Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8694 del 29/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 29/03/2021, (ud. 30/09/2020, dep. 29/03/2021), n.8694

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8253/2014 R.G. proposto da:

D.F., rappresentato e difeso dagli avv. Giovanni Mergoni

e Patrizia Baccigalupi, con domicilio eletto presso lo studio

dell’avv. Giuseppe Lepore, sito in Roma, via Polibio, 15;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Liguria, n. 83, depositata il 1 ottobre 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 settembre

2020 dal Consigliere Paolo Catallozzi.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

– D.F. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza Commissione tributaria regionale della Liguria, depositata il 1 ottobre 2013, che, in accoglimento dell’appello dell’Ufficio, ha dichiarato la legittimità dell’avviso di accertamento con cui era stata rettificata la dichiarazione resa per l’anno 2003 e recuperate l’i.r.pe.f., l’i.v.a. e l’i.r.a.p. non versate;

– dall’esame della sentenza impugnata si evince che l’atto impositivo era stato emesso all’esito della rilevazione dello scostamento, non giustificato, dei ricavi dichiarati in relazione all’esercizio dell’attività di artigiano rispetto alle risultanze dello studio di settore pertinente;

– il giudice di appello, dopo aver dato atto che la Commissione provinciale aveva accolto il ricorso del contribuente, ha accolto il gravame erariale, evidenziando che non erano stati offerti elementi probatori idonei a giustificare lo scostamento rilevato;

– il ricorso è affidato a due motivi;

– resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate;

– il ricorrente deposita memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– con il primo motivo di ricorso il contribuente denuncia la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, per aver la Commissione regionale omesso di dichiarare inammissibile l’appello proposto dall’Ufficio per difetto di specificità del motivo per il quale era articolato;

– il motivo è infondato;

– nel processo tributario la sanzione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi, prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 preleggi, trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione (così, Cass. 15 gennaio 2019, n. 707);

– in coerenza con tale principio deve ritenersi che la riproposizione a supporto dell’appello delle ragioni inizialmente poste a fondamento dell’impugnazione del provvedimento impositivo (per il contribuente) ovvero della dedotta legittimità dell’accertamento (per l’Amministrazione finanziaria), in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, quando il dissenso investa la decisione nella sua interezza e, comunque, ove dall’atto di gravame, interpretato nel suo complesso, le ragioni di censura siano ricavabili, seppur per implicito, in termini inequivoci (cfr. Cass. 20 dicembre 2018, n. 32954);

– ciò posto, nel caso in esame, come rilevato anche dalla Commissione regionale e riconosciuto dal contribuente, l’Amministrazione appellante aveva criticato la sentenza nella parte in cui aveva ritenuto che il contribuente avesse formulato giustificazioni allo scostamento rilevato dallo studio di settore, dando, in tal modo, evidenza del dissenso da tale sentenza e delle ragioni poste a fondamento del gravame;

– con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39,D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62 sexies, L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, commi da 179 a 189, e L. 8 maggio 1998, n. 146, art. 10, per aver il giudice di appello ritenuto sussistente la pretesa erariale benchè l’Ufficio non avesse offerto dimostrazione dell’applicabilità del richiamato studio di settore al caso concreto e non avesse replicato alle deduzioni svolte nel merito dal contribuente;

– il motivo è inammissibile in quanto muove dal presupposto della inapplicabilità dello studio di settore utilizzato e dalla mancata confutazione delle giustificazioni offerte dal contribuente;

– su tali circostanze – contestate dalla controricorrente – non è, tuttavia, intervenuto alcun accertamento da parte della Commissione regionale;

– orbene, il vizio di violazione o falsa applicazione di legge non può che essere formulato se non assumendo l’accertamento di fatto, così come operato dal giudice del merito, in guisa di termine obbligato, indefettibile e non modificabile del sillogismo tipico del paradigma dell’operazione giuridica di sussunzione, là dove, diversamente (ossia ponendo in discussione detto accertamento), si verrebbe a trasmodare nella revisione della quaestio facti e, dunque, ad esercitarsi poteri di cognizione esclusivamente riservati al giudice del merito (cfr. Cass., ord., 13 marzo 2018, n. 6035; Cass., 23 settembre 2016, n. 18715);

– pertanto, per le suesposte considerazioni, il ricorso non può essere accolto;

– le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo;

– sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 2.300,00 oltre spese prenotate a debito

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2021

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