prima rata, con prestazione di garanzia per quelle successive), è individuato dal legislatore al fine di stabilire il momento in cui l’atto impositivo perde efficacia, come è espressamente previsto dal cit. D.Lgs., art. 6, comma 4, ultimo periodo);

ne consegue che non correttamente il giudice del gravame ha ritenuto che la società, nonostante avesse sottoscritto l’accertamento con adesione, a seguito del successivo inadempimento nel pagamento degli importi in esso indicati, avrebbe potuto impugnare l’avviso di accertamento ad essa notificato dall’Agenzia delle entrate;

con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.L. n. 331 del 1993, artt. 62 bis e 62 sexies, e dell’art. 2697, c.c., per avere ritenuto illegittima la pretesa dell’amministrazione finanziaria basata sull’applicazione degli studi di settore;

l’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta l’assorbimento del presente motivo;

in conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, con conseguente cassazione della sentenza e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito, rigettando il ricorso originario della società;

con riferimento alle spese di lite, sussistono giusti motivi per la compensazione delle stesse relative ai giudizi di merito, mentre per il presente giudizio la controricorrente è tenuta al pagamento in favore della ricorrente.

PQM

La Corte:

accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della società; compensa interamente tra le parti le spese di lite dei giudizi di merito e condanna la controricorrente al pagamento in favore della ricorrente delle spese di lite che si liquidano in complessive Euro 4.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2021

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