Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8692 del 04/04/2017


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Cassazione civile, sez. II, 04/04/2017, (ud. 29/09/2016, dep.04/04/2017),  n. 8692

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 24877/12) proposto da:

DIFFUSIONE DOLCIARIA s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a

margine del ricorso, dall’Avv.to Mauro Morelli del foro di Roma ed

elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, via Antonio

Bertoloni n. 41;

– ricorrente –

contro

ABS FOOD s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avv.to Urbano Tancredi del foro di

Padova, in virtù di procura speciale apposta a margine del

controricorso, ed elettivamente domiciliata presso lo studio

dell’Avv.to Angelo Fausto Pierucci in Roma, via Tripoli n. 86;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 1881

depositata il 27 agosto 2011;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 29

settembre 2016 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

udito l’Avv.to Mauro Morelli, per parte ricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per

l’inammissibilità del ricorso, in subordine per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 22 settembre 1998 la DIFFUSIONE DOLCIARIA s.r.l. proponeva, dinanzi al Pretore di Padova, opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 926/1998 emesso dal medesimo ufficio giudiziario per Lire 17.365.321, oltre accessori di legge, su istanza della ABS FOOD s.r.l., a titolo di saldo del corrispettivo dovuto di cui alla fattura n. (OMISSIS), nonchè delle somme riportate nelle fatture nn. (OMISSIS) concernenti la fornitura di merci, deducendo che la asserita creditrice non aveva tenuto conto di una serie di pagamenti effettuati a mezzo di assegni bancari per le somme di Lire 2.341.000, di Lire 1.379.600 e di Lire 2.900.000, consegnati al rappresentante della stessa ABS, G.E.; aggiungeva che un certo quantitativo di margarina computata ai fini del pagamento non era stata mai consegnata, nè stornata dal dovuto; infine, esponeva che a seguito del mancato rispetto di un ordine di prodotto, denominato “Riso Sher, aveva subito dei danni conseguenti alla non esecuzione di prenotazioni già ricevute. Tanto esposto, chiedeva la revoca del d.i., con riduzione delle somme dovute, oltre alla condanna dell’ingiungente al risarcimento dei danni.

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza della opposta, concessa con ordinanza del 02.02.1999 la provvisoria esecuzione del provvedimento monitorio, il Tribunale di Padova, nelle more divenuto giudice competente, ai sensi del D.Lgs n. 51 del 1998, in parziale accoglimento dell’opposizione, revocato il d.i., condannava l’opponente al pagamento in favore dell’opposta della somma di Euro 7.046,91, oltre ad interessi legali dal 04.02.1998, con compensazione delle spese di lite.

In virtù di rituale appello interposto dalla ABS FOOD s.r.l., la Corte di appello di Venezia, nella resistenza dell’appellata, accoglieva il gravame e per l’effetto, in riforma della decisione di primo grado, respingeva l’opposizione a d.i..

A sostegno della decisione adottata la corte territoriale evidenziava che l’appellata non aveva fornito la prova dell’avvenuto pagamento delle somme indicate in n. 2 assegni, rispettivamente, di Lire 2.341.000 e di Lire 1.379.600, titoli dalla cui fotocopia, prodotta in atti, relativa al solo frontespizio, risultava beneficiaria la debitrice, ma non dimostrato il trasferimento a mezzo girata alla creditrice ovvero al suo rappresentante, certo G., nè l’incasso da parte di alcuno. Avverso la indicata sentenza della Corte veneta ha proposto ricorso per cassazione la DIFFUSIONE DOLCIARIA s.r.l., sulla base di due motivi, cui ha replicato con controricorso la ABS FOOD s.r.l..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 115 c.p.c. per non avere la corte territoriale tenuto conto che fin dal primo grado era stata articolata e chiesta prova per testi, reiterata in appello, come si evince dagli atti di parte introduttivi dei rispettivi gradi di giudizio, per dimostrare che mediante invio postale al G. erano stati rilasciati, quale mezzo di pagamento, i titoli di credito de quibus. Inoltre era stata chiesta l’esibizione delle scritture contabili della ABS Food relativamente alla registrazione degli assegni nel libro giornale del periodo, nonchè dei titoli medesimi da parte degli istituti di credito trattari.

Il motivo va disatteso.

Occorre previamente osservare che il vizio di violazione dell’art. 115 c.p.c. è deducibile come motivo di ricorso in sede di legittimità soltanto ove il giudice violi le regole legali di formazione della prova ovvero quando utilizzi prove non acquisite in atti, mentre allorchè lamenti il vizio di omessa pronuncia sull’ammissibilità dei mezzi istruttori è denunciabile soltanto sub specie del vizio di motivazione (cfr. Cass. SS.UU. n. 15982 del 2001; Cass. n. 7074 del 2006; Cass. n. 3357 del 2009; Cass. n. 6715 del 2013). Conseguentemente, eccede l’ambito d’applicazione dell’art. 115 c.p.c. il mancato esame e l’omessa pronuncia in ordine alle istanze istruttorie avanzate nella precorsa fase del giudizio di merito, costituendo piuttosto una censura di carenza di motivazione sulle ragioni della mancata ammissione degli stessi mezzi di prova, quindi sotto il profilo dell’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio (dedotti con quelle istanze), vizio della sentenza rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ove afferisca a circostanze suscettibili di indurre ad una decisione diversa da quella adottata (Cass. 17 dicembre 1999 n. 14242).

Nella fattispecie di causa, pertanto, l’omesso esame delle richieste istruttorie, lamentando la mancata valutazione da parte del giudice del merito dell’ammissione di prove in punto di pagamento degli assegni de quibus da essa avanzate (nonostante la rilevanza delle stesse a tal fine), costituisce vizio deducibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 nel testo anteriore alla riforma di cui al D.L. n. 83 del 2012, conv., con modificaz., L. n. 134 del 2012, ratione tempore applicabile.

Riqualificata la censura nei suddetti termini, il motivo – pure ammissibile – è infondato per difetto di decisività.

Nel caso in esame la Corte veneziana sebbene non abbia espressamente statuito al riguardo, correttamente non ha provveduto ad ammettere e ad assumere la prova per testi articolata dalla opponente – appellata, giacchè dal tenore dei capitoli di prova – puntualmente trascritti nel motivo di ricorso – è evidente la ininfluenza della stessa vertendo su circostanze ampiamente dimostrate documentalmente quanto alla emissione dei titoli di credito in contestazione (ovvero l’essere stati girati) in favore della ABS Food, ma non prova il fatto principale decisivo del pagamento del residuo corrispettivo, in particolare della consegna degli assegni nelle mani della creditrice, ammettendo la stessa ricorrente di averne curato l’invio a mezzo posta (v. pag. 5 del ricorso), nulla precisando sul buon esito del recapito del plico.

Pertanto, la sentenza impugnata non merita la censura di cui al motivo in esame.

Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 345 c.p.c. e art. 2696 c.c. per avere la corte territoriale formato il proprio convincimento non tenendo conto che la opposta in primo grado non aveva contestato che il G. avesse incassato le somme indicate nei titoli di credito prodotti, ma aveva contestato esclusivamente il fatto che tali pagamenti non fossero a lei opponibili. Ragione per la quale il giudice di prime cure non aveva dato corso alle prove articolate ritenendo la circostanza della riscossione da parte del rappresentante pacifica. Solo con il gravame la creditrice aveva introdotto il tema relativo alla prova degli incassi da parte del G., argomento che non avrebbe potuto entrare nel giudizio di appello stante il divieto posto dall’art. 345 c.p.c..

Anche il secondo motivo è privo di pregio.

E’ del tutto irrilevante che la società opponente non avesse contestato la riscossione delle somme indicate negli assegni di cui si discute da parte del proprio rappresentante legale, giacchè il principio di non contestazione riguarda le allegazioni, non i documenti prodotti (se non con riguardo alla loro provenienza ed autenticità), e tanto meno la valenza probatoria di questi ultimi, la cui valutazione, in relazione ai fatti contestati, è ovviamente riservata al giudice.

Nella specie, non vi è dubbio che la prova del saldo del corrispettivo fosse stata oggetto di tempestiva contestazione in primo grado e dunque era il giudice a dover valutare se i documenti prodotti costituissero prova del fatto contestato, senza alcuno spazio operativo per il principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., disposizione che non può quindi ritenersi in alcun modo violata dalla pronunzia impugnata.

D’altra parte l’opposta nel giudizio di primo grado ha solo dedotto che l’asserito pagamento da parte della debitrice a mezzo assegni non era a lei opponibile stante l’avvenuta comunicazione, a mezzo fax del 04.02.1998 (anteriore all’invio dei titoli di credito), alla Dolciaria che il saldo del corrispettivo doveva avvenire esclusivamente mediante bonifico bancario o assegni non trasferibili, proprio in ragione del deteriorarsi dei rapporti con G.E., argomentazioni difensive che certamente non possono postulare alcuna “relevatio” dell’avversario dall’onere probatorio, non prendendo alcuna posizione sulle allegazioni della debitrice.

In definitiva, il ricorso non merita accoglimento.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge.

Sentenza redatta con la collaborazione dell’assistente di studio dott. P.A..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 29 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2017

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