Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8693 del 08/05/2020

Cassazione civile sez. I, 08/05/2020, (ud. 31/01/2020, dep. 08/05/2020), n.8693

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3883/2019 proposto da:

N.B., elettivamente domiciliato in Roma V. Luigi

Pirandello 67 Pal A presso lo studio dell’avvocato Belmonte Sabrina

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Fedeli Bruno,

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5753/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 24/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

31/01/2020 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza depositata il 24.12.2018, ha confermato il provvedimento di primo grado di rigetto della domanda di N.B., cittadino della (OMISSIS), volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato, non essendo le sue dichiarazioni state ritenute attendibili (costui aveva riferito di essere fuggito dalla (OMISSIS) per sottrarsi alle minacce della setta degli (OMISSIS) per essersi rifiutato di succedere al padre, nel frattempo deceduto, nel ruolo di capo della suddetta setta segreta).

Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, il giudice di merito ha evidenziato l’insussistenza del pericolo del ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel paese d’origine.

Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una sua specifica situazione di vulnerabilità personale.

Ha proposto ricorso per cassazione N.B. affidandolo a due motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) e art. 14 in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, anche in relazione al combinato disposto dell’art. 4, par. 3, lett. d) dir. 2004/83/CE e dell’art. 13, par. 3, lett. a) dir. 2005/85/CE.

Contesta il ricorrente la valutazione da parte della Corte d’Appello di insussistenza di una situazione di violenza generalizzata derivante da conflitto armato nella sua regione di provenienza, sostenendo l’erroneità di tale valutazione.

2. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), nel senso che il grado di violenza indiscriminata deve avere raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 13858 del 31/05/2018, Rv. 648790).

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha accertato, alla luce di fonti internazionali autorevoli, come il report di Amnesty International 2016-2017, l’EASO report (OMISSIS) 2017 e l’UNHCR, l’insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata nella regione dell'(OMISSIS) della (OMISSIS) (essendo la presenza del gruppo terroristico (OMISSIS) concentrata nella zona nord-est del paese) ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. del 12/12/2018 n. 32064).

Ne consegue che le censure del ricorrente sul punto si configurano come di merito, e, come tali inammissibili in sede di legittimità, essendo finalizzate a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio già esaminato dal giudice di merito.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 in materia di protezione umanitaria.

Lamenta il ricorrente che la Corte territoriale ha valutato la sua condizione di vulnerabilità in modo approssimativo, non considerando che il permesso umanitario è concesso per tutelare i diritti fondamentali della persona.

Evidenzia il suo importante e significativo percorso di integrazione intrapreso in Italia.

7. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che questa Corte ha già affermato che pur dovendosi partire, nella valutazione di vulnerabilità del richiedente, dalla situazione oggettiva del paese d’origine, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale, atteso che, diversamente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in questi termini sez. 1 n. 4455 del 23/02/2018).

Nel caso di specie, il ricorrente ha genericamente osservato che la condizione di vulnerabilità è legata alla tutela dei diritti umani, ma senza correlare tale affermazione alla sua condizione personale, indicando in che termini i suoi diritti fondamentali sarebbero concretamente violati in (OMISSIS).

Nè può rilevare da sola l’eventuale integrazione sociale del richiedente nel paese di accoglienza, avendo la giurisprudenza di questa Corte condivisibilmente ritenuto che tale elemento può essere sì considerato in una valutazione comparativa al fine di verificare la sussistenza della situazione di vulnerabilità, ma non può, tuttavia, da solo esaurirne il contenuto (vedi sempre Cass. n. 4455 del 23/02/2018).

La declaratoria di inammissibilità del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, non essendosi il Ministero costituito in giudizio.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2020

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